di Gabriele Ottaviani
Domenico Astuti è l’autore dell’intenso Il senso di una vita immaginata: Convenzionali lo intervista per voi.
Da dove nasce questo romanzo?
Un romanzo nasce da tante premesse comunicative, che sono private, pubbliche e appartengono al sogno e alla fantasia. Ma anche in parte a debiti narrativi minimi e massimi. Il senso di una vita immaginata nasce da questo magma, a volte con pensieri contraddittori e apparentemente poco conciliabili. E’ un viaggio a vari strati emotivi ed esistenziali fatto con lo stile dell’improvvisazione e in parte anti narrativo.
La sua opera affronta numerosi temi: qual è per lei il significato della libertà?
La libertà in questi tempi è una parola così disossata e dissacrata che sembra alla portata di tutti come se ci trovassimo in un supermercato. In realtà ha bisogno di continua conquista e anche di distonia quotidiana. La libertà è come l’aria all’alba ma anche faticosissima, per i prezzi che si pagano.
Della memoria?
Bisognerebbe utilizzarla con molta cura e circospezione.
Della famiglia?
Esiste ancora in Occidente. Come scelta o conseguenza ?
Del tempo?
Ma il tempo in fondo non esiste, siamo noi a costruircelo per bisogno di sicurezza o di ribellione.
Dell’amore?
Parola ancora troppo semplice per non essere complessa.
Perché scrive?
Perché si scrive? Per fantasticare, per pensare, per fermare una parte di tempo provvisorio, per fuggire della realtà o forse per comprenderla, per dare un senso a delle vite immaginate o perché è il modo più economico per viaggiare.
Qual è il ruolo dello scrittore nella società?
In questa società non ci sono reali ruoli, sono solo delle apparenze collettive. Il ruolo dell’artista si è fermato in qualche modo al secolo scorso.
Qual è la situazione culturale italiana?
La cultura è anche la proiezione della società che la produce (tranne forse che nel Rinascimento), quindi non molto dissimile oggi dalla politica, dalla società dello spettacolo, dal mondo del lavoro.
Quale libro avrebbe voluto scrivere e quale non ha ancora scritto ma scriverà?
Delle pagine di Cèline o di Camus o di Joseph Roth, di Zweig, di Canetti… Che comunque non potrei mai scrivere. Quello che scriverò è ancora nel mio Es.