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“Aforismi scelti – Vol. 2”

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Con un abbraccio si possono sentire sia l’anima che il corpo.

Aforismi scelti – Vol. 2, Fabio Strinati, Edizioni Il Foglio. In cinquecentoquarantadue frammenti tutto lo scibile umano, la vita, le emozioni, i sentimenti, le sensazioni, le immagini, i pensieri, le parole e la stentorea voce poetica, limpida, semplice, chiara, intensa e capace di indagare i meandri anche più reconditi del reale, senza mai salire in cattedra, di Strinati, che fa della rielaborazione, della scrittura, della riscrittura, della citazione e della prosa aforistica, a mezza via tra il proverbio e l’haiku, elementi di un policromo mosaico che conduce il lettore in un sentiero di conoscenza e autodeterminazione, rientrano, condensati, in questo testo che sa riprodurre con eleganza, brillantezza, schiettezza e ironia un profumatissimo bouquet di suggestioni. Da non perdere.

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“Il cane volante e l’omino stellare”

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C’era una volta un fornaio che soffriva di un maledetto prurito…

Il cane volante e l’omino stellare – Racconti & filastrocche, Laura Lupi, Edizioni Il Foglio. La fiaba è per definizione una narrazione che, connotata peculiarmente dall’elemento fantastico e magico, nasce propriamente nell’ambito della tradizione popolare ed è caratterizzata da racconti non particolarmente lunghi e per lo più imperniati su avvenimenti e personaggi come fate, giganti, orchi, mostri – persino nel senso etimologico del termine – che si ritrovano coinvolti in storie la cui principale valenza è di tipo etico-morale. Diversa è la favola, che invece scaturisce da un realismo molto più immediato, e altra cosa ancora è la filastrocca: tutti questi testi, però, hanno in comune l’elemento didascalico, rivolto soprattutto ai più piccoli, e in generale a chi, attraverso l’uso del simbolo, può meglio comprendere e fare propri concetti anche complessi. Laura Lupi scrive testi divertenti, ironici, lievi, intelligenti, brillanti, non superficiali né banali, godibili a qualunque età.

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“René Dubois – La vita ai tempi di Dario Mancuso”

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Mirko era Gianni o Gianni era Mirko?

René Dubois – La vita ai tempi di Dario Mancuso, Giulia Campinoti, Edizioni Il Foglio. Nel duemilatrentasei Dario è un uomo fatto. Hanno ucciso la donna che ama. Hanno sterminato la sua famiglia. Solo il suo fratellino si è salvato. Ma è in pericolo. E quindi Dario decide di inscenare la loro finta morte. Per poter essere liberi e forse felici. Il padre infatti si era compromesso con Occhipinti, un pericoloso criminale. E i due sono al centro del mirino. Per fortuna che c’è, sempre pronto a dare una mano, Mirko, l’amico di sempre. Ma… In una Sicilia maestosa e affascinante la giovanissima e talentuosa Giulia Campinoti mette in scena un romanzo dal ritmo serrato, corredato da belle illustrazioni, intenso, solido e coinvolgente, pirandelliano, classico e insieme moderno e originale.

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“Viaggio in bianco e nero”

Stampadi Gabriele Ottaviani

Il principe azzurro non è che l’aspetto che hanno i tuoi sogni e, se cambiano i sogni, cambiano anche i principi.

