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“Ultimo parallelo”

di Gabriele Ottaviani

È evidente che hanno perso l’orientamento interiore anche se la rotta disegna una perfetta linea retta. Intorno a loro è solo luce e bianco. E più s’inoltrano verso l’interno del continente e più questa sensazione assume toni inquietanti. Alle loro spalle svaniscono in un’atmosfera lattiginosa le montagne che hanno appena attraversato. Non c’è terra visibile, non c’è momento del giorno né posizione del sole che possa rassicurarli sull’ora o sul cammino trascorso e non c’è neppure meta individuabile se non nei calcoli di Bowers, effettuati con orologi che discordano e senza l’aiuto del sole, che scorre parallelo all’orizzonte con variazioni così impercettibili da risultare inaffidabile.

Ultimo parallelo, Filippo Tuena, Il saggiatore. Con una prefazione dell’autore e un’appendice di brani inediti. Là dove non osano nemmeno le aquile, là dove il mondo finisce: è la storia, epica, simbolica e universale pur nel suo essere particolarissima, dell’Antartide e della sua mancata conquista da parte di un manipolo di uomini certo non fatti per viver come bruti ma anzi bramosi di essere artefici del proprio destino quella che Filippo Tuena magistralmente racconta, quella del capitano britannico Robert Falcon Scott, che, centonove anni e pochi giorni fa, dopo un viaggio di settecentocinquanta miglia, durante il quale non si è tirato indietro nemmeno di fronte al più misero abbrutimento, immerso nel ghiaccio a perdita d’occhio, raggiunge il polo sud insieme a quattro compagni e scopre di non essere il primo, anzi, di essere il primo dei perdenti. Perché già Amundsen aveva infisso nella candida coltre il suo vessillo affinché garrisse a imperitura memoria… Splendido.

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“Fotocopie”

di Gabriele Ottaviani

Seduti sull’erba, ci arrivava il verso dei polli del vicino e dei piccioni nella piccionaia. Non c’erano nubi. A occidente il sole d’agosto stava calando molto lentamente e la luce era diffusa e ampia – quasi fosse riflessa dall’intero Atlantico. Lei stava prendendo alcuni disegni da una cartella che aveva portato al piano di sotto. La casa aveva quattro stanze, incluso il bagno. I disegni erano avvolti nella carta velina come abiti ripiegati. Metodicamente, a uno a uno, li ha tolti dal loro involucro e li ha posati sull’erba. Pago dodicimila pesetas al mese per la casa, aveva detto. Ci sono disegni che sono studi preparatori e altri che sono abbozzi di capolavori a venire. Esistono infiniti tipi di disegno. Quelli posati adesso sull’erba erano scritti come lettere. La più straordinaria raccolta di disegni di questo tipo – disegni scritti come lettere – la si può trovare al Kunstmuseum di Berna e fu realizzata da Paul Klee negli anni tra il 1927 e il 1940. (Gli anni della mia infanzia; la prima volta che vidi la riproduzione di un quadro di Klee fu nel 1940, l’anno della sua morte.) Questi disegni a matita di Klee parlano, fra le altre cose, dell’ascesa del fascismo, dei suoi amori, della sua salute e della sua morte annunciata.

Fotocopie, John Berger, Il saggiatore. Edizione italiana e traduzione a cura di Maria Nadotti. Ogni vita influenza inevitabilmente tutte quelle in cui, anche per un solo fugace istante, si imbatte, casualmente come un urto: è per questo che ogni esistenza è unica, irripetibile, necessaria, irrinunciabile, fondamentale, incomparabile, speciale, sia che il serto d’alloro della gloria imperitura, della fama e della celebrità abbia, fosse anche brevemente, cinto la nostra testa sia che si resti vivi solo nei ricordi di qualcuno, un rumore di fondo, una pagina sbiadita, un pensiero neghittoso, una foto un po’ gialla, ma che un tempo ha brillato di tinte vivide come le immagini di questi incontri, tessere di un mosaico esistenziale ammaliante e tenerissimo, intimo e bello, che Berger racconta definendo, in giro per il tempo e per lo spazio, la condizione umana nella sua essenza, la vita, nella sua irrefrenabile  persistenza, come quella del profumo di chi manca, ma ci ha lasciato i suoi abiti e i suoi valori.

