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“Disturbi di luminosità”

62ffb5305adi Gabriele Ottaviani

Ma sono bisessuale, dico. Etero confusa, dicono. A te piace piacere, dicono. Quindi devo scontare?, dico. Tu non hai neanche la patente, dicono. Se t’invitano a cena ci vai, dicono. No, giuro, non ci andrò più. Devi difenderti da sola, dicono. E hanno la voce di mia madre. Sto cercando un dialogo con l’assoluto. E mi risponde l’estraneo. Ogni estraneo tenta di rieducarmi. Millenovecentottantaquattro castelli da cui non si può uscire. Ah, ma sei nata buona, dicono. La pazzia è arrivata dopo, dicono. Ho un buco nel torace, dico. Un buco profondo un inferno, dico. E chi può occuparsi di te, dicono. A chi importa il tuo dolore, dicono. Ma forse potremmo pensare di essere persone libere, dico. E fraternizzare per il semplice fatto di essere persone, dico. L’assoluto ci assolverà. Cerchi ancora Dio, dicono. Dio Padre Fallo. No, non cerco quel Dio. Cerco l’eternità. Sei fuori sei fuori sei fuori dall’eternità. È già prenotata per i figli dei politici, per le amanti degli intellettuali, per i servi dei potenti. Non puoi neanche guardare dalla feritoia. Siamo rimasti tutti intaccati dalla caduta. Tutti, restammo vivi morendo. Cerchiamo chi ci salvi. O ci dissolva. Qualunque cosa pur di non vedere la fine. Devi smettere se non ti capiscono, dice l’Oracolo. Dimmi dell’acqua, dice. Dimmi del sesso, dice. Dimmi di Roma e della tua solitudine. Gli racconto il sogno che ho fatto. Ero entrata furtivamente in casa di Non So Chi, e non sapeva fossi lì. Dormivo sul divano. Era buia questa casa, le luci erano spente ed era forse l’alba. Al risveglio – nel sogno – Non So Chi scopriva la mia presenza e diceva, guarda che sapevo fossi qui, ma non è una cosa corretta che hai fatto.

Disturbi di luminosità, Ilaria Palomba, Gaffi. Con un racconto di Anna Corsini. Non ha nome. È una donna affetta da un disturbo borderline della personalità. Tutto avviene nella sua mente, un flusso di coscienza, una tempesta devastante generata dal dolore più atroce, quello insopprimibile innescato da uno stupro, da un atto, come quello dell’amore, che dovrebbe dare solo piacere e che invece diventa la violenza più proterva e abominevole: lei è dappertutto, è sempre in fuga, in numerosi altrove in cerca di pace, accompagnata da figure enigmatiche che le tolgono pace e la costringono sul ciglio della sua disperazione a oscillare tra aspirazioni e depressioni. Ma… Potente, straziante, struggente, emozionante, commovente, imbevuto di una sensibilità che non può lasciare indifferenti, rifugge ogni categoria e conquista l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima parola.

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Intervista, Libri

Ilaria Palomba: “Il disagio non merita disprezzo”

62ffb5305a.jpgdi Gabriele Ottaviani

Ilaria Palomba è l’autrice dell’intenso, potentissimo e struggente Disturbi di luminosità: Convenzionali ha il piacere di intervistarla.

Da dove nasce Disturbi di luminosità?

È un libro parzialmente autobiografico, la prima parte totalmente autobiografica, la seconda è una costruzione immaginifica. In coda c’è un racconto su Basaglia di Anna Corsini. C’è molto Basaglia in Disturbi, a un livello astratto, di pensiero. Molto Nietzsche, molto Bataille, molto Deleuze e un po’ di Foucault. Non è un romanzo, forse si potrebbe definire antiromanzo. L’unico modo che avevo per parlare della mia esperienza di abuso e conseguente squilibrio psicofisico era farne poesia.

Come si guarisce dal male di vivere?

Non si guarisce. Si impara ad accettare un sentire troppo intenso. Può servire, talvolta, abbandonare ogni cosa e riflettere. Non tutti possono permetterselo ma sarebbe in realtà necessario. Quando non puoi separarti dal fluire caotico degli eventi e percepisci un disagio, allora sei in una sorta di gabbia, tutto diventa una gabbia, il mondo, l’altro, il corpo. Personalmente posso dire che la letteratura e la filosofia sono sempre state degli ottimi viatici nei momenti di buio.

Che influenza hanno sulla vita e sull’arte temi come la nascita, la morte, la paura, il dolore?

Sono i grandi temi affrontati dai più grandi autori, si pensi a Goethe, Dostoevskij, Thomas Mann, Camus, Virginia Woolf, Carver. Anche l’arte contemporanea non fa che riflettere costantemente su questi temi. Mi vengono in mentre Chris Burden, Franko B, Gina Pane, l’immancabile Abramovic. Anche se adesso l’arte sembra essere più vicina alla scienza che alla letteratura, c’è un’attenzione morbosa per il funzionamento interno dei corpi intesi come meccanismi, noto un accostarsi dell’arte all’informatica, alle neuroscienze e alla fisica dei quanti. Io mi ritengo una voce ancora legata al Novecento, quando scrivo mi ritrovo a ragionare sulle origini del dolore, sull’estremo dell’amore, sulla pulsione di morte. Sono i miei temi, sono ossessionata dalla fine delle cose. La fine, l’abbandono, la morte, sono proprio le cose che più temo quelle da cui parto per tracciare una storia.

La protagonista è in fuga: prima di tutto da sé medesima, ma non solo. Da cosa scappa la nostra società secondo lei, quale responsabilità non ha voglia di affrontare?

Tutti siamo in fuga dall’assenza di futuro. La protagonista si è per certi versi arresa. Si percepisce come preda e diventa a sua volta predatore. È una catena mortale, e lei lo sa. Sa di appartenere a un girone dell’inferno in terra. Credo che stiamo affrontando dei cambiamenti molto rapidi in ogni ambito della vita, l’uomo è troppo piccolo rispetto alla velocità che ha creato. L’uomo vuole farsi Dio ma non riuscirà mai davvero nell’intento. Non è riuscito neanche a diventare un ponte perché non vuole tramontare. Ogni epoca ha avuto i suoi scarti. Io racconto quegli scarti. Di chi ce la fa non m’importa nulla.

Lei ha lavorato in un centro diurno di psichiatria come operatrice letteraria: che esperienza è stata?

Stiamo giusto per pubblicare il libro nato dal mio laboratorio: Quattro passi nella storia – Gli amanti di Madama Lucrezia. Si è trattato di scrittura collettiva. Un modo per giocare da adulti. È stata un’esperienza di creazione pura. Il libro parla di Roma, statue parlanti, amicizia, amore e arte. Una ragazza storica dell’arte ha curato la sezione monumentale e poi tutti insieme abbiamo inventato le piccole storie dei personaggi. Non vedo l’ora sia edito! Ci sono voluti tre anni di laboratorio e ora finalmente abbiamo il nostro libro!

Che messaggio vuole trasmettere ai suoi lettori con questo libro?

Disturbi di luminosità è un urlo. Voglio poter essere ascoltata. Voglio che si guardi al disagio con meno disprezzo.

 

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