Intervista, Libri

“Passaggi di dogana”: intervista a Giulio Perrone

download (1)di Gabriele Ottaviani

Giulio Perrone, editore, ci racconta della sua collana Passaggi di dogana.

Come nasce la collana Passaggi di dogana e di che cosa tratta?

La collana nasce qualche anno fa grazie ad un’intuizione del nostro direttore editoriale, Mariacarmela Leto, che ha capito come potesse essere interessante costruire una geografia emozionale dei luoghi attraverso il racconto di autori che diventano dei veri e propri medium tra una città e coloro che con i loro romanzi, la loro musica, le loro doti artistiche hanno saputo interpretarla, trasmetterla, raccontarla.

Quali volumi la compongono e quali sono le prossime uscite?

La collana è composta al momento da quindici volumi che vanno da A Lisbona con Antonio Tabucchi a A Londra con Sherlock Holmes, passando per A Dublino con James Joyce, A San Francisco con Lawrence Ferlinghetti, A Parigi con Colette o A Buenos Aires con Borges. Un percorso che si nutre sempre di nuove suggestioni che nei prossimi mesi ci porteranno grazie a Giuseppe Lupo A Praga con Kafka e grazie a Nicola Manuppelli A Roma con Alberto Sordi.

Quali iniziative avete deciso di approntare come casa editrice per i vostri lettori in questo periodo così particolare?

Abbiamo pensato che in un momento come questo in cui non è possibile uscire né viaggiare, l’unica strada sia quella di farlo con la mente, con la lettura e le emozioni che i grandi scrittori possono trasmetterci diventando il vero tramite emozionale con cui scandagliare luoghi, atmosfere, città. Ecco perché eccezionalmente stiamo componendo dei cofanetti artigianali che raccolgono quattro titoli della collana a scelta e che possono essere personalizzati dai lettori. Il tutto garantendo un prezzo speciale che permette anche di risparmiare rispetto all’acquisto del singolo titolo. Per avere maggiori informazioni è sufficiente scrivere alla mail antonio.sunseri@giulioperroneditore.com.

Cosa rappresentano per lei il viaggio e la letteratura?

Qualcosa di vitale perché in fondo è nella natura stessa dell’editore la necessità di spingere i lettori a viaggiare con le parole, consegnando loro le storie e i libri che noi per prima abbiamo amato prima di sceglierli. Lo scopo resta quello di una letteratura che sappia sorprendere, emozionare e anche colpire come possono fare certi paesaggi e certi scorci di mondo che solo viaggiando si possono conoscere e contemplare.

Quali conseguenze sta determinando la quarantena sul settore editoriale?

Conseguenze purtroppo molto negative su un settore che a livello economico aveva già le sue difficoltà. Siamo tutti molto preoccupati non solo del destino delle case editrici, soprattutto quelle piccole e indipendenti che rappresentano il vero baluardo della cultura in Italia, ma anche delle librerie che dopo un lungo stop dovranno lentamente tornare i presidi culturali sul territorio che sostengono il mondo del libro. Solo con una grande unione e solidarietà si potrà sostenere questo comparto che nell’economia generale del Paese può sembrare piccolo ma che tanto determina nella società civile e quindi non può essere dimenticato.

Quale sarà il primo viaggio che sogna di fare una volta terminato l’isolamento?

Intanto quello verso la nostra redazione perché il lavoro editoriale si può certo fare in solitaria, ognuno a casa sua, ma non ha lo stesso sapore. Stare fianco a fianco e permettere alle idee di sommarsi, fondersi è essenziale per dare sempre nuova linfa vitale e creativa a quello che amiamo sopra ogni cosa, ossia i libri.