[…]

Fanta ha 22 anni, 22 anni di inferno, eppure gli occhi grandissimi, che brillano su un volto rotondo, sono vivi, aperti sul mondo e grintosi. Abitava con sua madre, sua sorella, suo fratello e suo padre a Douala, una città nella parte occidentale del Cameroun. Poi suo padre è morto, non si sa come: ha cominciato a vomitare sangue, appena alzato dal letto, molto probabilmente è stato avvelenato, un veleno che agisce lentamente, distruggendoti pian piano, nel corso di alcuni giorni. La tradizione vuole che il corpo sia portato in casa dei genitori, dove per due settimane fanno i preparativi sia nelle città che nei villaggi. Tutti i parenti e gli amici lo devono vedere e, finita la sepoltura, i familiari offrono da mangiare a tutti. Si sparano tre colpi di pistola per avvertire la gente. Quando l’uomo muore, la famiglia si trasferisce nel suo villaggio, sono i parenti del padre ad avere il potere di decidere. Sempre secondo la tradizione, ogni padre sceglie uno dei figli che viene rinchiuso in una casa di paglia per dieci giorni. Fanta non sa cosa succeda lì dentro, nessuno lo sa, ma si sa che le persone che sono uscite da quella casa non avevano più voglia di fare niente, hanno perso completamente la testa. Sua madre non aveva idea che suo marito avesse scelto proprio lei, Fanta. Non voleva che sua figlia facesse quell’esperienza, lei che era andata a scuola e aveva un futuro davanti. Manda il figlio grande, suo fratello Alain, ad avvertirla, per dirle di scappare.

[…]

Quando la notte arrivò inevitabile, Celeste cominciò a sentire strani scricchiolii nello stomaco. Come sarebbe andata? Avrebbero dormito insieme? Chi era quell’uomo che muoveva i suoi passi cadenzati e lenti tra lei e il mare? Non lo conosceva in fondo. Proprio a Barcellona, due anni prima, Celeste aveva avuto una breve avventura con un ballerino del Burkina Faso, Didier, che viveva in Spagna da molto tempo: un uomo gentile e intelligente, di una bellezza straordinaria, che, al secondo appuntamento, diceva di volerla sposare. Parlava il francese, il djulà, qualche parola di italiano e piuttosto bene lo spagnolo. Aveva saputo prenderla con quella semplicità selvaggia e istintiva a cui non era in grado di resistere. Era capace di “faire l’amour” molte volte una di seguito all’altra, quasi senza tregua, con una resistenza crescente in modo esponenziale, al punto che dopo un po’ Celeste, distrutta, doveva dire basta. Le piaceva, ma davvero, non ce la faceva più. Non ci avrebbe creduto, se le avessero detto che un uomo è capace di simili maratone, ma nessuno gliel’aveva raccontato, non era un luogo comune ostentato in qualche pettegolezzo da parrucchiera o da barino di periferia, aveva visto e sperimentato in prima persona. Per lo stesso principio di incredibilità, si era guardata bene dal raccontare la cosa a qualcuno. Tuttavia, verso la quinta o sesta volta della terza notte insieme, aveva smesso di tenere il conto, era successa una cosa che mai le era accaduta prima e che l’aveva messa nel panico: il preservativo si era rotto, anzi si era disintegrato e, tra le lenzuola sfatte, le coperte rivoltate, i vestiti rigirati sul pavimento, nella penombra della camera madida di sudore e umidità, nessuno dei due aveva idea di dove fosse finito il contenuto e di come o quando si fosse perduto. Non poteva prendersela con lui per aver comprato una merce scadente, perché era stata lei a comprare quella scatola, prima di partire. Come se fosse la cosa più naturale al mondo, lui le aveva chiesto di procurarsi dei condom di taglia XL. Perché non ci pensava lui? Non se l’era chiesto, aveva detto sì e s’era messa nei guai. Aveva pensato di acquistarli alle macchinette, in una farmacia sperduta di periferia o al supermercato, dove avrebbe potuto farli passare alla cassa elettronica, mescolandoli accuratamente a prodotti meno imbarazzanti, ma niente, di taglia XL non ne vendono. Allora si era fatta coraggio, era entrata in una farmacia, aveva chiesto una lista di medicine e cosmetici costosi, che non le servivano affatto e infine, prima di pagare alla cassa, quando era certa che la farmacia fosse deserta, aveva afferrato una scatola XL dicendo: “Ah, anche questo!”. La faccia sbalordita della signorina la faceva sentire una barzelletta, volle pensare che la stesse invidiando e non compatendo. Uscì a testa bassa.

