di Gabriele Ottaviani
Ti sei mai svegliato nel cuore della notte in un hotel sprovvisto di orologio avvertendo la desolazione dell’essere senza tempo, del vivere fuori dal tempo, dell’espiatoria stazione di sosta fuori dal tempo? Ti sei mai svegliato in questo stato rendendoti conto di essere nel bel mezzo di una sequela infinita di albergacci e che, sebbene avessi la possibilità di approdare a un appartamento – nell’area metropolitana di New York, mettiamo –, la tua vita, in soldoni, era diventata una successione di hotel, e che tu eri diventato così perché eri uno dei più apprezzati recensori di un sito di valutazione di hotel con zero sicurezza del posto, pochissimi soldi e prospettive incerte? Ti sei mai svegliato nel cuore della notte in un hotel senza orologio dove eri arrivato direttamente dall’aeroporto, all’alba, con alle spalle non più di un’ora o due di sonno, con addosso il puzzo acido del volo notturno, solo per scoprire che l’albergo era gravemente allagato dopo giorni di piogge abbondanti, e che quando hai dovuto spingere con la mano la porta automatica rotta dell’hotel ti sei ritrovato a sguazzare in un lago fino alla reception dove una sorridente danese bionda ti ha rivolto un cenno con la mano dicendo (hai ipotizzato) qualcosa in danese sull’inondazione, finché non le hai fatto presente che non parlavi il danese, al che hai baldanzosamente proseguito perché il tuo vero amore e compagna di vita, con il nome di Tanagra in questo viaggio, era già in camera, dal momento che aveva preso un volo precedente, dalla Germania, dove aveva fornito una consulenza a un gruppo di investitori nel settore nuovi media, con i quali l’avevi messa in contatto tu? Ti sei mai svegliato con il fresco trauma ancora in mente, in una camera che non era proprio una camera, più una specie di fasciatoio per adulti che pareva potersi ripiegare – due tavolacci pieghevoli, in realtà, uno sopra e uno sotto, con quello di sotto che diventava la poltrona per la scrivania –, con il lavandino subito a fianco, attorno al quale poteva essere tirata una tenda ammuffita in modo da ottenere un minimo di privacy quando ti sedevi sul water incastrato nell’angolo vicino alla doccia per evacuare dopo un movimento dell’intestino, con pure qualche perdita di sangue, prima di sciacquarti con una di quelle doccette che spruzzava acqua per tutta la camera e che aveva lo scolo nel pavimento accanto al letto, tanto che volendo fare la doccia direttamente dal letto avresti potuto davvero? Ti sei mai svegliato in un hotel di questo tipo, sbalordito dal fatto che addirittura pagavi per soggiornarci?
Reginald Edward Morse è praticamente Margherita Buy in Viaggio sola, mutatis mutandis. Ovvero che lavoro fa? Gira per alberghi. Sempre disperato. Sempre insoddisfatto. Totalmente inventato. E ne valuta le condizioni. Insomma, un recensore. E non si ferma davanti a niente, dal più squallido dei motel al più lussuoso dei resort: lui c’è. Ed esprime la sua opinione. È per questo che il sito per cui lavora, o meglio, di cui è una delle punte di diamante (ValutaIlTuoSoggiorno.com), va così bene. Perché lui parla chiaro. Di lui ci si può fidare. Almeno sul lavoro. Non si limita però solo a criticare, a dire se la trapunta è soffice o il pavimento pulito. Già che c’è approfitta anche per raccontare la sua vita. Procedendo per frammenti. Matrimonio. Paternità. Tradimento. Nuovo amore. Finché un giorno non scompare. Rick Moody è incaricato di fare la postfazione alle sue opere complete, che finiranno nei cassetti degli hotel insieme alla Bibbia, introdotte da uno scritto di Greenway Davies, presidente dell’Associazione nordamericana albergatori, e si mette sulle sue tracce. Hotel del Nord America, Rick Moody, Bompiani, traduzione di Licia Vighi. Geniale come Updike, potente, dolente ed esilarante.