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“Il testamento dell’uro”

41W50uKet1L._SX344_BO1,204,203,200_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Arriviamo al Museo delle Specie nel momento in cui Charnot, appollaiato su uno sgabello, le guance arrossate e la fronte sudata, legge Il testamento dell’uro davanti a una folla attenta. Sono nauseata. Ci saranno centocinquanta persone nella sala, una grande sala che normalmente accoglie bisonti imbalsamati, come indicano i pannelli appesi ai muri. Un po’ più in là, un tavolo su cui sono disposte bottiglie di vino, succhi di frutta, vassoi pieni di stuzzichini. La lettura deve essere cominciata da un po’. Nessuno nota la nostra presenza, le persone pendono dalle labbra del sindaco. Charnot parla con una voce grave e un ritmo strano. Non ho mai sentito leggere in quel modo. Rimango completamente sconcertata. Non sembra una voce umana, è un’altra cosa, il timbro rauco evoca un grugnito animale. Il sindaco non segue la punteggiatura, obbedisce a un tempo tutto suo, come un automobilista che ignori il codice della strada. Tuttavia, passato l’effetto sorpresa, l’orecchio si abitua. Ci sentiamo trascinati in un altro mondo, la voce animale ci incanta e…

Il testamento dell’uro, Stéphanie Hochet, Voland, traduzione di Roberto Lana. Nel sud della Francia c’è un festival letterario dove giunge come ospite di riguardo una giovane scrittrice: sarebbe tutto normale, se non fosse per l’atmosfera del luogo, stranamente inquietante e stravagante. Il fulcro di tutto pare essere il sindaco della località, una sorta di guru che incarica l’autrice di redigere nientedimeno che la biografia dell’uro, il Bos taurus primigenius antenato dei bovini moderni ed estinto, stando alle attestazioni, nonostante avesse affascinato, in quanto creatura mitica e bizzarra, finanche i nazisti, perlomeno dal diciassettesimo secolo. Non è però che l’inizio di un’avventura allegorica, trascinante, destabilizzante e visionaria…

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“Un romanzo inglese”

images.jpgdi Gabriele Ottaviani

Torno a Londra per un po’. La città rinasce “come se non fosse successo niente”. Londra ha la disinvoltura delle belle donne che fingono di non aver tremato davanti a un pericolo. Si esce senza puntare il naso al cielo, si riscoprono i rumori della metropoli in tempo di pace, la circolazione delle automobili più numerose, gli edifici distrutti nei bombardamenti in fase di ricostruzione. L’orgoglio del paese risiede nei grandi monumenti della capitale rimasti intatti. Ci eravamo abituati al suono delle sirene, al rombo assassino dell’aviazione tedesca, alla puzza di zolfo e polvere, di fumo acre. Ora ci sono i gas delle auto e dei bus, l’odore di fritto e, a tratti, la sensazione di una ventata d’aria di mare che ci sorprende portando con sé, sparsi e chiassosi, i gabbiani affamati. I titoli dei giornali a tutta pagina non possono passare sotto silenzio il debito pubblico e il crollo della sterlina. È là, dietro l’angolo, il grande fallimento. Edward non fa che parlarne. La nostra vecchia Inghilterra è come un castello di carte sul punto di crollare. Le notizie pericolose riportate sui quotidiani sono minuscole bombe a orologeria. Non vogliamo sentir parlare di questa crisi finanziaria che annunciano senza troppa convinzione. Fin quando potremo considerarci inglesi della vecchia generazione, vittoriani, potremo evitare di guardare la realtà. Credere che il paese sia stabile come un matrimonio borghese sotto il regno della regina Vittoria. Credere che l’essenziale sia resistere mantenendo gli stessi schemi di sempre. Gli affari di Edward ripartono. Abbastanza bene, quasi come prima della guerra.

Un romanzo inglese, Stéphanie Hochet, Voland. Traduzione di Roberto Lana. Anna ed Edward sono una coppia. Classe media. Hanno un figlio. Di due anni. È tempo di guerra. Il millenovecentodiciassette, per la precisione. Il luogo è la campagna inglese. Il piccolo ha bisogno di una governante. I coniugi scelgono una persona. Anna va a prenderla alla stazione. E rimane sorpresa dal fatto che non si tratti di una donna, come aveva inopinatamente dato per scontato, bensì, con ogni evidenza, di un uomo. George. Che in breve tempo, al di là dei pregiudizi e dei luoghi comuni, saprà dimostrare di essere veramente affidabile. Unico. Insostituibile. Tanto che Edward, ovviamente, ne è geloso. Arriva finanche a pensare che possa avere una relazione con Anna… Parlare di maternità, identità sessuale ed emancipazione femminile senza essere retorici o banali è impresa assai ardua: non per Stéphanie Hochet, però, che dà alle stampe un ottimo romanzo. Belli i personaggi, il ritmo, gli ambienti, la cura, lo stile. Da non lasciarsi sfuggire per nessuna ragione.

 

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“Elogio del gatto”

563_20160406160218.jpgdi Gabriele Ottaviani

L’odio verso i gatti sarebbe quindi l’espressione di una misoginia universale?

Il libertario. L’autocrate. La femmina. Il grassone. Il dio. Più che un elogio, benché lo sia, eccome, una vera e propria esegesi. Attraverso la letteratura e non solo. Anche il cinema. Persino quello di animazione, come la disneyana Cenerentola, forse il classico dei classici, almeno per una certa generazione. Il gatto è compagno dell’uomo da tanto tanto tempo, anche se forse compagno non è la più esatta fra le parole che si possono scegliere, visto che in realtà il gatto si basta perfettamente, anzi, prova certamente affetto per il suo umano di riferimento, ma chi non sarebbe affettuoso con un servo zelante, nonostante gli occupi spazio in casa? Perché è lui il padrone, non c’è nulla da fare. Animale meraviglioso, adorabile e adorato, creatura sublime, ne parla Stéphanie Hochet (traduzione di Roberto Lana) in Elogio del gatto, per Voland, una piccola e preziosa gemma da leggere e custodire, impreziosita da un bellissimo disegno di copertina di Luigi Bernardi.

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