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“1973”

di Gabriele Ottaviani

Mi sento inadeguata a questa vita, forse proprio alla vita.

1973, Alfonso Capanna, Angela Falcucci, Vincenzo Falcucci, Il Foglio. In barca gli spazi sono ristretti, per forza di cose si convive, e c’è un punto in particolare nel quale è impossibile non incontrarsi: questo luogo fisico è pertanto un punto di raccordo e di raccolta anche per le emozioni, le sensazioni, le confidenze, le impressioni, le speranze di tutti coloro che attraversano assieme un tratto del loro cammino di vita e di navigazione. Questo testo, corredato da belle immagini, fa viaggiare il lettore sulla scia della nostalgia: appassionante.

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“Confini”

di Gabriele Ottaviani

Cachi è il paese in cui vedo parte del carnevale. È il paese dei cani strani, quelli che non avevo mai visto prima. Certe cose non bisognerebbe raccontarle o spiegarle. Certe cose andrebbero viste. Un pastore tedesco con il muso più bello, quello che qualsiasi compratore vorrebbe, è seguito dal corpo di un bassotto. Lo stesso è per un rottweiler. E così è per il labrador e tutti gli altri cani, a questo punto più o meno di razza. Facce di razza e corpi di bassotto. Sembrano cartoni animati. Il carnevale di Cachi lo vedo a più riprese, una parte una sera, una parte un pomeriggio. I diavoli sfilano per le strade polverose del paese. Il fumo e il profumo di asado in cottura esce da ogni casa. Casse di birra. I bambini giocano a spruzzarsi e a ricoprirsi di schiuma bianca. Si apre una porta, che è la casa più antica del paese. Apparteneva a un dottore norvegese. Oggi è di una famiglia che produce vino. Le bottiglie prodotte, tra malbec, torrontés, cabernet e tannat, sono circa tredicimila, la qualità è alta e la barricaia è piccina. Andare via da Cachi significa lasciare Valle Encantado e il Parco nazionale dei cardones. Oltre che queste vallate dai mille colori e dalle mille forme, mi colpiscono proprio questi, i cardones. A volte sono talmente tanti concentrati in uno spazio di terra che assumono la forma di uomini che sembrano camminare verso l’entrata di un concerto. Altre volte li ho visti raggruppati sulla cima di una collinetta e sembravano pastori in fila che camminano. Ne ho visti a due a due vicini simili ad amanti. Uno piegato verso l’altro come per baciarlo, oppure attaccati come ad abbracciarsi.

Confini – Yuma e il Nord argentino, Maura Fioroni, Il Foglio. Alla sua nuova pubblicazione Maura Fioroni conduce il lettore con mano sicura in un percorso suggestivo, intenso, avvolgente, avvincente, emozionante, punteggiato da immagini evocative sia fotografiche che per il tramite di una scrittura densa e piena di senso che indaga la dimensione del confine, luogo fisico ma anche spirituale, fin quasi alla fine del mondo, in un altrove che induce alla riflessione.

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“James Bond, missione Italia”

di Gabriele Ottaviani

Mi incuriosiva sapere come hai gestito l’emergenza di dover cambiare una location all’ultimo. Mi riferisco al cambio dal Cimitero del Verano al Museo delle Civiltà Romane.

Quello è stato un momento difficile, un classico esempio di sfida alla nostra burocrazia. Sam (il regista Sam Mendes, NdA) desiderava fortemente girare al Cimitero del Verano. Aveva visitato la parte alta, quella del mausoleo e delle cripte. Ne era letteralmente entusiasta. Non era facile ottenere i permessi. Ti sembrerà strano ma è gestito dall’Ama. Ti chiederai “Ma quelli dei rifiuti?” Sì, proprio loro, non mi chiedere perché. Però la parte del mausoleo è storica e quindi è interessato anche il Ministero dei Beni Culturali. Era stato un lavoro difficile ma avevamo tutti i permessi… ma non bastavano. Era necessario avere anche l’ok delle famiglie che possedevano le cripte nelle zone che avremmo inquadrato. Non è mai arrivato. Avevamo assicurato che avremmo coperto i nomi ma non bastava. Abbiamo aspettato fino all’ultimo ma quell’ok non è arrivato. Allora abbiamo dovuto pensare a qualcosa di alternativo. Avremmo potuto pensare ad altri cimiteri ma la scena richiedeva una cripta grande e particolare. Non sapevamo dove trovarne una, se non in un cimitero monumentale. L’EUR poteva avere lo stile giusto per le scene. Sam, inizialmente, sembrava scettico ma, quando vide il colonnato del Museo delle Civiltà Romane, quella divenne per lui la prima scelta. Il Sindaco ci ha aiutato molto, agevolandoci velocemente nei permessi. Poi arrivò l’architetto che disegnò la cripta in maniera fantastica. L’ironia della sorte è che abbiamo svolto il funerale di un mafioso in un monumento mussoliniano. Una storia tutta italiana.

