di Gabriele Ottaviani
Quando si sveglia, la mattina dopo, è solo. È nudo. La testa gli pulsa di un dolore sordo che riconosce, la luce dalla finestra gli ferisce gli occhi. La bottiglia del whisky è appoggiata sul comodino accanto a lui, ne sono rimaste due dita. «Cazzo.» Si solleva su un gomito, dà uno sguardo al letto vuoto accanto a lui mentre si mette a sedere, si prende la testa tra le mani. «Cazzo.» Il bagno è vuoto, naturalmente. Mentre svuota la vescica a occhi chiusi alcune immagini della notte precedente si compongono dietro le palpebre. La consistenza dei piccoli capezzoli bruni di Alba nella bocca, il volto di lei chinato sopra il suo, i capelli che gli solleticavano il naso mentre lei si muoveva sopra di lui, ondeggiando avanti e indietro con il bacino contro il suo ventre. Alba. Dov’è finita? Quando se ne è andata? Non ricorda molto della nottata nel suo complesso. Spera di non essersi addormentato mentre stavano ancora scopando. Ricorda di aver fumato alla finestra, bevendo whisky. Era già solo, o lei stava dormendo? Aggrotta la fronte, cercando di concentrarsi. Un’ondata di nausea lo assale. Si appoggia con un braccio contro le piastrelle della parete di fronte, fissa dall’alto la sua urina schiumosa nella tazza del cesso, ma malgrado questo i conati non arrivano. Il capogiro passa. Tira l’acqua e va a sciacquarsi la faccia. Torna in camera, si guarda attorno. I vestiti gettati a terra, il portafoglio aperto sul pavimento. Si china a prenderlo scuotendo la testa. Già si dà del coglione sapendo cosa troverà. Invece i soldi sono tutti al loro posto, per quanto può ricordare, le carte di credito anche. Però qualcosa manca. Ricontrolla tutto, per sicurezza, svuota tutti gli scomparti. Lascia uscire una risata secca che si trasforma in una smorfia. L’odore del suo respiro gli dà un brivido di nausea.
Il figlio, Sabrina Campolongo, Paginauno. Sabrina Campolongo, che conosce a menadito l’arte della parola, e ne sa fare prezioso dono a tutti, torna in libreria proseguendo l’esegesi iniziata nelle sue precedenti e riuscitissime prove letterarie su temi che con ogni evidenza le stanno molto a cuore, che padroneggia con abilità e attraverso i quali sa comporre e tessere un dialogo fecondo con i suoi lettori: l’identità, la famiglia, le cose che restano e quelle che invece volano, i retaggi, le eredità, il talento, che non si sa da dove venga, ma ognuno ha il suo, ed è la radice del suo fascino, l’autodeterminazione. Tommaso è il classico figlio d’arte cui generalmente si guarda un po’ con invidia, un po’ con sufficienza, un po’ con disprezzo: perché è un privilegiato, perché non raggiunge il livello di eccellenza del padre di successo, perché non ha le idee chiare, non sa chi sia e non sa come relazionarsi con il resto del mondo, e in particolare con quell’uomo e con quell’idea di essere uomo che quest’ultimo rappresenta. Imparando a conoscerlo, però, Tommaso regala a tutti i lettori una formidabile esperienza: li porta infatti a conoscere meglio sé stessi. Da non perdere.