Standard
Libri

“Eroiche”

6172AzfJNjL._AC_UL320_ML3_di Gabriele Ottaviani

L’impresa di Maria Bochkareva ha aperto la strada a molti altri tentativi analoghi durante la Seconda Guerra Mondiale. L’Unione Sovietica contava allora ottocentomila donne soldato. Tra loro Marina Raskova, la giovane pilota che convinse Joseph Stalin ad autorizzare le donne a pilotare gli aerei al fronte. In seguito alla sua richiesta nel 1941, Stalin diede il via alla formazione di tre reggimenti femminili. Raskova diresse il 588° reggimento dei bombardieri notturni, il primo a essere composto principalmente da donne pilota poco più che adolescenti. Soldatesse coraggiose e abili piloti, queste donne avevano messo a punto una precisa strategia per sorprendere l’esercito tedesco con un bombardamento notturno. Alla fine della guerra, questo reggimento divenne il più decorato e le ventitré donne pilota vennero insignite del titolo di Eroe dell’Unione Sovietica. Decoravano i loro aerei di fiori e avanzavano verso il loro obiettivo, a motore spento e furtivamente, fino a quando non aprivano il fuoco. Il rumore che producevano era simile a quello di una scopa e così i tedeschi le soprannominarono le “streghe della notte”.

Eroiche – Amazzoni, peccaminose, rivoluzionarie, Inna Shevchenko, Giulio Perrone editore. Il movimento internazionale Femen è un caposaldo dell’attivismo femminista a livello planetario: la sua leader è Inna Shevchenko, nemmeno trent’anni, figlia di una famiglia come tante, della classe media dell’Ucraina, col cognome in comune con quello di un campione meraviglioso non restio a impegnarsi in politica. La demolizione delle imposizioni della società patriarcale è un processo lungo e ancora necessario, troppa sperequazione, troppa protervia, troppa discriminazione, troppa ingiustizia ci sono tuttora in giro, anche in contesti insospettati e insospettabili: in questo volume, mai retorico, scritto con stile appassionato e appassionante, curatissimo, ritrae con perizia i suoi solenni, sontuosi e maestosi numi tutelari, i suoi spiriti guida, esempi lampanti nel percorso di affrancamento e liberazione. Un atto di militanza politica nell’accezione più ampia del termine: da leggere.

Standard
Libri

“La nostra casa felice”

Perrone - Uccello OKMCdi Gabriele Ottaviani

Alle dieci di sera il capo della squadra mobile Roberto Ferruzza si sente rigido. Le gambe faticano a restare ancora immobili. Considera che lavora senza pausa da quasi quarantotto ore e allora si dice Basta. Chiude a chiave la porta e dalla parte della libreria che ha trasformato in armadio, tira fuori un paio di jeans e un maglioncino. Sistema i pantaloni, che si è appena tolto, sulla stampella apposita, e affonda la camicia dentro una busta. Lunedì devo passare in lavanderia. La giacca è già al suo posto, a destra, sul “lato giacche”, la cravatta la ripone facendola penzolare da un gancio incollato all’interno dell’anta. Si siede sul divano solo per scegliere meglio le scarpe, alla fine decide che il paio di tela con la cavigliera alta e i lacci possono andar bene.

La nostra casa felice, Serena Uccello, Giulio Perrone editore. Poliziotta in servizio alla mobile di Reggio, che ha la Calabria nel nome ma non è il capoluogo di regione, e quasi cinquant’anni fa le proteste proprio prendendo le mosse da questo motivo sfociarono in veri e propri atti di guerriglia e violenza, Argentina fa parte del gruppo ricerca latitanti, si occupa di intercettazioni e, indagando, si imbatte nella figura di Nunzia, che ha più o meno la sua stessa età e che rischia di perdere i propri figli, invischiata com’è negli affari di famiglia, ovviamente illeciti, specie dopo che il padre, boss della piana di Gioia Tauro, viene assicurato alla giustizia (il fratello, nel frattempo, letteralmente latita): crescono i dubbi, aumentano e lievitano le inquietudini, nel cuore dell’una e nell’animo dell’altra, si fa sempre più forte l’esigenza di salvarsi. Ma a quale prezzo? Potente, teso, intenso: Serena Uccello narra una storia di forte impatto e solida struttura, che pone domande e scuote la coscienza.

Standard
Intervista, Libri, premio goliarda sapienza

“Malafollia”: intervista ad Antonella Bolelli Ferrera

Perrone_GoliardaSapienza_2019_MC copiadi Gabriele Ottaviani

Perché la scelta di questi sei racconti?