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“Nuovo cielo, nuova terra”

di Gabriele Ottaviani

Armstrong, che a un esame superficiale sembra essere uno dei componenti «altruistici» di un vasto macchinario, ma che di fatto è un individuo unico quanto Mailer stesso, ci parla attraverso Mailer: e dà voce a una nuova coscienza, che accetta nel bene e nel male il fatto che, nell’evoluzione, il vecchio inconscio diviene conscio, deliberatamente, in una maniera faustiana (in assenza di altro termine) – che, persino al suo culmine (il Vietnam), è espressione di un combatti‑ mento teleologico, semi‑inconscio, semi‑conscio, che si può ritenere responsabile dei suoi disastri e delle sue vittorie senza fare ricorso ad attribuzioni arcaiche di Bene e Male. Volendo essere romantici, possiamo dire che sta speculando sulla psicologia delle macchine – o che riesce a «guardare di nuovo il mondo con gli occhi di un selvaggio consapevole che l’universo era una serratura, e che la sua chiave era la metafora, non il giudizio». Data una visione di questo tipo, Mailer di certo ha davanti a sé la sua opera più raffinata; sarà interessante vedere se riuscirà a mettere da parte la sua biforcazione nichilistica della natura umana, che ha proiettato invano verso l’esterno, verso la civiltà, desideroso di condividere il suo desiderio di «attuare una rivoluzione nella coscienza del nostro tempo» insieme a una moltitudine d’altri che non erano rivali, né «fratelli assassini», ma adulti illuminati coinvolti nella comune ricerca della «logica dell’astratto».

Nuovo cielo, nuova terra – L’esperienza visionaria in letteratura, Joyce Carol Oates, Il saggiatore. Traduzione di Viola Di Grado. God bless Joyce Carol Oates, la più brava e prolifica di tutte, nel gotha della letteratura con Anne Tyler (Se mai verrà il mattino, L’albero delle lattine, Una vita allo sbando, Ragazza in un giardino, L’amore paziente, Una donna diversa, Il tuo posto è vuoto, La moglie dell’attore, Ristorante nostalgia, Turista per caso, lezioni di respiro, Quasi un santo, Per puro caso, Le storie degli altri, Quando eravamo grandi, Un matrimonio da dilettanti, La figlia perfetta, Una spola di filo blu), Joan Didion (Prendila così, Diglielo da parte mia, Democracy, Miami, L’anno del pensiero magico, Blue nights, Run river), Annie Proulx (Cartoline, Avviso ai naviganti, I crimini della fisarmonica, Gente del Wyoming, Quel vecchio asso nella manica), Elizabeth Strout (Resta con me, Olive Kitteridge, I ragazzi Burgess, Mi chiamo Lucy Barton, Tutto è possibile), Penelope Lively (Una spirale di cenere, Un posto perfetto), Marilynne Robinson (Le cure domestiche, Gilead, Casa, Lila), Jane Urquhart (Niagara, Cieli tempestosi, Altrove, Klara, Sanctuary Line, Le fasi notturne), Catherine Dunne (La metà di niente, L’amore o quasi, Se stasera siamo qui, Donne alla finestra) ed Edna O’Brien (Ragazze di campagna, Un cuore fanatico, Lanterna magica, Le stanze dei figli, Uno splendido isolamento, Lungo il fiume, oggetto d’amore, Tante piccole sedie rosse): ogni scrittore è un artefice, ma ci sono artisti che JCO non ha timore, e ha ragione di farlo, di definire mistici e visionari, perché vanno oltre la trama, i personaggi, gli accadimenti, vogliono penetrare il mistero, l’inconnu, rispondere alle domande dell’esistenza, metamorfiche e destabilizzanti. Si tratta di autori del calibro di Virginia Woolf, Henry James, Franz Kafka, D. H. Lawrence, Flannery O’Connor e tanti altri, che solo una maestra della letteratura e un’intellettuale impareggiabile come Joyce Carol Oates poteva analizzare con tale perizia e sensibilità. Da leggere, rileggere, far leggere, studiare e far studiare.

