di Gabriele Ottaviani
«Piccolo, stai bene?» domandò ancora, prendendomi la mano e strofinandola con le dita quasi avesse voluto scaldarla. Sperai ardentemente che non notasse quanto ce l’avessi sudata e appiccicaticcia, come d’altronde ero in tutto il resto del corpo. «Sì, no, sto bene. Scusa,» risposi. «E tu stai bene?» Aiden seguì la direzione del mio sguardo. Edward e la moglie se n’erano andati da un pezzo. «Sì,» mormorò. «Non volevo metterti a disagio. Scusami davvero.» «Ti va di parlarne?» chiesi. Si capiva che non voleva, ma invece di dirmelo annuì, poi si armò di coraggio, fece un respiro e bevve un sorso di vino. «Mi ha dato la colpa per quello che è successo a Danny. Ok, sapevo che l’avrebbe fatto visto che non ho detto a nessuno cos’è successo veramente, ma…» «Avevi comunque bisogno di lui per rassicurarti che non fosse colpa tua,» suggerii. A Aiden scappò una risata amara. «Da pazzi, eh? Anche se mi sentivo responsabile, non volevo che lui mi biasimasse.» Mi rincuorò che parlasse della sua colpa al passato, ma tenni quel pensiero per me e, giocherellando con le sue dita, dissi: «No, Aiden, non è da pazzi. «Non avete mai parlato di cos’è successo quella notte?» «Non ci siamo più rivolti la parola.» «Come?» domandai. «È rimasto dopo il funerale il tempo necessario per dirmi che era colpa mia se Danny era morto, dopodiché se n’è andato. L’ho visto solo un’altra volta, sulla sezione società del giornale, quando ha trovato una nuova moglie trofeo per sostituire la modella precedente.» «Avete sempre avuto un rapporto così?» Aiden scosse la testa. Rimase in silenzio quando la cameriera arrivò con i piatti. Infilzò il cibo con la forchetta, ma non cominciò a mangiare. «In realtà quando ero piccolo eravamo molto legati. Certo, era preso dal lavoro, ok, ma faceva del suo meglio per ritagliarsi un po’ di tempo per me e Danny. Ma quando ha scoperto che mia madre lo tradiva, è andato tutto a scatafascio.» «Non è stato presente?» chiesi. «Ci ha provato, ma credo non fosse facile per lui stare attorno a mia madre e Keith, il tipo per cui lei lo aveva lasciato. In sostanza si è buttato a capofitto nel lavoro. Andava tutto bene quando lo vedevamo nei weekend e simili, ma lui non era più lo stesso. Poi Danny è morto e…» Aiden scosse la testa, ma non finì la frase. «Ha detto che ha cercato di farsi sentire…» dissi piano. Aiden infilzò una patata. «Eh sì, dall’anno scorso più o meno. Chiamate in ufficio, perlopiù. Per chiedermi di incontrarlo… diceva che c’erano cose di cui voleva parlarmi.» «Ma non l’hai più richiamato.» «A che scopo? Per sentirmi dire ancora che cazzata ho fatto?» «Forse vuole provare a rimediare.» Aiden si mise a tagliare la bistecca. «Poco importa, è troppo tardi,» mormorò. Si fermò, mise giù le posate. «Scusa.» «Non scusarti,» lo rassicurai. «Ti capisco.» Ripensai a Billy e a tutte le volte in cui avrei voluto che si scusasse per davvero. Anche se per qualche miracolo fosse spuntato dal nulla e si fosse messo in ginocchio per chiedere di cuore di perdonarlo, implorandomi, dubitavo che avrei mai accettato il suo pentimento. Quindi era ovvio che non potessi biasimare Aiden per la sua rabbia. Aveva passato qualcosa che nessun ragazzo dovrebbe vivere e, nonostante la perdita, i suoi genitori avrebbero dovuto capire che avevano il compito di abbracciare il figlio rimasto, non di allontanarlo per qualcosa che, a prescindere dalle circostanze, non era colpa sua. E suo padre aveva fatto peggio ancora. Aveva incolpato un figlio per la perdita dell’altro prima di cancellarlo del tutto dalla propria vita. Non c’era da stupirsi che Aiden non avesse soltanto il fardello della morte di Danny sulle sue spalle. Com’era prevedibile, lui spostò la conversazione su di me, ricoprendomi di lodi per la mia performance di quella sera. Mi costrinsi ad accantonare i pensieri su Billy per concentrarmi sull’uomo che avevo di fronte. Trascorremmo il resto della cena parlando del più e del meno, e quando giunse l’ora di andarcene dal ristorante, Aiden mi cinse le spalle con il braccio e mi si avvicinò all’orecchio con le labbra. «È il momento giusto per ricordarti che stanotte mi devi non uno, ma ben due pompini?» Ebbi un brivido di piacere all’idea, poi girai la testa quanto bastava per incontrare le sue labbra. «Come se mi servisse il promemoria, genio. Secondo te perché non ho voluto il dolce?»
Sani e salvi, Lucy Lennox, Sloane Kennedy, Triskell, traduzione di Andrea Dioguardi. Aiden è un vincente. È ricco. È bello. È di successo. È libero come l’aria. Non c’è uomo che gli resista, anzi, lui non deve fare nulla, sono gli altri che direttamente si gettano, e non è un’iperbole, ai suoi piedi. Nessun impegno, no strings attached, solo il godimento sempre nuovo, diverso e appagante d’una notte. Eppure spesso quando pensi di avere tutto in realtà hai proprio poco, e il destino ha deciso qualcosa di diverso per te, di farti incontrare l’amore vero dall’altro lato del bancone di un bar che frequenti d’abitudine e dove un ragazzo fragile sta cercando salvezza e indipendenza, in primo luogo economica, per poter fuggire alle vessazioni di un compagno violento. E tu, che sei sempre apparso superficiale, hai occasione di mostrare la tua reale generosità e di aprirti con qualcuno che forse davvero può capire l’angoscia che provi, anche se a uno sguardo distratto non può sembrare niente di meno che assurdo il fatto che qualcosa possa rabbuiarti: ma in verità tu vuoi salvare per essere salvate… Chi però s’è scottato col fuoco ha paura anche dell’acqua, e diffida: ma si può resistere alla ragione del cuore? Intenso.