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“Le regole della strada”

stradadi Gabriele Ottaviani

Il mattino ci porta un po’ di allegria. Be’, “allegria” è un parolone. Dopotutto sono ancora in Francia, e sto ancora guidando da Calais nella direzione sbagliata – cioè verso la Svizzera – e sempre contromano. La ragione dell’allegria ha a che fare con la strada in sé. Ci troviamo su una strada secondaria poco trafficata, invece che in autostrada, come preferirebbe Iris. O magari è la temperatura primaverile. 

Le regole della strada, Ciara Geraghty, DeA Planeta, traduzione di Chiara Messina. Terry, casalinga, madre, moglie, irlandese, figlia di un padre affetto da demenza senile, ex tassista non più autosufficiente ma ancora portentoso per quel che concerne il codice della strada, ha una migliore amica, Iris, infermiera ironica, coraggiosa, pragmatica, brillante, appassionata, intelligente e… scomparsa. Svanita nel nulla alla vigilia del suo cinquantottesimo compleanno. Terry, che già di suo secerne ansia, si allarma. Giustamente. Anche perché Iris ha la sclerosi multipla. Va a casa sua, e capisce che è partita. Verso una di quelle cliniche elvetiche da cui non si torna. Terry però non vuole perdere la sua amica, anzi, vuole convincerla che il futuro ha ancora molto da offrirle, anche di bello. Così carica in macchina, sulla sua Volvo, ingombrante e diversamente nuova, ma che la fa sentire sicura, il padre e parte all’inseguimento. Tenero, dolcissimo, sorprendente: genuinamente emozionante, da non perdere.

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“Nàccheras”

naccdi Gabriele Ottaviani

Le raffiche si fermarono di colpo il mattino seguente. I paesani contarono i danni agli alberi e tornarono in miniera. Le donne spezzarono pane e pomodori per pranzo, il mercato vendette pesce a prezzi altissimi a causa del mare grosso. Gli animi di tutti si rasserenarono appena con l’afa di mezzogiorno, perché il caldo era sicurezza che la vita stava continuando senza impedimenti. Che Dio amava quel paese così devoto, che la natura avrebbe ridato spazio alle abitudini. Il grano era già maturo, non restava che mettersi a raccoglierlo tutto e non farsi fregare dalla tramontana. Le donne avrebbero avuto farina per spezzare altro pane e gli uomini altri semi da piantare.

Nàccheras, Ilenia Zedda, DeA Planeta. Il romanzo di esordio di questa scrittrice dalla voce elegante, raffinata, colta, variegata, matura e originale, anche dal punto di vista stilistico e lessicale, copywriter torinese d’adozione ma nativa della provincia di Sassari, narra di una Sardegna arcaica, ancestrale, scabra e seducente, racconta di Cala dei Mori, un posto speciale nei cui fondali enormi conchiglie custodiscono un dono, il bisso, la leggendaria seta dorata che ha vestito i monarchi dell’antichità, di cui solo una donna, il Maestro per i più, per chi la teme una strega, conosce i misterici rituali della raccolta e della tessitura, dei cui segreti sta rendendo edotta la sua erede, Caterina, nipote tredicenne che si sta affacciando alla vita ed è bramosa di crescere. Il mare è il suo destino, lo sente, ma non si avvede che dietro gli scogli, nell’ombra, in segreto, Francesco, figlio di una stirpe di minatori, a suo modo l’ama, rapito dalla grazia dei suoi movimenti, reso timido da quella che sembra essere una scommessa impossibile da vincere, mutare le proprie sorti, contraddire i pregiudizi e i preconcetti altrui. Ottimo.

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“I sognatori”

sognidi Gabriele Ottaviani

Le palpebre tremano. Il respiro è irregolare. Il tono muscolare è visibilmente ridotto. Catherine lo nota in ogni nuovo paziente. Tutti questi segni indicano che i dormienti stanno sognando. Sono casi davvero strani. È anche per la curiosità che torna qui ogni volta. Alla sua terza visita a Santa Lora, uno specialista di medicina del sonno lo ha confermato: il monitoraggio dell’attività cerebrale mostra che i soggetti addormentati sognano. I sogni non hanno mai suscitato l’interesse di Catherine. La psichiatria si è mossa verso un territorio differente. La maggior parte dei suoi colleghi direbbe che i sogni sono privi di qualunque significato, una sorta di spazzatura mentale, generata casualmente dagli impulsi elettrici del cervello.

I sognatori – The dreamers, Karen Thompson Walker, DeA Planeta, traduzione di Francesco Zago. Il virus di Santa Lora, dal nome della cittadina californiana da cui l’epidemia inizia a diffondersi, condanna chi ne viene colpito a un silenzio senza fine, a un sonno da cui non ci si riesce a svegliare, pieno di sogni, profondi, vuoti, densi. La prima vittima, una studentessa, va a dormire e non si desta più, e nonostante le misure contenitive prese immediatamente il contagio si spande a macchia d’olio, ammantando con una coltre di superficiale quiete una realtà nelle cui viscere in realtà si agitano speranze, tensioni, paure, ossessioni, passioni. Romanzo simbolico e mai così attuale sulla condizione umana, fragilissima, nonostante le illusioni e la volontà di potenza, scritto realmente in stato di grazia, avvince e convince.

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Intervista, Libri

“No spoiler!”: intervista agli autori

81QWoRMr3jL._AC_UL320_ML3_di Gabriele Ottaviani

Leonardo Patrignani e Francesco Trento sono gli autori di No spoiler!: Convenzionali li intervista con estrema gioia per voi.

