Libri

“Dimenticare”

51aPpeYcjoL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Papà era morto di cuore tre mesi dopo la morte di tumore di mamma. A sessantasei anni, non aveva mai fumato, non aveva vizi, correva ogni mattina per mezz’ora sulla darsena di Fiumicino. Tre mesi e cinque giorni: era il massimo che era riuscito a resistere senza di lei. I figli avevano rispettato la sua volontà di essere seppellito nell’amatissimo cimitero di Poggioreale. Franco, il pomeriggio della camera ardente e poi alle esequie in chiesa e poi ancora durante la sepoltura, era rimasto imperturbabile nella sua faccia di marmo, lunga e sentimentale, che qualcuno diceva somigliasse a Anthony Quinn (Daniele non gli aveva mai dato peso fino a quel giorno). Non aveva versato una lacrima, non aveva mai detto «mi dispiace» e aveva ricevuto le condoglianze dei parenti con un certo malcelato fastidio. Come se papà fosse morto solo per fargli il dispetto di incastrarlo al suo funerale. Alla fine, aveva preteso di ripartire subito per Fiumicino. Era il solito stronzo, eppure Daniele ne capiva le ragioni. In viaggio non aveva provato a parlargli, poi però Franco lo aveva costretto a fermarsi come facevano sempre, per andare a vedere i biliardi. Quel giorno gli aveva chiesto di aspettarlo in macchina e si era avviato da solo oltre il guardrail. L’aveva osservato avvicinarsi al parallelepipedo, curvare le spalle e portarsi una mano alla faccia. Subito dopo aveva preso a singhiozzare, con la campagna stesa intorno ad abbracciarlo. Tutto si poteva dire di suo fratello, meno che gli mancasse il senso del teatro. – Quella è stata la prima volta che l’ho visto piangere da adulto, – disse Daniele.

Dimenticare, Peppe Fiore, Einaudi. Trecase sembra proprio dare ragione al duecentosessantanovesimo verso del Persiano di Plauto, in cui si legge una coppia di parole ormai divenuta formulare: nomen omen. Ossia Nel nome c’è il destino. Perché è un borgo minuscolo. È piuttosto romito. È nell’alto Lazio, terra meravigliosa di castagni e di parchi di mostri. C’è una stazione sciistica. Abbandonata. Con un bar. Fatiscente. Che Daniele prende in gestione. Daniele, che ha sempre lavorato in un lido. Al mare. A Fiumicino. Daniele che viene accolto. Daniele che scappa. Daniele che ha una bestia nel cuore. Ma dovunque si vada non si può mai finire lontani da sé stessi. E… Un thriller dell’anima che lascia senza fiato. Da non perdere per nessuna ragione.

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Libri

“Il ricamo mortale”

13254477_10209537976715670_4690068687276369022_n.jpgdi Gabriele Ottaviani

Erano i 30 denari di Giuda, o almeno una prima parte.

Patrizio Fiore, Il ricamo mortale, Tullio Pironti. Un ambulatorio per extracomunitari. Una ragazza di ventotto anni. Un mesotelioma pleurico. Anormale, a quell’età. Viene dopo una lunga esposizione all’amianto, maledetto assassino silenzioso. Almeno, di solito. Nel frattempo presso Aversa uno dei più importanti notai partenopei, nonché rampollo di una famiglia più che bene, Romano Contri, viene trovato ucciso. E iniziano le indagini. Ma non è facile ricostruire il percorso e le interconnessioni attraverso le quali il male si srotola nelle vite e nella società, infettandole: si resta stupefatti di fronte alle diramazioni che riesce a creare, che rassomigliano davvero alla complessità di un prezioso ricamo. E parallelamente anche la trama, la costruzione della narrazione riproduce questa articolazione affascinante: un ottimo libro, che coinvolge e tiene desta l’attenzione del lettore.

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Cinema

“Fiore”

fioredi Gabriele Ottaviani

Daphne è un’adolescente romana delinquente che finisce in galera. Ha avuto un’infanzia difficile, anche il padre ha la fedina penale più che maculata (Valerio Mastandrea: meno male che c’è lui…), e non riesce a non finire nei guai. Ma ha tanto bisogno d’amore. In carcere incontra un ragazzo, e nasce una tenerezza fragile. Lei, Daphne Scoccia, scoperta dal regista, come ha raccontato lei stessa in una recente intervista, mentre serviva i tavoli in un’osteria, ex adolescente ribelle – nei limiti della legge, naturalmente, niente di terribile: ha semplicemente iniziato il liceo scientifico, dopo un anno è passata all’istituto d’arte, poi se ne è andata in fabbrica e via di casa, e ha fatto un po’ di tutto, la barista, la babysitter, la pasticciera… – è assai bella e ancor più espressiva e brava, e per fortuna il film è tutto su di lei: il problema è che Fiore, di Claudio Giovannesi, autore del favoloso Alì ha gli occhi azzurri, benché abbia delle sequenze graziose e delicate come petali, appare lento, lungo, noiosetto, semplicistico, inverosimile, involuto, incoerente, tagliato con l’accetta, tutto emotivo ma non molto emozionante. E gravido di voragini di sceneggiatura. Che peccato.

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Libri

“Nessun titolo”

vincenzio-fiore-nessun-titolodi Gabriele Ottaviani

Quando diventai cardiologo non immaginavo lontanamente che alla mia età sarei finito a intrattenermi in posti squallidi con degli sconosciuti. Eppure eccomi qui. In ogni fase della vita c’è un momento, prima di voltare pagina, in cui si fa il bilancio del periodo e io ho sempre il conto della felicità in rosso.

Vincenzo Fiore è laureato in filosofia. E si vede. Il libro che scrive, infatti, è densamente, profondamente, costitutivamente filosofico. Parte dal particolare per assurgere al generale, combina in continuazione piano reale e mondo ideale, trascendenza e immanenza, il tema della singolarità e quello sempiterno del doppio. De Tommasi è un dottore. Che ha perduto la via. Non si riconosce più. Non ha più una visione del mondo in prospettiva. Poi, un giorno, un incontro sconvolge ogni cosa… Nessun titolo, Nulla die. Interessante.

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