di Gabriele Ottaviani
«Io ho per le mani la notizia che può cambiare la mia vita, oltre che contribuire a salvare quella di molta gente. Lo sa che i farmaci per curare i feriti sono già arrivati in città, ma vengono somministrati solo ai militari degli Alleati? E questi sarebbero i benefattori che vengono a salvarci? E come? Avvelenandoci con la loro merda e tenendosi la carta igienica che serve a tirarla via?» «Non alzare la voce, Luca, e non essere volgare. Non l’ho deciso io. Sei in aspettativa fino a quando la proprietà del giornale non deciderà altrimenti. Ed è meglio così… magari non condannerai a morte nessun’altro» lo annientò il direttore. Ferito a morte da ciò che gli era stato detto, Luca lasciò la stanza del direttore che si accomodò meglio nella sua poltrona di legno e imbottiture di velluto rosso, prese la cornetta e compose il numero della prefettura. «È stato messo in aspettativa, come chiedevi. Ti ripeto che io non sono per niente d’accordo e che secondo me questa roba delle armi chimiche non dovrebbe passare sotto silenzio. Peraltro, non hanno messo a disposizione della popolazione i farmaci che riducono gli effetti di quella roba che puzza d’aglio… Sì, sì, lo so che ormai chi doveva morire è già morto, ma è inaccettabile che questo schifo venga insabbiato. Prefetto, io spero che tu abbia una buona motivazione per avermi imposto di mandare a casa uno dei miei migliori giornalisti. Lo spero proprio tanto.» Luigi de Secly, il direttore della “Gazzetta”, poggiò la cornetta di bachelite sulla scrivania, mentre la voce di Arpino gli arrivava parziale. Prese un sigaro e, quando si accorse che quello aveva smesso di dire le sue cazzate, riprese la cornetta e salutò con distacco e formalismo.
Castigo di Dio, Marcello Introna, Mondadori. Amaro è il nome con cui tutti conoscono un uomo. Che certo non è noto per essere una persona raccomandabile, anzi. È corrotto, pericoloso, cattivo. Siamo a Bari, nel millenovecentoquarantatré, mentre il regime fascista sta avvizzendo, e Amaro decide di compiere un’azione orribile: rapire una bambina. Ha dodici anni, ed è la figlia di uno dei principali latifondisti del circondario. A Bari c’è la Socia. Che non è un semplice, per quanto grande, palazzo, bensì una sorta di fatiscente simulacro di un tempo che è stato, una gigantesca corte nei cui meandri gravitano personaggi inquietanti, altri rispetto alla norma. Amaro è il re della Socia. Nonché il capo della malavita. Traffica in borsa nera, spaccio, prostituzione. C’è chi lo foraggia e chi tenta di mettergli i bastoni fra le ruote. E chi, umilissimo, un fabbro, solitario, di poche, pochissime, misurate parole, Salvio, decide addirittura di lanciargli un guanto di sfida. Per il motivo più nobile e potente del mondo. L’amore. È un affresco dove non manca un colore, una ricetta in cui ogni gusto trova piacere e soddisfazione, amalgamato in modo equilibrato e perfetto il romanzo di Introna, che commuove, intriga, coinvolge, emoziona, appassiona, sconvolge ed esalta. Epico.