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“Il detenuto zero”

9788862433686_0_150_0_75.jpgdi Gabriele Ottaviani

Nella mente di Blackhead si era fissata in modo indelebile l’ultima dichiarazione delle memorie di Russell: “Tre passioni, semplici ma irresistibili, hanno governato la mia vita: la sete d’amore, la ricerca della conoscenza e una struggente pena per le sofferenze dell’umanità. Queste passioni, come forti venti, mi hanno sospinto qua e là secondo una rotta capricciosa, attraverso un profondo oceano di dolore che mi ha portato fino all’orlo della disperazione.

Il detenuto zero, Yiannis Karvelis, Voland, traduzione di Giuseppina Dilillo. Nell’America di dieci anni fa tre ragazzi, tre immigrati di seconda generazione, tre geni della matematica, sono assunti per elaborare i sistemi di controllo di Isolamento. Che, come il nome, in verità decisamente inquietante, lascia intendere senza dare adito a dubbi, è un nuovo carcere di massima sicurezza. L’impiego crea nei giovani non pochi scrupoli, com’è prevedibile, di carattere etico, che finiscono per metterli in pericolo. Diventano infatti loro stessi i primi ospiti del penitenziario che hanno contribuito a edificare, i primi topolini che rischiano lo stritolamento all’interno degli ingranaggi del potere. I tre sono abili, però, e hanno capacità formidabili, tanto che… più che un romanzo un labirinto, di straordinario fascino.

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