Sono i racconti sul tema della follia in carcere, scritti dagli autori che erano stati preventivamente selezionati per costituire la prima factory creativa del Premio Goliarda Sapienza. Si è trattato di una edizione speciale, di una sperimentazione. Un primo passo verso un più ampio progetto di scrittura collettiva.

Com’è cambiata la percezione della realtà carceraria nel corso degli anni?

Credo che all’esterno se ne sappia un po’ di più, visto che da qualche anno le carceri sono state aperte ai giornalisti. Per chi le frequenta assiduamente, in realtà, sa che c’è molto altro, ma è solo il rapporto costante con strutture, detenuti, personale, e di tutti quei mondi che vi ruotano attorno, che da una visione d’insieme più veritiera.

Perché è così importante portare la cultura nelle carceri?

Perché la cultura è la sola che possiede la forza di alimentare quel processo virtuoso che induce al pensiero, alla riflessione, alla rivisitazione del proprio vissuto anche in forma critica.

In media quanti sono i partecipanti al concorso Goliarda Sapienza?

Al concorso vero e proprio, circa 500 ogni volta. Un numero impressionante. Arrivano scritti di ogni tipo, da italiani e stranieri, su pezzi di carta di fortuna, corredati di disegni e poesie, i più tecnologicamente avanzati – e a cui viene data la possibilità – spediscono cd con il racconto in concorso e , quasi sempre, il romanzo della loro vita in trecento pagine. C’è un grosso lavoro di selezione, spesso di comprensione, ma ne vale la pena.

Standard
Intervista, Libri

Paola Cereda e la metà di noi

61E98WA1jJL._AC_US218_di Gabriele Ottaviani

Paola Cereda è l’autrice del bellissimo Quella metà di noi: Convenzionali la intervista con gioia.

Si può vivere senza segreti? A cosa servono, perché è difficile farne a meno?

I segreti non sono tutti uguali. Ci sono segreti che preservano spazi di intimità e che, quindi, sono importanti per proteggere ciò che più amiamo. Ci sono altri segreti che invece non riveliamo per paura di ferire chi ci sta accanto o per timore del giudizio altrui. È difficile fare a meno dei segreti perché, sotto certi aspetti, ci tutelano dalla ripetitività del quotidiano. Un segreto è un spazio di azioni possibili e di sentimenti che sfuggono dall’ordinario.

Dal punto di vista narrativo, il tema del segreto che caratteristiche ha? Come mai è spesso un efficace motore per il racconto?

Il tema del segreto è molto efficace perché semina indizi senza rivelare il filo principale che li renderebbe logici e lineari nell’immediato. Il segreto scatena nel lettore la voglia di sapere e, quindi, il bisogno di mettere ordine tra i pezzi del puzzle. Genera una fame narrativa che spinge a continuare la lettura.

Chi è Matilde?

Per i suoi vicini e parenti, Matilde è una maestra in pensione che, chissà per quale motivo, ha deciso di ricominciare a lavorare come badante in un appartamento del centro di Torino. Ma Matilde è molto di più: è una donna che va oltre le etichette di figlia, moglie e madre per fare delle scelte che costano care e che lei è disposta a pagare fino all’ultimo centesimo.

Torino è città esoterica, misteriosa, magica, alchemica: quali sono i suoi segreti?

Ho abitato in tante città ma solo per due ho provato nostalgia: Buenos Aires, dove sono stata per quasi tre anni, e Torino, dove ho fatto l’università e sono tornata dopo un lungo periodo all’estero. Queste due città, per me, hanno in comune la poesia dei caffè storici, la vivacità delle periferie, il miscuglio degli accenti, il colore dei mercatini di strada. Di Torino amo il Po, le passeggiate lungo gli argini del fiume e la sua grande capacità di essere generosa con chi la corteggia. Torino si disvela poco a poco, proprio come un segreto.

Matilde è stata maestra e ora badante: conduce dunque una vita in cui il prendersi cura degli altri riveste un’importanza fondamentale. Perché?

Passiamo gran parte del nostro tempo a prenderci cura di qualcuno o di qualcosa, nella nostra vita affettiva e/o in quella lavorativa. Spesso la cura è fatta di dedizione, cioè della qualità del tempo e dell’impegno che mettiamo in una relazione. Avere cura significa riconoscere l’altro in quanto prezioso e meritevole di essere accudito, preservato, nutrito.