L’Inghilterra delle nuvole di passaggio, Londra in cui ti sembra che abiti tutto il mondo, e che tutti fra di loro siano in pace, tra templi del jazz, ritrovi gay, moschee e caffè che sembrano zuppe di minestra. E poi Internet, i villaggi e i fuochi d’artificio, il Burkina Faso dove il sole sparisce a metà cielo, la Costa d’Avorio, in cui di stramaledettamente puntuale c’è solo la guerra, l’Ucraina nella quale Celeste dà per scontato che tutti mastichino un po’ d’inglese, sbagliando, Rio de Janeiro, la Malesia, l’Indonesia, Barcellona, l’Albania… Attinge per lo più alle sue esperienze, a racconti e ricordi, e a un prezioso materiale fotografico, scattato da lei stessa nel corso dei suoi lunghi, numerosi, intensi e bei viaggi, e che, non avendo colori in pellicola, li racchiude come in un abbraccio tutti, Alessandra Altamura, insegnante di lettere in una scuola media di Lucca, che dà voce a chi voce non ha con questo suo profondo, lieve, splendido, ironico, lirico, sapido, scorrevolissimo e pieno di chiavi di lettura Viaggio in bianco e nero, edito da Il foglio. Celeste ha la pelle bianca, ma l’anima africana: insegna danza e percussioni tipiche di quelle terre, nella multiculturale Firenze. Bamba ha la pelle nera, ma è cresciuto a Milano, dove fa il giornalista. Drissa è un bimbo che arriva profugo sulle coste italiane e, orfano, viene accolto in una comunità per minori. Viaggio per verità, conoscenza, ricerca, curiosità, necessità, amore, per l’umanità: e tre vite che si incontrano. Da leggere.

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“Caino contro Fidel”

cainodi Gabriele Ottaviani

Se accendi un sigaro non devi farlo spegnere, ché i fumatori accaniti non smettono di fumare neppure per un istante. Fernando Ortíz – autore del       Contrappunto cubano dello zucchero e del tabacco – è stato un grande fumatore, come Churchill e Fidel Castro (l’unico vivo, ma ha smesso di fumare).

[…]

Un giorno venni a sapere che Margarita mi era stata infedele. Non disse: “Ti ho tradito”. Disse: “Ti sono stata infedele”. Mi disse che era un tradimento a metà, perché l’aveva compiuto con una donna, con una vecchia lesbica. Quando una donna è molto femminile, molto appassionata, si concede senza differenza di sesso, si lascia condurre dalla passione. Finì per fare una proposta assurda, forse credeva di compiacermi e invece mi fece inorridire: fare l’amore in tre, nello stesso letto, io, lei e la sua amante.

Caino contro Fidel – Guillermo Cabrera Infante uno scrittore tra due isole, tradotto da Gordiano Lupi e pubblicato nella collana sulla narrativa cubana da Edizioni Il Foglio, è una bella biografia, redatta da Alejandro Torreguitart Ruiz, del più grande scrittore cubano del ventesimo secolo. Anche se non vuole essere una biografia. È il romanzo della rivoluzione cubana, e soprattutto di tutte le sue contraddizioni. Un viaggio affascinante nel tempo e nello spazio, che fa pensare, sognare, interrogare.

