di Gabriele Ottaviani
Ora Moyna aveva la voce incrinata, e si stava asciugando gli occhi col bordo del sari. Di lì a poco diede la stura a un altro fiume di parole. Quando era nato suo figlio, disse, nutriva un mucchio di sogni per lui…
L’Isola dei fucili, Amitav Ghosh, Neri Pozza, traduzione di Anna Nadotti e Norman Gobetti. Deen è ormai newyorkese da tempo, ma è nato nel Bengala, e di tanto in tanto torna in India, e si immerge nuovamente, lui che è un antiquario e un commerciante di libri rari, nei suoni, nei profumi, nei sapori, nei colori, nelle suggestioni di una terra in cui sembra possibile tutto, ma anche il suo contrario, in cui l’abiezione si mescola alla lirica, il tremendo al sublime. Un giorno incontra un parente alla lontana, un uomo vanesio e vanaglorioso, per giunta affetto da una incontrastabile logorrea, che gli racconta una leggenda. Che però parrebbe essere suffragata da molto più che un semplice fondo di verità: e così Deen inizia un vero e proprio viaggio, che attraversa non solo lo spazio, ma anche la storia dell’evoluzione del rapporto, violento, fra l’uomo e la natura. Profondissimo, allegorico, magico, la nuova prova narrativa di una voce unica e inconfondibile.