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“Trilogia”

trilogia-limentani.pngdi Gabriele Ottaviani

Ora mia madre veleggia intorno a me colma di tenerezza. Mi rispetta e mi stima. Ora mia madre si umilia inghiottendo le domande. Mi dispiace per lei. Non ho rancori. Le do quello che posso. La lascio sconcertata. Mia madre porta via la sua ira. Mia sorella si appoggia al tavolo. Ride piano.

[…]

A ogni reiterato racconto, nel matrimonio segreto infine scoperto e accettato dalle famiglie degli sposi, applaudivo in cuor mio il trionfo dell’amore sui pregiudizi di casta e di religione, mentre la drammatica convocazione del dottor Trani mi muoveva al pianto come certi film che mi avevano tanto più commossa, in quanto non ci avevo capito gran che. I finti addii alla stazione mi facevano invece l’effetto di una comica di Ridolini, per cui cercavo di non soffermarmici troppo col pensiero, in questo aiutata dalla rapidità con cui mia madre cambiava argomento o trovava una scusa per lasciare il salotto, se qualche visitatore vi faceva cenno. Visto poi che i visitatori di quei giorni non ridevano mai, mi ero messa in testa che la mamma sorvolasse su quel particolare della storia, trovando il riso disdicevole di fronte alla compunta serietà dei loro visi. Tanto più disdicevole sarebbe risuonata una delle mie risate – a tutt’oggi non ho imparato a ridere con garbo – che per di più, insieme alla mia presenza, avrebbe rivelato il mio rifugio segreto fra le gambe del tavolo dell’attigua sala da pranzo.

[…]

La risata della classe è fragorosa, ma di nuovo la maestra impone il silenzio. Severa, addolorata, angosciata quasi. «C’è purtroppo molto poco da ridere», afferma. E avverte: «Fate attenzione a non fidarvi mai di chi neppure per pregare usa un linguaggio chiaro, comprensibile a tutti! Le bestemmie che avete appena udito, sono i dettati di quell’infido farisaismo ebraico che ha mandato a morte Nostro Signore». E siccome ho bestemmiato devo andare in castigo fuori della classe. Alla fine delle lezioni, da una compagna ebrea solo per metà e perciò meno appariscente, vengo a sapere che la lezione di catechismo è stata un’appassionata messa in guardia contro i pericoli del farisaismo, e quindi dell’ebraismo.

Trilogia (In contumacia – Dentro la D – La spirale della tigre), Giacoma Limentani, Iacobelli. Traduttrice, scrittrice, saggista, interprete delle Scritture: una intellettuale a tutto tondo, una donna che rende orgogliosi di vivere nello stesso paese, una testimone della storia, del suo sedimentarsi attraverso il tempo, intrecciarsi con le vite di ogni individuo e condizionarle, che lo si voglia oppure no, che lo si desideri o meno, che ce ne si renda conto e lo si accetti oppure ci si opponga, più o meno vanamente. Il trittico di romanzi – anche se forse per il primo testo la definizione non è precisa, perché sembra quasi più che altro una sorta di diario postumo in cui i piani temporali si toccano e si saldano, come metallo fuso a contatto con una scintilla – proposti e riediti in un unico volume è un saggio di potenza seducente, frasi brevi che svellono il noto per portare alla luce l’incognito: tutti i grandi scrittori e le grandi scrittrici, e Giacoma Limentani deve senza dubbio essere annoverata in questo folto gruppo, fanno questo, d’altronde, attraverso la tessitura della scrittura, limpida e chiara, lieve e non superficiale, e raccontando quello che vedono, vogliono schiarire il mistero, affascinante e doloroso. È una reazione a catena, come se fossimo invitati in casa da una conoscente non troppo stretta e assistessimo a scene che non dovremmo vedere, eppure al tempo stesso non riuscissimo a volgere altrove lo sguardo: la prosa travolge e avvince come un gorgo, tra l’orrore delle leggi razziali, l’occupazione nazista, la fine della guerra, ricordi e malinconie, la percezione d’un’assenza e la ritrovata consapevolezza.

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