di Gabriele Ottaviani
Non puoi fidarti dei tuoi sensi, e ancora meno puoi fidarti della tua immaginazione.
Il muro, John Lanchester, Sellerio. Traduzione di Federica Aceto. Meraviglioso sin dalla copertina, il romanzo dello scrittore e giornalista nato ad Amburgo, cresciuto in oriente, residente a Londra, dove lavora, e cittadino britannico, pluripremiato per la sua variegata attività, è intenso, stimolante, distopico, deflagrante, tragicamente attuale e al tempo stesso visionario, allegoria perfetta di una società sempre più violenta e diseguale: attorno alla Gran Bretagna è stato innalzato un muro presidiato dai Difensori per cingere l’isola dagli Altri, che cercano il loro posto nel mondo, un pezzo di terra asciutta, un lembo di fortuna per vivere e sopravvivere, mentre il clima, sempre più violentato, ha ormai imboccato una strada senza ritorno. E nessuno può sottrarsi al suo turno di presidio, nemmeno Kavanagh: che quindi per settecentoventinove giorni della sua vita è costretto, come un nuovo tenente Drogo, ad attendere. E se ogni cosa sembra immota tutto, in realtà, si sviluppa in una grumo di tensione, che è quella che attanaglia l’uomo moderno dinnanzi a una realtà in cui non si riesce a riconoscere: magistrale.