Intervista, Libri

Valeria Vairo e il sapore della vita

41eg9fdxgml-_sx312_bo1204203200_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Valeria Vairo ha scritto Il sapore della vita: Convenzionali la intervista per voi.

Da dove nasce questo romanzo?
Vivo da 18 anni in Germania. Nel 2014 ho pubblicato la mia prima raccolta di racconti sull’Italia “Profumo d’Italia” e proprio scrivendo quel libro mi sono resa conto di quanto l’Italia mi mancasse. Nel processo di scrittura del primo libro ho rivissuto molti episodi della mia vita e una volta scritto e pubblicato mi è venuto il forte desiderio, quasi necessità di analizzare più a fondo la situazione di chi si sposta da un luogo a un altro. E così è nato il mio secondo libro “Il sapore della vita”.

Che valore ha il tempo per lei?
Il tempo è cambiamento. Nulla è uguale a se stesso anche da un secondo all’altro. Collego il valore del tempo a una nostra ricerca e crescita spirituale. Mi auguro che per quanto mi riguarda il passare del tempo porti con sé oltre all’esperienza anche saggezza.

Cosa rappresenta la memoria?
A livello individuale la memoria di ciò che abbiamo vissuto è quello che fa di noi quello che siamo. Nel bene e nel male il nostro passato ha lasciato delle impronte, esiste addirittura una memoria a livello cellulare. A volte questo è un bene perché, come la natura ha voluto, l’esperienza ci preserva dai pericoli e dal rifare gli stessi errori. Altre volte però diventa una lente interpretativa deformante del nostro presente che viene letto in base alle esperienze passate. Questa lente impedisce un’apertura totale a ciò che la vita ci offre, e indebolisce la nostra capacità di dare alla vita una nuova freschezza, di guardare la vita con gli occhi di un bambino che si lascia sorprendere e continua a imparare.

Che ruolo rivestono i cinque sensi, e in particolare il gusto, nella sua vita e nella sua opera?
Il mio primo libro ha come titolo “Profumo d’Italia”, il secondo “Il sapore della vita”. I sensi sono le porte attraverso le quali percepiamo la realtà, quindi hanno un ruolo fondamentale. Io personalmente sono una persona molto legata ai sensi, sono vissuta in una famiglia in cui il papà è pittore e il fratello pianista. Quindi i primi due sensi sono stati sollecitati in continuazione. Per quanto riguarda il gusto e l’olfatto li ho usati anche per lavoro in giurie e degustazioni enogastronomiche. Ho una memoria olfattiva molto spiccata, mi capita spesso di sentire un profumo e di rivivere in un momento l’esperienza a cui è legato. Il tatto, l’ultimo, è quasi una mania. Da bambina accarezzavo qualunque cosa fosse morbida, a partire da cani e gatti a finire alle barbe dei signori, per me “nonni” che mi capitavano a tiro, ovviamente con l’imbarazzo dei miei genitori. Anche oggi sono portata a guardare con le mani in un bosco non riesco a vedere un albero senza accarezzare il muschio che ricopre le radici, o un fiore senza sfiorarne un petalo, e poi mi piace accarezzare la bellissima barba brizzolata del mio compagno. Nelle mie opere i sensi ricoprono lo stesso ruolo importante che hanno nella mia vita e sono un importante punto di riferimento.

La cucina è tradizione, innovazione, testimonianza, eredità, identità o ponte fra culture?
La cucina può essere tutto questo, nel mio libro ho scelto proprio lei come fil rouge che mostra e rispecchia i cambiamenti nella vita della protagonista, la sua maturazione e il processo di integrazione della sua famiglia. Nella mia metafora paragono il sapore della vita a quello di un piatto. La sua bontà dipende dalla giusta selezione e miscela degli ingredienti. Gli ingredienti sono tutto ciò che ci sta a cuore, le persone che amiamo, la nostra lingua, i profumi e i sapori a cui siamo abituati… Quando si emigra molti di questi ingredienti vengono a mancare. Quindi il recupero del gusto della vita in un paese straniero è una lenta opera di ricostruzione che può durare anni. Sono convinta che chi alla fine riesce a mischiare ingredienti vecchi e nuovi nelle quantità giuste e con amore si possa definire integrato.

Com’è l’Italia vista da Monaco?
L’Italia vista da Monaco è solare, profumata, ricca di arte, bellezze naturali, prodotti, caotica e purtroppo anche maltrattata, rovinata e con un futuro incerto.

