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“Borgo Sud”

di Gabriele Ottaviani

Era questa la mia famiglia. Rientravo il sabato pomeriggio per ricongiungermi come Adriana alla stessa radice dolorosa. Da Pescara non portavo nessuno al paese, mai un’amica, un ragazzo, mai Piero, per molto tempo. Al ponte sul Tavo passavo da sola una frontiera che divideva in due il mondo. A volte Piero ha insistito per accompagnarmi in macchina e ci salutavamo in piazza, davanti al benzinaio. Le voci sul mio fidanzato della città sono arrivate a casa. – Perché non lo fai sali’? – chiedeva mia madre. Era sempre troppo presto, anche quando una veretta d’oro bianco mi brillava all’anulare sinistro. Il giorno in cui l’ho invitato a cena la data del matrimonio era già fissata. Mio padre ha tinteggiato la sala da pranzo e la cucina, dove la tempera murale era staccata in vari punti e macchiata di unto sopra i fornelli. Mia madre ha preso un servizio di piatti al mercato del giovedí, altrimenti sarebbero stati diversi tra loro, alcuni un po’ sbeccati. Non era la porcellana bianca a cui Piero era abituato, ma risaltavano con quei colori lustri sulla tovaglia stirata e mi piacevano. Lei ha preparato le crispelle in brodo, per secondo un pollo ruspante che una contadina le aveva portato al mattino. La aiutavo con l’occhio sull’orologio, mi cadeva di mano ora una patata, ora il coltello. Ho rotto un bicchiere e i vetri sono schizzati ovunque. Poco prima dell’arrivo di Piero c’è stato un battibecco per la doccia: tutte e due ne avevamo bisogno nello stesso momento, mia madre si sentiva addosso l’odore della carne al forno. Mi ha chiesto di pettinarla e l’ho accontentata tenendo a bada il disagio per l’insolita prossimità al suo corpo. – Potevi fa’ la parrucchiera, – ha commentato alla fine e chissà cosa intendeva, gratitudine, un complimento, il richiamo a un lavoro piú utile e concreto.

Borgo Sud, Donatella Di Pietrantonio, Einaudi. Borgo Sud è la zona marinara di Pescara, ed è lì che ritorna una donna in fuga, che scappa da un nemico invisibile e ignoto e porta con sé nottetempo fra le braccia un bambino. I suoi affetti più cari non sapevano nemmeno che lei fosse sul punto di diventare madre, ma non è solo quella che tiene al seno l’unica nuova vita che l’attende: Donatella Di Pietrantonio, con scabra solennità, si candida ai più importanti riconoscimenti con una storia di passioni connotata con dovizia di dettagli e resa maestosa e maiuscola dalla caratterizzazione di personaggi formidabili.

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“L’Arminuta”

downloaddi Gabriele Ottaviani

Mia madre all’inizio aveva rifiutato, ma poi era rimasta incinta di un quinto bambino e mio padre aveva perso il lavoro. Avevano parlato una notte, chiusi nella loro camera, mentre dormivo ignara nella culla e anche i miei fratelli dormivano, nell’altra stanza. Avevano ceduto.

L’Arminuta, Donatella Di Pietrantonio, Einaudi. L’Abruzzo è – e soprattutto è stato – nell’immaginario collettivo e letterario tradizionale la terra verde dei pastori che lasciano gli stazzi e vanno verso il mare. Destino comune a molti luoghi che appaiano periferici rispetto alle realtà metropolitane, in genere più riconoscibili e facili a raccontarsi, patrimonio condiviso di una fetta più ampia della popolazione. Ma l’Abruzzo non è solo quello, ovviamente. E del resto ogni luogo è anche un posto dell’anima: per chi vi vive, per chi lo vagheggia, per chi ne parla per sentito dire e se ne fa un’idea, per chi lo racconta. L’Abruzzo che emerge, sfondo e insieme personaggio, da queste pagine è una terra ruvida e aspra, in cui quel mare di cui si parlava poc’anzi appare come un miraggio, un riflesso di luce lontano che progressivamente accende e illumina ogni cosa, addolcendo i contorni. È una terra da cui si parte, ma nella quale, com’è evidente, è possibile ritornare, specie per riscoprire una verità nascosta, taciuta, negata, dimenticata, scoperta e riscoperta, improvvisamente recuperata. La prosa di Donatella Di Pietrantonio non ha bisogno di presentazioni, e questa sua ultima opera non può che configurarsi come una conferma della straordinaria intensità delle sue capacità narrative, che hanno la medesima potenza di un fiore che, delicatamente ma inesorabilmente, buca l’asfalto in cui la sorte gli ha fatto mettere radici per nascere e fare esplodere tutta la sua salvifica bellezza: attraverso mille rivoli, scabra e abbagliante, la sua prosa asciutta e vibrante, nonché ricchissima di inventiva, anche dal punto di vista linguistico, attingendo al bacino di una dialettalità che introduce il lettore a un mondo altro, misterioso e ancestrale, innato ma celato, riesce, senza mai cedere alla faciloneria o all’abuso di retorica, a tratteggiare un affresco complesso e articolato, eppure mai ostico, di sentimenti autentici, nei quali il lettore si immedesima con immediatezza. Soprattutto per quanto concerne la dimensione di una tragicità di stampo classico e sempiterna attualità: i temi del ritorno (l’Arminuta è la ritornata: così chiamano gli altri la protagonista del romanzo), di una nuova agnizione e una più profonda consapevolezza, generata dall’interruzione, dallo strappo, dalla frammentarietà e dalla necessità di ricominciare, di riannodare i fili di un discorso bruscamente troncato, dall’elaborazione del dolore e dei sedimenti delle storie che influenzano i personaggi e rispecchiano l’insieme dei caratteri che compongono il profilo di ognuno, e che definiscono, in maniera di volta in volta uguale e allo stesso tempo diversa, quello che per ciascuno è la dimensione della casa, dell’appartenenza, si palesano con solennità dinnanzi allo sguardo esterno, subito coinvolto, posseduto e avvinto. Con toni palpitanti e calda espressività Donatella Di Pietrantonio racconta, meditando sul significato della maternità, della responsabilità, della cura, la storia di una ragazza che in un attimo ha perso tutto, e comincia una nuova vita bussando a una porta sconosciuta che la separa dal suo sangue, tra occhi rapaci e silenzi eloquenti. Da non perdere.

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