di Gabriele Ottaviani
Lunedì mattina presto, contro ogni buon senso, Belle si incamminò verso il commissariato di polizia. Ripensò alla conversazione con Oliver Donohue e, rammentando quei penetranti occhi azzurri, si rese conto che non vedeva l’ora che arrivasse mercoledì per rivederlo. Malgrado la sua posizione anticolonialista, le aveva mostrato un lato generoso di cui sentiva di potersi fidare. Aveva anche mantenuto fede alla parola data e le aveva lasciato un biglietto alla reception con il nome del suo contatto: Norman Chubb. Aveva già scoperto che gli ufficiali di basso rango delle forze di polizia erano per la maggior parte sikh, mentre i britannici occupavano posti dirigenziali, e quell’uomo era un investigatore, quindi doveva essere un bene. Entrò nell’imponente edificio e scrutò l’atrio. C’erano quattro porte chiuse e inaccessibili. Bussò a quella più grande, sperando che il pesante portone di legno marrone scuro fosse quello giusto. Silenzio. Aspettò, poi bussò di nuovo, restando costernata quando una voce furente le urlò di levarsi dai piedi. La respirazione accelerò e cominciò a batterle forte il cuore, ma, non lasciandosi scoraggiare, provò ancora, e stavolta socchiuse anche la porta…
La sorella perduta, Dinah Jefferies, Newton Compton, traduzione di Tessa Bernardi. Belle ha una voce stupenda, e una nuova magnifica avventura l’attende. In Birmania, nell’anno del Signore millenovecentotrenta, non aspettano che lei: ha una vita meravigliosa. Almeno in apparenza. Perché infatti c’è un mistero che la ossessiona, un dubbio da cui non riesce a liberarsi, una domanda alla quale brama di dare risposta, e che concerne la sorte della sorella che non sapeva di avere e della cui esistenza è venuta a conoscenza soltanto quando, morti i suoi genitori, si è imbattuta per caso in un vecchio ritaglio di giornale che apre la strada per una ricerca della verità che però è tempestata di ostacoli, maldicenze, pettegolezzi… Intrigante, avvincente, ben caratterizzato.