Perché scrive?
Scrivo per comunicare, da qui deriva anche la scelta di un linguaggio semplice, accessibile a tutti. Mi piace portare i lettori con me in un viaggio piacevole alla scoperta di tematiche profonde ma con una modalità leggera. Sono molto contenta se riesco a dare un messaggio regalando sorrisi e momenti piacevoli.

Qual è l’aspetto più importante da tenere in considerazione nel momento in cui ci si accinge a raccontare una storia?
Io scrivo di getto, in modo molto veloce senza creare schemi o intrecci complessi. Credo di aver ereditato il mio modo di scrivere dalla pittura di mio padre. L’aspetto più importante per me è trasmettere emozioni. Sono convinta che solo attraverso le emozioni si possano raggiungere i lettori e lasciare loro un messaggio che li induca a riflettere.

Il libro, il film e il cibo del cuore, e perché.
“Il piccolo principe” di Saint – Exupéry
È un libro che dietro la sua semplicità nasconde una meravigliosa saggezza.
Il disegno del boa che ha inghiottito l’elefante esprime meravigliosamente il pensiero che ho scritto a proposito della memoria. I bambini non sono condizionati e possono dar spazio alla loro fantasia, spesso gli adulti hanno dei grandi limiti a causa del fatto che codificano la realtà in modo razionale in base alle loro esperienze. A mio parere il modo migliore per affrontare la vita è quello di accoglierla con la curiosità e l’apertura di un bambino, quindi riuscire a vedere il boa che mangia l’elefante e non un cappello.

“La pasta della fortuna” è una pasta di semola di grano duro fatta a mano che mia mamma ci faceva quando eravamo piccoli e che mi fa ancora quando vado a trovare i miei in Italia. Mi riporta al periodo spensierato dell’infanzia, a una terrazza dove io e mio fratello giocavamo con una cocorita mentre mamma la impastava e metteva a seccare al sole. Poi la spezzettavamo tutti insieme. Solo alcuni pezzi erano più grandi ed erano le “fortune” che io e mio fratello facevamo a gara ad avere nel piatto. Ovviamente mamma e papà facevano una grande attenzione a distribuirle in uguale quantità.

Non ho un film del cuore, mi piacciono film in cui la fantasia ha un ruolo importante, dove si crea una realtà alternativa. Per esempio mi è piaciuto tantissimo “Mary Poppins” e ultimamente “Loving Vincent” di Dorota Kobiela e Hugh Welchman, un film assolutamente geniale, nonché la “Forma dell’acqua” di Guillermo del Toro.

 

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“Il sapore della vita”

41eG9fdXGML._SX312_BO1,204,203,200_.jpgdi Gabriele Ottaviani

La sua cittadina, Manfredonia, papà se l’è portata nel cuore e non solo. Se l’è portata sulla riva del Lago di Como nei suoi quadri. Sì, anche se per mantenere la famiglia ha dovuto fare un altro lavoro, papà è un pittore da sempre, da quando è nato. Passava le notti a dipingere in una piccola stanza con una porta di vetro smerigliato che si trovava proprio di fronte alla mia cameretta. Io, accoccolata nel calore del mio stesso abbraccio, intuivo la luce fioca della lampada vicino alla tela. Lui chiudeva la porta per non disturbarmi, ma il tintinnio del pennello nel vasetto dell’acquaragia oltrepassava il vetro e i muri e mi faceva sentire in compagnia. Lo avevo osservato così spesso che indovinavo tutti i suoi movimenti. Pennello in mano, ultimi ritocchi al quadro, sguardo critico. Immergeva il pennello nel barattolo con l’acquaragia, faceva cadere le ultime gocce dalle setole «strizzandolo» sul bordo e infine lo puliva con uno straccio duro e secco tanto lo aveva usato. Dopo questa operazione prendeva un nuovo colore dalla tavolozza e continuava a dipingere. Per me quel tintinnio che si ripeteva era diventato una specie di ninna nanna che mi accompagnava nella magia della notte. Essere la figlia di un pittore significa anche vedere la propria famiglia accrescersi perché una parte consistente del cuore di papà è legata alle immagini che compone sulle sue tele. Per me e Daniele erano una serie di parenti acquisiti che si moltiplicavano nel tempo e che andavano a formare a Como la nostra grande famiglia, diversa da quella rumorosa, allegra e vociante che avevamo lasciato al sud, ma non meno partecipe e presente.

