di Gabriele Ottaviani
Adriano Angelini Sut ha scritto per Gaffi L’ultimo singolo di Lucio Battisti, nella longlist dello Strega: Convenzionali ha il grandissimo piacere di intervistarlo.
Da dove nasce questo romanzo?
Questo romanzo nasce dall’esigenza di raccontare i cambiamenti occorsi nella nostra Italia negli ultimi vent’anni. Ma non mi interessava raccontare proprio questi cambiamenti, che io reputo disastrosi. A me interessava raccontare Roma in particolare (che è un po’ lo specchio d’Italia) nei suoi momenti migliori, la sua crescita come città simbolo dal dopoguerra, i due boom economici degli anni ‘60 e ’80 del secolo scorso. Mi interessava dare voce a quelle categorie, la piccola borghesia produttiva, così bistrattata dalla cultura mainstream. E, se se ne parla, lo si fa solo per sottolinearne aspetti negativi. Mi interessava mostrare la bellezza di una città, la capitale d’Italia, con tutte le sue contraddizioni. Bellezza che oggi non c’è quasi più. Oggi Roma sembra una Calcutta qualsiasi. E lo dico senza timore di offendere nessuno. Senza ipocrisia. Calcutta è brutta, Roma no. E non dovrebbe assomigliarle. Mi interessava mettere in evidenza i cambiamenti disastrosi degli ultimi vent’anni, raccontando i bei tempi che furono, prima, molto prima.
Cosa rappresenta il tempo?
Un divoratore di sogni. Un mostro impossibile da sconfiggere al quale dobbiamo piegarci. Siamo imprigionati in questa dimensione spazio-temporale. La fisica moderna ha scoperto che il tessuto che compone l’universo si chiama spazio-tempo, un’unica parola a simboleggiare come siano la stessa identica cosa. E’ una gigantesca onda energetica che si piega al passaggio degli oggetti e crea la gravità. Lui vince sempre, perché si piega, si lascia scivolare tutto addosso, e ci risputa via.
Che valore ha la musica?
Per me è il fondamento della vita; i buddisti hanno ragione in una cosa. La vita è suono, l’OM originario che permea il sottofondo di quello spazio-tempo di cui sopra. Negare la musica è negare la vita.
Cosa ha fatto sì che Lucio Battisti sia diventato un mito per più di una generazione?
Semplicemente perché è stato il più bravo, il più talentuoso, il più ispirato. Negli anni ‘70 non lo hanno voluto ammettere per cecità politica (ma David Bowie glielo ha ricordato). A 40 anni di distanza i ragazzi cantano ancora le sue canzoni mentre i ‘grandi cantautori’ impegnati di quegli anni sono (quasi) scomparsi.
Cosa ha simboleggiato la stagione del cantautorato italiano?
Un momento di estrema creatività imbrigliata dalle ideologie (sia di destra che di sinistra). Sa una cosa, io oggi sto rivalutando tutti quegli artisti che in quegli anni se ne fregavano delle ideologie e facevano cose all’avanguardia (che poi si sono rivelate tali solo dopo), e venivano considerati ‘minori’. Penso al primo Renato Zero, a Ivan Cattaneo (che nel ’78 lanciò Anna Oxa inventandone il look e nel 1980 compose quel capolavoro che è Polisex). Penso a Ivan Graziani, a Gianni Togni a Enzo Carella (che all’epoca come paroliere aveva Pasquale Panella, diventato il paroliere ufficiale di Battisti dopo Mogol). Penso a Rettore. Alla Bertè. A Mia Martini. A Gianni Bella. Gliene potrei citare tantissimi. Invece si va sempre a ricordare quei tre quattro, forse cinque, politicamente impegnati di cui francamente oggi non se ne sente più il bisogno.
Com’è cambiata la società negli ultimi decenni?
Come è cambiata lo vediamo sotto i nostri occhi. In peggio. E sa perché? Perché si continua a condannare e a non seguire l’unico modello che ci ha dato sviluppo e benessere, il capitalismo (e la tecnologia e che ha portato con sé) e si continua a opporre al modello liberista un modello (quello socialista) perdente, che ha distribuito miseria e povertà ovunque. In nome di questa ideologia che va contro il mercato stiamo costruendo una società basata sulla miseria, sull’assistenzialismo, sull’elemosina, e sull’incontro di culture che spesso e volentieri non possono convivere. Il multiculturalismo è già fallito negli Stati Uniti 30 anni fa. Riproporlo oggi è una scelta folle. Io non dico che le società debbano essere chiuse. Io sono per le società aperte e inclusive, ma alla base deve esserci un metodo di scelta e di inclusione forte e preciso, che parta da valori condivisi (che io ritengo siano quelli della laicità dello stato e del rispetto dei diritti umani per tutti; e per molte ‘civiltà’ che stanno arrivando qui da noi questa cosa non è affatto scontata) altrimenti mandiamo tutto all’aria. Tutto ciò che di buono abbiamo creato fin qui.
Qual è la situazione culturale italiana?
In teoria pessima. In pratica ci sarebbero tante potenzialità. La rete ha amplificato le opportunità e fenomeni impensabili fino a un decennio fa sono oggi possibili (Rovazzi che fa un singolo di successo e finisce pure a fare film, Paola Taverna che diventa vice presidente del Senato). Voglio, devo leggere questi fenomeni sotto un lato positivo, altrimenti le direi che stiamo andando incontro a una catastrofe culturale di proporzioni bibliche. In realtà quando le elite culturali si lamentano che i giovani sono ignoranti forse intendono che sono digiuni di ideologie (e questo secondo me è un bene), o che non leggono i libri che loro scrivono, si pubblicano e si leggono nei circoletti che contano. C’è una oggettiva situazione di ignoranza di ritorno, di analfabetismo funzionale. Ma ci sono anche tantissime opportunità per farsela una cultura (anche diversa da quella che l’élite vorrebbe) e non mi sento di gridare alla catastrofe.
E quella politica?
Come sopra. Personalmente detesto il M5S, e credo che la loro ascesa sia per il fallimento della sinistra: quella più liberale non è mai riuscita a diventarlo per davvero, liberale. Quella estrema spinge verso un estremismo anti-storico e pericoloso. In Italia, lo diceva il buon Marco Pannella e non solo lui, non c’è mai stata una vera cultura liberale. Ecco, un partito che difenda il mercato, i valori della laicità dello stato, l’Impresa, la detassazione, che ponga i diritti civili come punto fermo irrinunciabile. La difesa non già dei lavoratori ma della dignità del lavoro. Che è molto diverso. E invece ci ritroviamo senza un governo o con un governo di compromesso forse impossibile mentre avremmo bisogno di risposte forti e condivise.
A cosa è dovuta la crescente disillusione nei confronti proprio della politica? Mancano le ideologie o mancano gli ideali?
Mancano gli ideali. Per fortuna le ideologie non ci sono più. Cioè, ci sono ma non suscitano più quella fascinazione deleteria che hanno esercitato in passato. Purtroppo ci sono le religioni che spesso fanno da sostituto a questo vuoto (una in particolare che non voglio nominare ma abbiamo capito).
Perché scrive?
Non lo so. Perché ho bisogno di comunicare e far sapere agli altri delle cose. E poi perché vorrei vivere facendo quello che so fare, e se poi ci divento pure ricco non mi dispiacerebbe. Si scrive per vendere, anche (o soprattutto). Ma questo non glielo diranno mai, gli scrittori impegnati…
Qual è l’aspetto più importante di cui tener conto nel momento in cui ci si accinge a narrare una storia?
Che non faccia due palle così al lettore. Scusi la franchezza!