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“Mangia la zuppa, amore”

13780002_mangia-la-zuppa-amore-di-boris-virani-candidato-al-premio-strega-da-il-foglio-letterario-0di Gabriele Ottaviani

Mi sono appena masturbato e sto pensando al termine Masturbarsi, e d’altronde mi sono appena masturbato. Io non ho una grande cultura, per esempio non conosco né il latino né il greco, ma solo per esempio, e comunque non so bene da cosa possa provenire la parola Masturbarsi, eppure adesso sono incuriosito da questa parola, perché a pronunciarla mi sembra negativa, perché c’è quel Turbarsi che è chiaro, e quel Mas magari è un ritorno di suono spagnolo, e allora Masturbarsi potrebbe voler dire turbarsi molto, e se fosse così non sarei d’accordo perché io mi turbo molto di più a fare l’amore con una ragazza, come facevo con la studentessa di giurisprudenza con una cultura da biologa, cosa che fra l’altro non posso più fare perché non ci vediamo più…

Si capisce immediatamente perché Mangia la zuppa, amore, di Boris Virani, per Edizioni Il Foglio, nel duemilaundici sia stato presentato al Premio Strega. Perché è un esempio formidabile delle infinite possibilità che la letteratura consente a chi ne sa maneggiare gli strumenti. L’autore è giovanissimo, eppure ha una voce originale (non sembri quell’“eppure” una contraddizione; spesso infatti anche grandi scrittori, all’epoca delle proprie prime opere, sono paradossalmente molto più retorici di quanto non accada loro di essere viceversa in un’età più avanzata, quando si pensa che l’ardore giovanile si sia spento: forse sì, ma in realtà il mestiere dello scrittore lo si impara facendolo, oltre che leggendo e rileggendo, provando e riprovando, scrivendo e riscrivendo, affinando, smussando gli angoli) e limpida. Ha certo dei riferimenti, ma non copia nessuno. E in questo flusso di coscienze è dolce lasciarsi andare.

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“Tra Livorno e Genova, il poeta delle due città – Omaggio a Giorgio Caproni”

capronidi Gabriele Ottaviani

Nella ateologia di Caproni, come lui stesso la chiama, Dio è il colpevole persino della sua stessa sparizione e l’uomo lo nega pregandolo, secondo il consueto procedimento paradossale.

Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.

Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi
per l’ottima compagnia.

Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.

Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio)’ confidare.

(Scusate. E una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare.
Ecco. Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare.)

Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo – odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.

Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te, ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto se io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.

Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.

Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento.

(Giorgio Caproni, Congedo del viaggiatore cerimonioso)

Tra Livorno e Genova, il poeta delle due città – Omaggio a Giorgio Caproni, a cura di Patrizia Garofalo e Cinzia Demi per Edizioni Il Foglio, è un bel libro, che traccia un percorso tra gli affetti e la poesia a partire dall’occasione della ricorrenza, tre anni fa, del centenario della nascita del grande poeta, critico e traduttore, dalla forma spezzata, esclamativa, i temi ricorrenti e l’immediata semplicità dei sentimenti, autentici e forti, scabri e rugosi, dolci e amari. Con i contributi di tanti autori, che analizzano nel profondo, senza retorica o approssimazioni di sorta, la poetica del grande letterato, grazie a questo libro si fa un viaggio alla scoperta di un uomo e un artista che ha saputo interpretare con originalità il suo tempo, essendone voce squillante e insieme fuori dal coro.

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“Il cinema di Henri-Georges Clouzot”

clouzotdi Gabriele Ottaviani

Il film si apre su una pozzanghera sulla quale scorrono i titoli di testa musicati da Georges Van Parys che ha un doppio interesse. Da una parte segna uno dei temi visivi del film, l’acqua, possibilmente torbida come le vite della provincia; dall’altra, il fatto che è una delle due sole sequenze – l’altra riguarda i titoli di coda – contenete musica (in totale poco più di due minuti su quasi due ore), essendone il film privo. Su questo silenzio di sottofondo, Clouzot fonda parte del suo lavoro filmico in questo film il cui obiettivo è quello dell’atmosfera.