James Bond, missione Italia – Guida alle location italiane di No Time To Die e Spectre, Marco Donna, Il Foglio. Un vero e proprio mito della settima arte, che ha fatto e fa sognare grandi e piccini, donne e uomini: nella sua narrazione senza ombra di dubbio un’importanza fondamentale è rivestita anche dagli ambienti in cui prendono luogo le sue rocambolesche avventure. E James Bond è passato anche dall’Italia, tra il Colosseo quadrato, via Nomentana, il lungotevere e non solo, pure decisamente fuori dai confini capitolini: questo racconto agile, articolato e compiuto, impreziosito da un’efficacissima copertina, regala conoscenze a tutti i lettori. Da non farsi sfuggire.

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“Obra poética II”

di Gabriele Ottaviani

Come darai al tuo volo,

oggi, patria, che rapida sali,

molto più cielo che nubi,

e pur senza nubi mostri il cielo?

Come la tua rosa delle Antille

sempre sarà fresca e pura,

stella nella tua notte scura,

soave sole nel tuo mattino?

Obra poética II, Nicolás Guillén, Edizioni Il Foglio. Traduzione di Gordiano Lupi. Scrittore cubano che ha abbandonato gli studi di legge per lavorare come tipografo e giornalista, combattente antifranchista nella guerra civile spagnola, viaggiatore indefesso, vincitore del premio Stalin per la pace, meticcio e figlio di uno schiavo, autore di poesie la cui lettura è una vera e propria esperienza sinestetica, anche per l’abbondante uso di figure retoriche, su tutte le onomatopee, che fanno immergere il lettore in una dimensione panica e sensuale, in cui numerosi temi sono veicolati senza mai ridondanze o inutili esasperazioni, Guillén rivive in questa monumentale edizione, evocativa e significativa, che squarcia un velo su un mondo ancora troppo ignoto. Il primo volume è disponibile già da alcuni mesi, ora finalmente arriva anche il secondo, per completare un’esperienza formidabile e sontuosa: da leggere, rileggere, far leggere.

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“Gli scritti di Breinhart”

Frudàdi Gabriele Ottaviani

Ho tutto ciò che una donna possa desiderare, perché non dovrei desiderare tutte le donne? Il punto è che sono stato progettato per amare, sono nato per questo, e non riesco a smettere. Sì, le donne sono un mistero, nessuno le capisce, e poi sono diverse tra loro, ma per me è tutto facile. Io, se voglio, conquisto qualsiasi donna e lo faccio. La conquisto, la rendo felice e poi smetto di amare lei perché voglio amare un’altra. Perché solo una deve beneficiare del mio amare?

Gli scritti di Breinhart, Luca Frudà, Il Foglio. Siamo fatti di corpo e anima, di materia e immaterialità, nasciamo per stare assieme ma talvolta abbiamo bisogno della solitudine, la ricerchiamo, persino, eppure, nonostante gli sforzi, non riusciamo, nemmeno quando vorremmo, a far tacere l’assordante boato dei battiti del cuore, senza i quali, certo, non vivremmo, ma talvolta sono l’espressione di un’urgenza che non sappiamo affrontare: Frudà indaga la vita in ogni suo meandro, dalla luce alla tenebra, in un’opera che trascende il genere e conquista.

