di Gabriele Ottaviani
Agli occhi di buona parte del mondo, il fatto che i governi occidentali accolgano le Pussy Riot e le Femen come eroine, o addirittura come martiri e modelli a cui ispirarsi, non può che confermare la crescente convinzione che l’Occidente liberale stia precipitando nella più totale decadenza. Perfino in Occidente vi è un crescente rifiuto dei valori dell’illuminismo, della società liberale e dell’individualismo. Quando la “libertà” vede ridursi il suo significato a quello di volgare esibizionismo, trova ben pochi sostenitori convinti. In realtà, questi gruppi esibizionisti rappresentano una reductio ad absurdum tanto del femminismo quanto della libertà, che scredita entrambi e rafforza proprio quegli atteggiamenti tradizionalisti che tali gruppi pretendono di attaccare. Queste esibizioni non possono che confermare le concezioni più misogine delle “donne liberate” come streghe isteriche. Non è facile comprendere che cosa i loro sostenitori occidentali sperino di ottenere da queste piazzate, a parte un ulteriore inasprimento del “conflitto di civiltà”. Se c’è una tendenza a cui le Femen hanno contribuito, questa è il ritorno a una tradizione conservatrice. Gruppi di donne musulmane hanno reagito riaffermando il proprio attaccamento al velo quale vera “liberazione”. Perfino nei paesi occidentali, centinaia di giovani si convertono all’Islam e partono per il Medio Oriente per unirsi a una fanatica guerra santa di rivolta contro un Occidente che si fa vanto della sua decadenza. Milioni di donne nel mondo stanno lottando per i diritti più elementari. Che cosa possono pensare di organizzazioni occidentali per i diritti umani che spendono milioni per promuovere un pugno di donne privilegiate che mettono in scena futili capricci in pubblico?
Diana Johnstone, Hillary Clinton – Regina del caos, Zambon. Per alcuni l’ideale candidata a succedere a Obama, per altri una perdente di successo fredda e calcolatrice. Un grande avvocato per certuni, per certi altri un emblema delle lobby, che decidono delle sorti di popoli interi dal chiuso di una qualunque stanza dei bottoni. La futura prima donna a sedere sulla poltrona del presidente degli Stati Uniti d’America, a scapito di Trump (o Cruz?), o colei che, per uno scandalo a base di email, rischia di perdere persino le primarie democratiche a vantaggio di Bernie Sanders, capace secondo alcuni di intercettare il voto giovanile e liberal meglio di lei. Un grande segretario di Stato, una donna che ha saputo risollevarsi dall’umiliazione del tradimento sotto gli occhi del mondo, una paladina dei diritti civili e dell’assistenza sanitaria per tutti, oppure una mera, ambigua e scaltra professionista della politica? Il saggio di Diana Johnstone (tradotto da Cristiano Screm), reporter di lunghissimo corso, donna da sempre impegnata nel sociale, convinta pacifista, analista e studiosa di geopolitica dalla storia e formazione più che progressista, comunque la si pensi è davvero interessante. Da leggere.