Sein Städtchen Manfredonia hat mein Vater in seinem Herzen mitgebracht, aber damit nicht genug. Er hat es auch auf seinen Bildern an den Comer See gebracht. Gewiss, er musste einer anderen Arbeit nachgehen, um die Familie zu ernähren, doch mein Vater ist schon Maler, seit er auf der Welt ist. Er verbrachte die Nächte mit Malen in einem kleinen Zimmer mit einer Tür aus Mattglas, das sich genau gegenüber von meinem Zimmerchen befand. Zusammengekauert in der Wärme meiner eigenen Umarmung konnte ich das schwache Licht der Lampe nahe der Leinwand erahnen. Er schloss die Tür, um mich nicht zu stören, aber das Klirren des Pinsels in dem mit Terpentinöl gefüllten Behälter durchdrang die Scheibe und Wände und gab mir das Gefühl, in Gesellschaft zu sein. Ich hatte ihn so oft beobachtet, dass ich alle seine Bewegungen erraten konnte. Den Pinsel in der Hand, letzte Nachbesserungen am Bild, kritischer Blick. Er tauchte den Pinsel in das Terpentinöl, ließ die letzten Tropfen aus den Borsten abtropfen, indem er sie am Rand des Glases abstreifte, und reinigte ihn schließlich mit einem trockenen Lappen, der vom häufigen Gebrauch mittlerweile ganz hart geworden war. Nach diesem Vorgang nahm er eine neue Farbe von der Palette und malte weiter. Für mich war das sich wiederholende Klirren zu einem Schlaflied geworden, das mich in den Zauber der Nacht begleitete. Die Tochter eines Malers zu sein, bedeutet auch, die eigene Familie anwachsen zu sehen, da die von Papa auf die Leinwand gebrachten Eindrücke einen festen Platz in seinem Herzen einnahmen. Für Daniele und mich bedeuteten sie eine Reihe von neu erworbenen Verwandten, die sich im Laufe der Zeit vermehrten und in Como unsere Großfamilie bildeten; sie war anders als die laute, fröhliche und mitteilsame, die wir im Süden zurückgelassen hatten, doch deshalb nicht weniger zugehörig und präsent.

Il sapore della vita – Der Geschmack des Lebens, DTV. Scritto da Valeria Vairo, giornalista che ha a cuore le storie della sua terra e le differenze culturali e culinarie fra nord e sud, nata a Como, da quasi vent’anni a Monaco di Baviera, metropoli divenuta una sorta di osservatorio privilegiato sulle umane sorti e progressive del bel Paese. Tradotto da Ina-Maria Martens. Edizione bilingue italiano-tedesco con testo a fronte. La protagonista di questo volume si chiama Giulia, e ripercorre con tenerezza e ironia la sua infanzia e soprattutto la propria adolescenza, per antonomasia terra di confine fra essere e voler essere, tra l’età verde e spensierata e quella adulta della responsabilità, e in generale tutta la sua vita, contesa, divisa, arricchita, adagiata, bipartita tra i colori di due mondi contrastanti ma non contrapposti. Racconta inoltre, Giulia, con la sua viva e vivida voce, la quotidianità bigia del settentrione e le vacanze garrule, solatie, confusionarie ma mai permeate da un senso di insicurezza trascorse al sud, dove tutto è accoglienza. Il volume è intenso, raffinato, brillante, coinvolgente, emozionante, delicato, interessante, divertente, semplice, originale, avvincente, credibile, piacevolissimo e, è proprio il caso di dirlo, gustoso, visto che tratta il tema fondamentale dell’integrazione passando anche per la tavola e la tradizione e che la pinacoteca di quindici vividi ritratti familiari in forma di storie di vita e d’amore, luoghi e persone, è intervallata da succulente ricette – pizzoccheri, orecchiette, pasta della fortuna, zuppa d’imbroglio, parmigiana di melanzane, pasta con le telline, mandorle ricoperte di cioccolato, ciambotto, pasta e piselli, chiacchiere, agnello con patate, risotto al pesce persico, polenta, risotto allo zafferano e insalata di polpo – che costituiscono una sorta di filo rosso che rende la narrazione ancor più coesa. Da non perdere: è un vero e proprio viaggio emozionale.

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