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“Indiana libera tutti”

Cop_per_webdi Gabriele Ottaviani

Indiana immaginò cosa potesse voler dire camminare senza più fermarsi. Camminare sempre, anche mentre si dorme. Camminare così tanto da farsi venire le vesciche ai piedi e ridurre a brandelli le scarpe. Camminare sapendo di morire. A meno di non vincere. Ma, alla fine, avrebbe vinto uno solo. Uno su cento. Sicuramente meglio dell’uno su mille che cantava Morandi, ma comunque sempre un bell’azzardo. E poi essere seguiti in quella specie di ultima sfilata dalla vita. Ed essere visti da tutti mentre ti sparano. Ecco, fu quell’immagine a scioccare più di ogni altra cosa Indiana. L’idea che la morte possa essere uno spettacolo. Magari grottesco, o macabro, ma comunque degno di essere visto come uno show televisivo. A finire il libro ci mise appena un giorno e mezzo. Stephen King è un fottuto genio, pensò mentre le pagine scorrevano e Ray Garraty continuava a camminare per la gloria e per il premio: ottenere tutto ciò che si desidera fino alla morte. A Indiana sembrò di rivedere i vitelloni di Fellini che si trascinano da un giorno all’altro con l’unico obiettivo di scappare alle responsabilità e alla vita stessa. Anche in quel caso uno soltanto riuscì a farcela. Prese il treno e se ne andò lontano, verso il futuro, mentre gli altri ancora dormivano nei propri letti, prima di un risveglio uguale agli altri. Spettatori silenti di un tempo che scorre anche senza di loro.

Indiana libera tutti, Francesca Lenzi, Il Foglio. Dodici anni e poco più, vorrebbe giocare a calcio ma i suoi sono irremovibili, e dunque è costretta a uscire di casa, vestita in un modo che le pare a dir poco orribile, in quel millenovecentonovantaquattro carico di promesse, illusioni e disincanti, per recarsi agli allenamenti di pallavolo. Sul cammino della quotidianità, però, si imbatte nelle tappe della vita, mentre rugge il Tirreno sulla battigia che lambisce gli altiforni di Piombino, culla della controcultura operaia, e avvampa in lei il desiderio d’essere felice. Poetico e vibrante, è da non farsi sfuggire per nessuna ragione.

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“L’assassino e il pettirosso”

Cop_Fanetti_webdi Gabriele Ottaviani

Ingoiò amaro e attese. Finalmente notò una macchina che stava parcheggiando quasi di fronte al cancello dove era entrato. Fu dal ricordo di quella scena che riprese a raccontare: “Era quasi un’ora che stavo lì con le scarpe bagnate e cominciavo ad avere freddo; mi alzai per sgranchirmi le gambe, quando feci caso a due fari che si avvicinavano con la freccia che lampeggiava verso il punto in cui mi trovavo. Mi abbassai di nuovo e aspettai. Questa volta andò bene anche se passarono cinque interminabili minuti prima che quello si decidesse a scendere. Entrò nel cancello, si frugò in tasca e ne estrasse un mazzo di chiavi, poi accese la torcia del cellulare per illuminare la toppa del portone. Mi dava le spalle e nonostante l’oscurità pressoché completa, riuscivo a vederlo bene. La luce dei lampioni filtrava dagli alberi, prima di muovermi guardai di nuovo verso il marciapiede: non c’era anima viva. Mentre con una mano teneva il cellulare e con l’altra era intento a infilare la chiave nella serratura, gli sparai alla nuca. La pistola emise un suono impercettibile, il suo corpo si accasciò a terra di lato al portone: giaceva su un fianco, come se dormisse raggomitolato su se stesso. Il suo cellulare ancora acceso, illuminava una parte della testa, stava di profilo con la guancia destra immersa in una pozzanghera rossa. Per qualche secondo fissai lo sguardo su quell’immagine, vidi tanto sangue. Dopo aver ucciso guadagnai l’uscita, aprii lentamente il cancello, montai in macchina solo accostando la portiera e girai la chiave dell’accensione. Al primo colpo non partì; mi sentii gelare il sangue, temevo che con l’umidità, la batteria di quel vecchio carretto si fosse scaricata. Poi, al secondo tentativo, andò bene e la pioggia battente copriva a sufficienza il suono del motore.

L’assassino e il pettirosso, Andrea Fanetti, Il Foglio. Dov’è il bene? Dov’è il male? Come nascono, crescono, si sviluppano? Come ci condizionano la vita? Quand’è che scegliamo, ammesso e non concesso che lo facciamo davvero, chi essere, chi diventare, come comportarci? Cosa c’è nell’animo di ognuno di noi? All’origine di tutto c’è un bambino non amato, che elabora la sua personale rivalsa. Ma… Potente, affascinante, emozionante, induce alla riflessione e alla meditazione. Da non perdere.