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“L’iris selvatico”

di Gabriele Ottaviani

Like a protected heart,

the blood‑red

flower of the wild rose begins

to open on the lowest branch,

supported by the netted

mass of a large shrub…

L’iris selvatico, Louise Glück, Il saggiatore. Traduzione e postfazione di Massimo Bacigalupo. Con testo originale a fronte. Il tempo passa e tutto erode, corrode, fagocita, scorre, ineffabile, inesorabile, inarrestabile. Bisogna godere dell’attimo, prima che appassisca, prima che la bellezza ceda il posto alla morte, che non ha eguali in fatto di eternità: gli splendidi paesaggi del New England nella cui fertile terra affondano le radici della scrittrice premio Pulitzer, docente a Yale, vincitrice del National Book Award, insignita del titolo di poeta laureato degli Stati Uniti d’America e premiata con il Nobel quest’anno, per citare pedissequamente la motivazione dell’accademia, per la sua inconfondibile voce poetica che con l’austera bellezza rende universale l’esistenza individuale, sono lo scenario universale per il garrulo e vivificante zampillare delle emozioni, descritte con accenti lirici elegantissimi.

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“Averno”

di Gabriele Ottaviani

Listen: at the path’s end the man is calling out.

His voice has become very strange now,

the voice of a person calling to what he can’t see.

Averno, Louise Glück, Il saggiatore. Traduzione di Massimo Bacigalupo. Con testo originale a fronte. La conoscono in pochi dalle nostre parti, purtroppo, ma ha appena vinto il Nobel, e con pieno merito, perché la sua voce poetica è cristallina, come le acque del lago Averno, che per gli antichi era addirittura la porta per l’altrove: e del resto a cosa serve la poesia, se non a spiegare la paura per l’ignoto, a penetrarne il mistero, a raccontare l’irraccontabile, a conoscere l’inconoscibile? Magnetica.

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“Lettere”

di Gabriele Ottaviani

Ems 5/17 giugno/75.

Stimatissima e carissima Elena Pavlovna,

Vi scrivo da Ems (nei pressi del Reno), dove mi sto curando con le acque minerali del luogo per la mia malattia polmonare. I dottori mi hanno consigliato in coro di venire qui e mi hanno messo di fronte agli esiti peggiori se non fossi venuto (come è successo al defunto P.M. Leont’ev che soffriva della stessa malattia). L’anno scorso venire a Ems mi è stato di grande giovamento e certamente adesso capisco con chiarezza che se l’estate scorsa non fossi stato a Ems, probabilmente quest’inverno sarei morto. Di questa malattia si muore a volte all’improvviso, per la più lieve indisposizione, per un raffreddore, se la malattia ha preso ormai possesso dell’organismo. Sto qui, bevo l’acqua e mi annoio talmente tanto che temo di impazzire. Non pensate, mia cara Elena Pavlovna, che io abbia preso in mano la penna per noia: anche così mi sembra di lavorare come un forzato al romanzo che sto scrivendo…

