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“Clara”

Clara_FRONTE_highdi Gabriele Ottaviani

Giornate afose. Fu una primavera calda e piena di colori; i fiori di maggio crescevano in ciuffi tanto fitti da soffocare. Il Rosenthal si riempì di bocci rosa e scarlatti, bambini, balie strette in bustini neri con bebè in braccio. Per la prima volta in vita sua, o così le parve, Clara lo notò. E soprattutto notò le donne incinte. Non si metteva certo a fissarle, ma di tanto in tanto capitava che qualche giovane signora elegante dalla vita più spessa di quanto lasciassero supporre i polsi sparisse tra la folla o ne emergesse. Più terrificanti erano le altre, quelle che prima non aveva mai visto e che non avevano la possibilità di nascondersi: una fioraia con un giaccone a pieghe, immensa oltre ogni immaginazione, che portava la cesta su un fianco; una proprietaria di bestiame che legava delle oche per le zampe arcuandosi all’indietro come un pesce, con il ventre gonfio che era il doppio di lei. Clara sapeva come si sarebbe risolta la cosa, o ne sapeva abbastanza. Ma sapere non implicava capire, comprendere fino in fondo. Che orrore guardare quei ventri…

Clara, Janice Galloway, Imprimatur. Traduzione di Caterina Barboni. Clara è una donna. È bella. È buona. È  colta. È devota. È una madre. Di numerosi figli. È una compositrice. È una pianista. È intelligente. È brillante. È una moglie. Dolce. Gentile. Solida. Paziente. Molto paziente. Anche perché suo marito è Robert Schumann. Un genio. Dunque una persona decisamente difficile da trattare (per carità, non che quelli che geni non sono siano facili, anzi, soprattutto perché spesso si credono geni, e quindi si lagnano del loro essere incompresi e rovesciano addosso a coloro che li amano tutta la frustrazione che possono, trattandoli come un sacco da palestra o una pezza per i piedi…). Il ritratto che esce da queste pagine è caleidoscopico e dolcissimo: da non farsi sfuggire.

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