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“Il pianto della nube”

Messinadi Gabriele Ottaviani

Nel suo antico ricordo,

questa luce mi opprime…

Il pianto della nube, Antonio Messina, Il Foglio. Prefazione di Fabio Strinati. Il poeta, si sa, è un albatro fatto per volare: quando è a terra è goffo, impacciato, sofferente. Perde persino la voce, la capacità e la possibilità di cantare quando il mondo, intorno, gli è ostile, quando non riesce a penetrare il mistero dell’inconoscibile e dell’ineffabile, segreto che solo a lui può essere concesso, come se si trattasse dell’iniziato a un culto misterico, di sfiorare e raccontare. Il poeta aspira al trascendente, e, come un dio benigno, prende per mano chi gli si affida, piange con lui quando la paura lo attanaglia, quando vede l’ingiustizia, quando è al cospetto del male. La poesia è fatta per il bene e per salvare, ma il nostro tempo è sempre più invidioso, rabbioso, crudele, cattivo: e allora il cielo si commuove per commuovere, muovere, smuovere, per far invertire la rotta, per ritornare ad approdare al lido dell’attenzione, della cura, del rispetto. La realtà violata, liricamente denunciata perché non si dimentichi e perché non più accada, è il fulcro di questa intensa raccolta poetica. Da non perdere.

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“Goccia a goccia”

zanelladi Gabriele Ottaviani

Esco col pensiero

da questa volontaria prigione…

Goccia a goccia, Gabriella Castellini Zanella, Il Foglio. La vita, in tutta la sua magnificenza, la sua complessità, la sua varietà, la sua bellezza, la sua irresistibile forza, che lascia sedotti ma anche sgomenti, è la protagonista di questa raffinata e amplissima raccolta poetica che ha la potenza evocativa delle pennellate impressioniste, cenni rapidi e brillanti, immediatamente significativi: composta per lo più nel luogo-non luogo dell’isola, nella fattispecie peculiare quella, magnifica, del Giglio, è un atto d’amore nei confronti della natura e delle innumerevoli possibilità di conoscenza empatica che abbiamo a disposizione, tesori di cui avvalerci con cura. Da non perdere.

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“Obra poética”

Guillendi Gabriele Ottaviani

La fame incede per i porticati

pieni di volti gialli

e di corpi spettrali;

e sostando nelle sedie

dei parchi municipali,

o pullulando in pieno sole

e in piena luna,

cerca il problematico alcol

che cancella e acceca,

ma che non vendono in nessuna

osteria.

Fame delle Antille,

dolore delle ingenue Indie Occidentali!

Notti popolate da prostitute,

bar popolati da marinai;

crocevia di cento rotte

per banditi e bucanieri.

Caverne di venditori di morfina,

di cocaina e di eroina.

Cabaret dove il tedio s’inganna

con l’illusorio cordiale

d’una bottiglia di champagne,

nella cui efficacia la gente confida

come in un nuovo salvagente di allegria

per la “sifilide sentimentale”.

Ansia di penetrare l’avvenire

ed estrarre dalle sue viscere segrete

una formula concreta

per vivere.

Furore dei pirati in marsina

che come in Sores e ”El Olonés”

davanti alla miseria si irrita

e risolve tutto a calci.

Drammatica cecità della truppa,

che sempre tiene pronto il fucile

per sparare contro chi protesta o fischia,

perché il pane è duro ed è chiara la zuppa!

Obra poética, Nicolás Guillén, Edizioni Il Foglio. Traduzione di Gordiano Lupi. Scrittore cubano che ha abbandonato gli studi di legge per lavorare come tipografo e giornalista, combattente antifranchista nella guerra civile spagnola, viaggiatore indefesso, vincitore del premio Stalin per la pace, meticcio e figlio di uno schiavo, autore di poesie la cui lettura è una vera e propria esperienza sinestetica, anche per l’abbondante uso di figure retoriche, su tutte le onomatopee, che fanno immergere il lettore in una dimensione panica e sensuale, in cui numerosi temi sono veicolati senza mai ridondanze o inutili esasperazioni, Guillén rivive in questa monumentale edizione, evocativa e significativa, che squarcia un velo su un mondo ancora troppo ignoto. Da non perdere.

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