Lettere, Fëdor Dostoevskij, Il Saggiatore. A cura di Alice Farina. Traduzione di Giulia De Florio, Alice Farina e Elena Freda Piredda. Spesso si eccede nel sovrapporre la dimensione privata di un autore a quella artistica, come se necessariamente si dovesse trovare nella sua opera una diretta aderenza alla sua biografia: d’altro canto che ogni prodotto dell’umano ingegno non possa non portare tracce del suo artefice, essendone connesso, figlio e frutto, è evidente, così come del resto non si possa prescindere dalla contemporaneità e dall’obiettivo della posterità, visto che si scrive per esser letti, per comunicare e per dar voce a un’esigenza che arde, anche quando si inventano mondi altri, fondati però, ineluttabilmente, su comuni istanze. Pertanto vedere come uno scrittore fra i più importanti, grandi e celebrati della storia della letteratura, che è in fondo quello sbirciare nelle luci delle case degli altri per trovare vestigia di sé, si relazioni col mezzo della missiva è comunque molto interessante: e le lettere di un finissimo esegeta dei meandri dell’animo umano come Dostoevskij sono assolutamente da non farsi sfuggire.

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“Vite di nove ipocondriaci eccellenti”

di Gabriele Ottaviani

Gould in primis aveva solo una conoscenza fugace del Nord…

Vite di nove ipocondriaci eccellenti, Brian Dillon, Il saggiatore. Traduzione di Alessandra Castellazzi. L’ansia non è produttiva, si sa, e del resto se un problema ha soluzione non vale la pena preoccuparsene. Così come se del resto rimedio non c’è, perché vuol dire che non si può far niente di niente. L’ipocondriaco invece un’ansia ce l’ha, eccome, anzi, la sua è una vera e propria generalizzata, indistinta e multiforme angoscia, il puro terrore di ammalarsi, patire, soffrire, perdere salute e libertà, dipendere, morire, anche contro ogni ragionevole logica, fermo restando che il fatto che la vita, perlomeno quella terrena, abbia una fine è assolutamente inevitabile, e, anzi, è anche una delle poche cose equanimi, a cui non interessano gusti sessuali o conti in banca, tanto per dire: nonostante quest’autoinferta menomazione alla propria serenità, però, certi ipocondriaci riescono ad avere esistenze eccellenti, gloriose, ammirate, persino invidiate, al netto di una mania che accomuna Warhol a Darwin, e certamente a molti altri (Carlo Verdone ci ha costruito buona parte della sua fortuna d’attore e regista…): nove biografie piacevoli come romanzi, da conoscere per conoscere.

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“Alfabeto di bambola”

di Gabriele Ottaviani

I pesci sparirono nel corso della notte a mano a mano che i marinai li rubavano…

Alfabeto di bambola, Camilla Grudova, Il saggiatore. Traduzione di Andrea Morstabilini. Vive a Toronto, ha pubblicato sulle prestigiosissime colonne di White Review e Granta, si è laureata a Montréal in storia dell’arte e in tedesco  e ha una scrittura simbolica, funambolica, grottesca, surreale, geniale, che penetra l’orrore, l’ambiguità, la marcescenza, la contraddizione del quotidiano, e che in questa raccolta di racconti, in cui limpidissima si avverte anche l’eco di Margaret Atwood, pur nell’originalità della sua preziosa tessitura, affronta, in maniera lirica e onirica, le ossessioni, le perversioni, le inquietudini e le angosce del nostro tempo, fra polpi, polene, donne lupo e macchine per cucire… Intrigante.

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“Gita al fiume”

di Gabriele Ottaviani

La confrontai, la morte di Simone, con una storia narrata da Matteo di Parigi, che risale a subito prima che la guerra entrasse nel vivo. Il re fu sorpreso da una tempesta e dovette cercare riparo nel palazzo del vescovo di Durham, dove per caso si trovava ospite anche Simone. Questi, sapendo che Enrico aveva paura dei temporali, gli andò incontro sui gradini per salutarlo e, vedendolo pallidissimo in volto, gli domandò come mai fosse ancora tanto impaurito ora che il pericolo era passato. Il re, afferma Matteo, rispose: «Temo oltremodo i tuoni e i fulmini, ma, sulla Testa di Dio, temo te più di tutti i tuoni e i fulmini del mondo». Era stata la replica del conte a colpirmi. «Mio signore, è ingiusto e incredibile che voi dobbiate temere me che sono un vostro amico fidato, che sono sempre fedele a voi e alla vostra stirpe, nonché al regno d’Inghilterra; sono i vostri nemici, i vostri distruttori e falsi adulatori che dovreste temere.»

