
di Gabriele Ottaviani
Stare in loro compagnia era sempre molto piacevole, ma parlare con loro si rivelò, al solito, una prova superiore alle mie forze: presentò, all’atto pratico, difficoltà insormontabili tanto quanto in precedenza. Quella situazione si protrasse per un mese, con nuove aggravanti e note particolari, soprattutto quella, sempre più stridente, della consapevolezza venata d’ironia dei miei allievi. Non era – ne sono certa oggi come allora – un semplice frutto della mia infernale immaginazione: era facilissimo accorgersi che si rendevano conto della situazione difficile in cui mi trovavo, e quella strana relazione, in un certo senso, condizionò per molto tempo l’atmosfera nella quale ci muovevamo. Con questo non voglio dire che fossero insolenti o che si comportassero in modo inappropriato, perché non c’era da temere quel genere di cose da parte loro; voglio dire, invece, che tra noi l’elemento che divenne più palpabile fu quello del non detto e del non menzionato, e che tale cura nell’evitare certi temi poteva essere frutto soltanto di un tacito accordo. Era come se, di quando in quando, c’imbattessimo in argomenti davanti ai quali dovevamo arrestarci di colpo, abbandonando improvvisamente strade che si rivelavano vicoli ciechi, chiudendo, con un colpo secco che ci spingeva a guardarci l’un l’altro…
Giro di vite, Henry James, NUA, traduzione di Chiara Messina. Celeberrima novella dell’orrore adattata pressoché in ogni modo e maniera sin da quando in origine apparve addirittura a puntate nel milleottocentonovantotto sulla rivista Collier’s Weekly e poi nel libro Two Magics, edito a New York da MacMillan e a Londra da Heinemann, è oltre a essere uno dei grandi classici anche una pietra miliare e uno spartiacque, ricchissima di livelli di lettura e chiavi d’interpretazione: rivive in questa nuova veste per Nua e non smette mai di solleticare nel lettore lo stimolo a indagare le profondità dell’anima. Imperdibile.