di Gabriele Ottaviani
Nel finale in cui David tenta di ristabilire una condizione di parità con la sua compagna, The Lobster anticipa una delle situazioni più emblematiche e paradossali de Il sacrificio del cervo sacro, il tentativo di ristabilire un ordine infranto che è tra i temi del film con cui Lanthimos, di nuovo al comando di una produzione internazionale, rievoca un mito greco all’interno di un registro moderno, portando in scena l’orrore in un contesto di sale ospedaliere, cliniche e riunioni che non riescono a dare una giustificazione scientifica agli eventi disturbanti e inspiegabili che si succedono. Il nuovo film del regista greco è un altro racconto di ferite abilmente sottratte alla percezione comune, ma inferte con disinvolta consuetudine tra le pareti di una famiglia che assurge a modello di rispettabilità della buona borghesia americana. Così come la scelta di David di accecarsi, nell’epilogo silenzioso di The Lobster, esibiva l’estrema ratio di un teorema antico e moderno, che vede l’individuo immolarsi alla tragedia della conformazione, il nuovo film di Lanthimos, che ritrova Colin Farrell a fianco di Nicole Kidman in una delle loro prove più riuscite, rielabora, tra metafore e note di tenebrosa malìa, un mondo contemporaneo che fa i conti con eventi antichi e inspiegabili. Martin, un ragazzo disturbato, si insinua nella famiglia di Steven, un chirurgo che sin dalle prime sequenze mostra una strana confidenza con il giovane: compiacenza raffreddata quella del medico, tipica delle relazioni tra umani di Lanthimos, che offre innanzitutto il via a un confronto tra maschere. Tra di loro, come per tutto il film, un aspetto immediatamente comprensibile convive con una dimensione meno decifrabile: le maschere che Steven e Martin portano, come quelle degli altri personaggi, sottendono un aspetto che condiziona la struttura apparentemente razionale delle relazioni e della rappresentazione, dove le individualità si trovano immerse in dimensioni in cui una forza cosmica archetipica domina sulle persone…
Anestesia di solitudini – Il cinema di Yorgos Lanthimos, Roberto Lasagna, Benedetta Pallavidino, Mimesis. Il cineasta greco quarantaseienne che ha fatto vincere un meritatissimo premio Oscar, e non solo, a Olivia Colman, uomo dalla visione del mondo e dell’arte assolutamente peculiare, raffinata, sorprendente, sfaccettatissima, significativa, evocativa, esegeta finissimo dell’ipocrisia che corrode ogni cosa, specialmente nel nostro mondo iperconnesso ma solo in apparenza, perché in realtà giorno dopo giorno deflagra sempre più la percezione dell’assenza di reali punti di riferimento, e detona come un boato l’eco disturbante e disturbata della solitudine (tutto pare scritto sull’acqua, destinato a non lasciare traccia, non c’è amicizia, solo la ferocia dell’uomo che, dimentico della lezione di Terenzio, è per l’altro uomo un lupo scorticato dalla fame), è il protagonista di questo saggio formidabile – sin dalla copertina – scritto a due voci, ma splendidamente amalgamate, che ne indaga la filmografia, inserendola in maniera assai riuscita nel più ampio contesto della contemporaneità e della settima arte: da non perdere.