Gita al fiume – Un viaggio sotto la superficie, Olivia Laing, Il saggiatore. Traduzione di Francesca Mastruzzo e Giulia Poerio. Scrittrice e critica letteraria inglese di chiara fama che collabora fra l’altro con il Guardian, testata in assoluto fra le più prestigiose non solo a livello britannico ma internazionale, voce narrativa potente e cristallina già comparsa nel catalogo del Saggiatore, Olivia Laing, per superare una crisi depressiva che la attanagliava, per certi versi simile, ma per altri diversissima, da quella raccontata da Yiyun Li nel volume pubblicato da NN Caro amico, dalla mia vita scrivo a te nella tua, altra pubblicazione capitale degli ultimi anni, decide un giorno di partire. L’acqua esercita su di lei una seduzione magnetica, e quelle in particolare di un fiume ben specifico la attrae irresistibilmente: sono le anse in cui, con le tasche piene di sassi, Virginia Woolf si è abbandonata. Compiendo un viaggio nella memoria, nel dolore e nel potere salvifico della letteratura, trascendendo ogni regola, superando ogni confine, Olivia Laing regala a ogni lettore pace e grazia. Sublime.

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“Stella nera”

di Gabriele Ottaviani

Nei giorni seguenti percorremmo i sentieri lungo il mare, da un piccolo borgo all’altro, da Rabac a Santa Marina. Così, errando, tornavi a possedere la tua terra. Ritrovavi ogni svolta, ogni deviazione, come se quei sentieri li avessi percorsi il giorno prima. E della tua terra, che non avresti scambiato con nessun’altra, facevi dono a me, che ero nata in una città di lago, una provincia chiusa, per me più difficile da amare. Vi trasferiste – mi hai raccontato – da Albona a Pola, e l’avventura della tua infanzia fu il viaggio in macchina da Pola a Milano – ore e ore – per far visita al nonno paterno. A Milano esistevano ancora i Navigli, che ne facevano un’altra incantata città d’acqua. Fu la prima uscita dal tuo mondo. E a Milano, dove la tua famiglia in seguito si trasferì, ti aspettava un primo ostacolo: tu che da adulto avresti parlato più lingue con un accento perfetto, allora conoscevi bene solo il tuo dialetto istriano. In un tema scrivesti audacemente: «L’eroica madre si sgnaccò nel pozzo». Ti toccò ripetere una classe che avresti poi recuperato. Ho davanti alla mente una tua foto a quell’età: la frangia sugli occhi che incontrano l’osservatore con uno sguardo di sfida, un giubbetto a piccoli riquadri, un bambino venuto da lontano, che lontano vorrebbe schizzare da quell’angolo in cui l’hanno temporaneamente confinato. Nei prati della periferia ancora verde, raggiungibile da casa tua, avresti giocato al pallone…

Stella nera – Frammenti di una vita a due, Marisa Bulgheroni, Il saggiatore. Come si fa ad accettare, a elaborare, a sopportare la perdita? Come si fa ad andare avanti, nonostante tutto? L’amore è tutto, l’amore muove il sole e le altre stelle, l’amore è assenza e dunque più acuta presenza quando uno se ne va e l’altro resta. Ma si sa, la gioia è insegnata dal dolore, l’acqua dalla sete, l’amore da un’impronta di memoria: rimasta vedova dopo mezzo secolo di simbiosi, Marisa Bulgheroni, à la Didion, affronta il lutto eternando la rimembranza. Emozionante, struggente, intimo, delicatissimo, maestoso, commovente, tenerissimo, particolare e quindi più che mai universale.

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