Stefano Giorgi raccoglie per Edizioni Il Foglio un buon numero di saggi su uno dei più grandi cineasti della storia: Il cinema di Henri-Georges Clouzot è motivo di interesse, di studio, di curiosità e di passione non solo per coloro i quali vengono definiti con espressione efficace ma abusata gli addetti ai lavori, ma anche, se non soprattutto, per tutti. Perché i temi trattati nelle sue pellicole, in particolare in quelle più celebri, afferiscono alla dimensione dell’oscurità dell’anima, che appartiene a ognuno, e che con desiderio di catarsi misto a paura si tende a reprimere e respingere, pur subendone talvolta il fascino mefitico e maligno. È un libro agile questo, chiaro, che sicuramente farà imparare e conoscere molte cose a chi lo leggerà, e lo farà riflettere.

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“24:00:00”

guerri_federico_-_24_00_00_una_commedia_romanticadi Gabriele Ottaviani

Per fare un autoritratto ci vuole una pentola a pressione. Per fare un autoritratto è necessario entrare di nascosto nelle hall degli hotel di lusso e rubarne le scatolette di fiammiferi personalizzati per poi essere scacciati dai concièrge e passare la serata in baracca a farsi venire il mal di testa grattando via le capocchie con una limetta per unghie. Per fare un autoritratto serve un bel po’ di solfato di antimonio e clorato di potassio per il quale servono centinaia di scatolette di fiammiferi. Bisogna grattare, sera dopo sera, fino a riempire di sostanza infiammabile un barattolo vuoto di latte in polvere della Hyppocrates Healthcare. Bisogna tritare e filtrare la materia risultante fino a farne polvere fine, finché il rosso di sangue delle capocchie diventi un nero profondo. Aprire bustine di zucchero e aggiungerne in percentuale di un quarto rispetto alla sostanza ottenuta coi fiammiferi. Ogni buon autoritratto è un quarto di dolcezza e tre quarti di fuoco.

Il mondo non finirà mai perché le donne lo raccontano, ama dire e ripetere Barbara Alberti. Ed è assolutamente vero. Infatti la fine del mondo la racconta un uomo. Federico Guerri. Edizioni Il Foglio pubblica 24:00:00 – Una commedia romantica sulla fine del mondo, un libro fresco, originale, contemporaneo, con un bel ritmo e un intreccio riuscito, attraverso il quale l’autore riesce a narrare senza cedimenti le storie di undici personaggi sparsi qua e là nel globo terracqueo e al tempo stesso uniti. C’è un conto alla rovescia nel cielo, ventiquattr’ore, come la celebre serie tv, alla scadenza. E poi cosa accadrà? Ma come è successo tutto questo? E perché? Salvare il mondo significa raccontarlo, si legge sul risvolto di copertina. È vero. Ma lo è anche il contrario. Raccontarlo significa salvarlo. Perché non può vincere l’oblio.

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“La coda sotto il banco”

codadi Gabriele Ottaviani

Ai tre gatti girava vorticosamente la testa. Non riuscivano a immaginare con esattezza cosa le parole di Meuccio intendessero, ma una cosa era certa: tutto quello che avevano vissuto fino a quel momento era qualcosa che poteva essere barattato senza rimpianti con esperienze più forti, più intense, più vertiginose di quanto le loro menti avessero mai potuto immaginare.

È una prosa poetica come il suono liquido e dolce del suo nome decasillabo quella di Melisanda Massei Autunnali, che pubblica per Edizioni Il Foglio un libro che si avvale di un’atmosfera surreale per parlare di temi concreti, di esperienze e sensazioni che ti scalfiscono la pelle, e che sono alla base di quello che sei. C’è una scuola di gatti a Piombino, la città di Acciaio e La bella vita, tanto per citare due dei tanti film lì girati e ambientati: una classe di felini e un professore umano. Un racconto lungo un anno, due mondi in costante dialogo, allegorico come quello delle favole di Esopo e Fedro ma allo stesso tempo tremendamente e irresistibilmente reale: una scrittura felice, allegra e malinconica, indipendente e tenera. Come un gatto. La coda sotto il banco è un bel libro, scritto bene e coinvolgente.

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