di Gabriele Ottaviani
A dirla tutta, scrutavo con sospetto le facce dei cinesi che popolavano Roma e mi chiedevo se ognuno di loro non fosse un portatore sano di quella strana malattia. Mi chiedevo come fosse possibile che non si prendessero misure di contenimento. Il mondo oggi è un unicum, un lungo corridoio percorribile in tempi straordinariamente brevi; se il virus era tanto contagioso come dicevano, non ci sarebbe stato nessun luogo sicuro. Giulia mi aveva chiesto se un giorno l’andavo a prendere a scuola, era il 30 gennaio, una bella giornata di sole, così domandai a Riccardo se voleva accompagnarmi. Prendemmo un taxi perché l’edificio era al centro di Roma. Le avremmo fatto una sorpresa. Riccardo voleva portarla a pranzo a piazza Navona che lei adorava. Arrivammo con mezz’ora di anticipo. Ci sedemmo su una panchina, poco più in là sostava un gruppetto di ragazzi intorno a motorini e cassonetti stracolmi. Riccardo si mise a leggere il giornale, in America non lo faceva mai. Diceva che lo riportava al suo passato da ragazzo quando Internet non c’era. Mi godevo quel sole cercando di non pensare a niente. Mi arrivava solo la conversazione del gruppetto. «Aoh, t’ho detto se ce vieni da quel trans e lasci perde’ qu’a cessa». «T’ho detto de no, è ’n omo, e me fa schifo». «L’hai viste le bocce, come fai a di’ che è ’n omo?» «È ’n omo, c’ha er pisello». «Quella nun te la dà!» «Meglio una che non te la dà che n’omo». «Fa delle pompe da paura, fa tutto lei o lui». «Me fa schifo, pensa quando glie s’addrizza». «Che te frega, mica lo devi tocca’, tu stai là mentre lei pompa, il coso glie s’addrizza ma sta laggiù». «Me fa schifo». «Meglio una che so du’ anni che nun te la dà». «Sì, meglio ’na donna che ’n omo». «Tu aspetti du’ anni, io faccio subito, vado, senza preamboli e via». «Vai sempre co ’n omo». «Non è ’n omo, fa pure l’ingoio…» «Vabbè…» Io e Riccardo ci guardammo, a metà fra lo sconcerto e il divertimento. Poi mi voltai verso di loro che, forse solo in quel momento, si accorsero della nostra presenza. Qualcuno scoppiò a ridere, in fretta si allontanarono verso il portone della scuola che si era aperto e lasciava venir fuori la calca degli studenti. «Capisco la goliardia» fece Riccardo, «ma noi c’avevamo dei limiti». Ci alzammo perché scorgemmo Giulia. Agitammo le braccia. Lei ci vide e ci corse incontro. «Dai… sono felicissima!» Baci e abbracci.
Imago lux, Adriano Angelini Sut, Ensemble. Traduttore, scrittore, collaboratore di diverse testate, autore dalla prosa vibrante, brillante e intrigante, ricca di chiavi di lettura e di interpretazione, romanziere selezionato per lo Strega due anni fa, Adriano Angelini Sut prende le mosse per la sua nuova opera da una comune dedita ad antichi riti esoterici in una catacomba etrusca sull’Aurelia antica a mezzo secolo circa da quell’oggi sempre più sotto ogni aspetto precario, cupo, oscuro e disperato, in cui tutto appare marcescente, e nel quale quella che ormai è una stimata psichiatra è costretta a tornare a fare i conti con un simbolo che pare perseguitarla, un’immagine che la inquieta… Mozzafiato.