Qual è l’importanza della cura nella società attuale, che pare sempre più rabbiosa, invidiosa, cattiva, egoista?

Anni fa, nei rapporti familiari era implicita la trasmissione del cognome, del sangue, del patrimonio e del dovere della cura. Oggi la cura non è più un dovere bensì è un bene che si può contrattare. Eppure prendersi cura di un altro significa accettare di entrare dentro una relazione che inevitabilmente modifica entrambe le parti. Con questo romanzo, mi interessava indagare proprio la complessità degli scambi e degli sguardi.

Qual è la vera identità di Matilde?

Matilde è una persona che vuole – e quindi si costruisce – una vita della misura che le sta meglio addosso. Non una vita perfetta, non necessariamente felice, ma di certo capace di avvicinarsi ai desideri.

Perché scrive?

Perché non posso farne a meno. Scrivo da quando sono adolescente, dapprima per mettere ordine tra i pensieri e i sentimenti, poi per riuscire a comunicarli. Ora per creare mondi in cui i lettori possano trovare storie o spunti utili al proprio quotidiano.

Il libro e il film del cuore, e perché.

Un libro fra tutti “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. È leggendo quel libro che scelsi, senza alcun dubbio, di diventare psicologa, per il modo in cui l’autore si calava dentro la profondità umana per riemergerne con la consapevolezza di una complessità impossibile da definire in tutti i suoi risvolti. Tra i film, “Train de vie” ha determinato addirittura il tema della mia tesi di laurea: l’umorismo inteso come la capacità di ridere prima di tutto di se stessi per affrontare al meglio la vita, tra lacrime e sorrisi.

Standard
Libri

“Quella metà di noi”

61E98WA1jJL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Il televisore a tubo catodico dominava il soggiorno da un mobile di noce, davanti al tavolo ovale protetto dalla cerata con i pompelmi. Lungo le pareti dell’anticamera, una serie di acquerelli di Montmartre accompagnava nelle camere da letto. Nella stanza da letto c’era ancora il suo primo computer, enorme, sotto il poster degli A-ha comprato a un concerto, accanto all’unica medaglia dei Giochi della Gioventù vinta – per caso? – in una batteria di salto in lungo. Il piumone con le mele ricopriva il materasso a una piazza mentre dalle pareti pendevano le fotografie dietro le cornici a giorno: un compleanno, una gita con Marta, il Natale in montagna, trenta sorrisi di classe sotto trenta ciuffi anni Ottanta. Sulla scrivania, accanto al portapenne di ceramica, la madre aveva sistemato il quaderno verde recuperato dalla spazzatura subito dopo l’incidente che non era stato un incidente. Le sue pagine a quadretti contenevano la prova delle biciclettate fino alla Diga del Pascolo o poco più a nord, davanti all’Isolone di Bertolla, quando Emanuela ed Edoardo si sedevano in riva al Po per osservare gli stormi a fine settembre. Segnavano gli avvistamenti annotando la famiglia – Ardeidae – e la specie, Ardea purpurea, accanto al nome volgare: airone rosso. Matilde era convinta che la figlia fosse diventata veterinaria per confermare al padre il desiderio di condividerne le passioni. Non l’aveva mai vista occuparsi degli esseri umani, neppure delle figlie, con la stessa dedizione con la quale si dedicava agli animali.

Edito da Giulio Perrone e presentato allo Strega di quest’anno da Elisabetta Mondello con la seguente motivazione (Quella metà di noi è un romanzo intenso e coinvolgente, ambientato nella Torino dei nostri giorni, in cui si muovono una folla di personaggi a cui Paola Cereda affida il compito di narrare le contraddizioni e le difficoltà della condizione contemporanea. La storia centrale è quella di Matilde, una maestra in pensione, che per ripagare un debito ricomincia a lavorare prendendosi cura di un anziano. Tutti e tutto la condizionano: le passate esperienze, i familiari, la situazione lavorativa. Lo spostarsi dalla periferia al centro di Torino, la nuova solitudine e le inedite complicità. Il romanzo, sostenuto da una lingua precisa ed essenziale, pagina dopo pagina diviene la narrazione della condizione liminare che, in alcune fasi della vita, tutti dobbiamo affrontare e interroga il lettore sulla possibilità di non restare sulla soglia ma di diventare capace di immaginare, scegliere e progettare il futuro), Quella metà di noi di Paola Cereda, la cui maiuscola qualità di scrittura non ha affatto bisogno di presentazioni, ma si conferma in quest’occasione una volta di più, racconta con raffinatezza rara e profondità commovente, quella che padroneggia con delicata maestria chi sa relazionarsi all’anima delle persone e dei personaggi, e al tempo stesso sa metterne in scena la vita – non è certo un caso che l’autrice sia una psicologa e che ami il teatro: del resto ogni prodotto umano ha in sé la firma dell’artefice, il riverbero della sua esistenza –, la vicenda di Matilde Mezzalama, unica eppure universale. Perché questa donna, come tutti noi, ha segreti che esistono per il piacere di non essere raccontati e altri che si trascinano appresso la vergogna, che possono essere una cena con un ex (a cui si va con la scusa di una riunione di condominio), una pelliccia troppo costosa e inadeguata o altro ancora, e quindi, in cerca di verità, serenità e identità si reinventa, vivendo una vita sospesa fra due altrove, in una città che a sua volta non è semplice sfondo, ma caleidoscopio di pulsante umanità. Da non perdere.

Standard
Libri

“Mary Shelley e la maledizione del lago”

download.jpgdi Gabriele Ottaviani

Che la morte sia stata resa “romantica” dal Romanticismo è un fatto riconosciuto. Le diverse sfumature che il genere letterario ha assunto per nazione l’hanno poi accesa di fascino più o meno sinistro, macabro, onirico, salvifico. La poesia di Shelley, bollata dalla critica come una delle più romantiche dell’Ottocento, in realtà di romantico subiva forse, e appena, l’influenza dell’epoca. L’obiettivo sostanziale che il poeta di Field Place si pose con i suoi versi poggiava saldamente le basi in quell’Illuminismo e Positivismo francese che mettevano l’uomo e la scienza al centro del progetto universale, decretando il progresso un obiettivo irrinunciabile. Poi, certo, il ragazzo, ipersensibile al richiamo del macabro, dell’occulto e dell’oltre, tese ad arricchirla di un’aura di mistero, la contaminò con il concetto di anima e spirito (che il Positivismo e l’Illuminismo rifiutavano), la bagnò di quell’humus sensuale (a volte erotico) e passionale che solo un esteta melodrammatico avrebbe saputo tirar fuori. Soprattutto, la poesia di Shelley, come quella dei grandi poeti, non poté essere scissa dalla sua vita e, di conseguenza, dalla sua morte. Una morte che l’aveva accompagnato come una sposa fedele fino a Pisa. Che anche Mary aveva dovuto riconoscere come sua compagna, tollerato, subito, inutilmente allontanato.

Mary Shelley e la maledizione del lago, Adriano Angelini Sut, Giulio Perrone editore. Vissuta, per lo più tra una disgrazia e una sventura (la morte della madre, strenua promotrice dei diritti delle donne, moglie di uno scrittore e saggista politico vicino alle teorie anarchiche e vera e propria antesignana del femminismo, avvenuta pochissimi giorni dopo averla messa al mondo, la vedovanza precocissima e altri lutti), a cavallo fra diciottesimo e diciannovesimo secolo, saggista, biografa, scrittrice, Mary Shelley sembra essere, al giorno d’oggi, poco conosciuta e ricordata, se non per quella sua creazione di genio che è tuttora un paradigma, una pietra di paragone, un modello di riferimento e, in questi tempi in cui ogni cosa appare sempre più mercificata, un’allegoria tragicamente attuale della proterva fragilità della condizione umana, ossia Frankenstein. Ma questa scrittrice prematuramente strappata alla vita da un male che non le ha lasciato scampo è molto di più, e il ritratto che ne fa, con una prosa che valica d’un balzo i confini del genere e che si fa letteraria tout court, solidamente romanzesca e appassionante, Adriano Angelini Sut è caratterizzato fin nel dettaglio, completo, profondo, istruttivo. Da leggere.

Standard