Da dove nasce questo libro?

L. P.: Francesco tiene corsi di sceneggiatura da una vita, io stesso sono stato un suo allievo e mi sono innamorato dell’analisi strutturale delle storie. Ho iniziato a raccontare a mia volta i segreti della narrativa nelle scuole, ho notato la grande passione dei ragazzi nei confronti di questi meccanismi e l’idea è scattata di conseguenza. Mi è bastato chiamare Francesco e proporgli un progetto con queste caratteristiche per incontrare il suo entusiasmo. Non avrei mai potuto firmarlo da solo. Di lì alla proposta a DeA è stato un attimo, e anche in quel caso la reazione è stata pronta e convinta.

F. T.: Sì, è vero, appena Leo mi ha chiamato ho detto subito sì. Da ragazzo sono stato un lettore forte, ma non ho quasi mai letto nulla che fosse “obbligatorio”. Ero affascinato dai fumetti, o da Woody Allen, o dalla fantascienza, ma non da Dante Alighieri, che ho invece recuperato molti anni dopo. Di questo progetto, a parte la bellezza di lavorarci con un amico vero, mi piaceva l’idea di dare agli insegnanti uno strumento per rendere la lettura più interessante. Partire dagli Avengers per arrivare all’Iliade, insomma, e non viceversa. Anche perché, come raccontiamo in queste pagine, Hulk in fondo è un Achille con molto verde.

Che cosa rende unica una storia? E cosa invece la accomuna a tutte le altre?

L. P.: Abbiamo cercato di svelare ai lettori quelle impalcature invisibili che sorreggono ogni storia. Mi riferisco a elementi strutturali ricorrenti, come la divisione in atti, l’attraversamento di prove, il passaggio attraverso tappe che sono comuni a quasi ogni narrazione, gli step del percorso che un protagonista compie dall’inizio alla fine di una narrazione. Questi sono i punti di contatto che, dal mito all’epica, dalle fiabe ai film o ai romanzi contemporanei, rendono tutte le storie… la stessa storia. Ma ogni narrazione è unica per quell’essenza speciale che la compone e contraddistingue. La voce inconfondibile di un narratore (pensate a Stephen King), le atmosfere di un certo luogo o le peculiarità di un personaggio, di una dinamica sociale o storica, il world building di un fantasy, la capacità predittiva di un romanzo di fantascienza. E, nei film, come non pensare alla recitazione di un attore, alla visione di un regista, alla potenza di un tema trattato.

F. T.: le storie non sono quasi mai davvero nuove. Pensate a due degli ultimi film premiati agli Oscar. The Shape of Water è in fondo una rivisitazione de La Bella e la Bestia, o anche di Splash! Una sirena a Manhattan. Green Book, se guardiamo il meccanismo narrativo, è una bromance abbastanza classica, come Quasi Amici o Parto col folle o Un biglietto in due. Cosa rende questi due film “unici”, allora, tanto da meritare l’Oscar? Il fatto di aver colto lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, e aver declinato quelle trame classiche in due riflessioni tematiche antirazziste, davvero importanti negli Stati Uniti di Trump.

Perché tutti abbiamo bisogno di raccontare e raccontarci delle storie?

F. T.: Credo che ci siano molti motivi, a me piace pensare che le storie servano anche a rimodellare il mondo, riparare torti e ingiustizie, o magari metterli in risalto e chiamarti a reagire. Soprattutto quando parliamo di ragazzi, le storie sono un veicolo per riflettere su di sé, come dei viaggi, e come i viaggi spesso ti aiutano a crescere. Se un libro è ben scritto, quando lo metti giù sei un po’ diverso da quando lo hai cominciato.

C’è una storia che non è stata ancora raccontata?

F. T.: Beh, sì, senz’altro. C’è la storia di come usciremo dal coronavirus, di che mondo sarà quello che sta arrivando. La storia di come saremo capaci di combattere la battaglia per il clima, una storia importantissima che stanno scrivendo ragazze e ragazzi giovanissimi come Greta Thunberg. Ma quando poi dovremo trovare il modo di raccontarle al meglio, quelle storie, allora vedrete che ricorreremo a modelli narrativi che già esistono, e che in parte abbiamo cercato di spiegare in questo libro.

Qual è l’esempio perfetto di racconto?

L. P.: Butto i miei due penny sull’Odissea come modello universale, e in generale i miti come memoria collettiva dell’umanità, una biblioteca di lezioni, archetipi, chiavi di lettura e interpretazione senza tempo.

F. T.: Il racconto perfetto è quello che suscita una domanda dopo l’altra, e risponde alla prima solo dopo averti trascinato nella seconda: cosa succede adesso? E ora come se la cavano? Perché la protagonista si comporta in questo modo? Cosa le è successo? Da cosa è stata ferita? Riuscirà a metter via la sua maschera e tornare a fidarsi degli altri, mostrarsi per la persona che davvero è, nel profondo del cuore? E, soprattutto: perché Leonardo, che vive a Milano, dispone di due penny? Perché non scommette in euro? Cosa ci nasconde?

Perché c’è tutto questo odio per gli spoiler: è davvero così importante l’effetto sorpresa?

L. P.: Io preferisco evitarli. Quando compro il nuovo romanzo di un autore che amo, non riesco neanche a leggere l’aletta. Non voglio sapere niente, voglio farmi sorprendere dalla storia. Lo stesso accade con i film che però, ormai, a causa di tutti questi studi strutturali mi si spoilerano da soli durante la visione. La bravura di uno sceneggiatore dev’essere anche quella di conoscere e applicare le regole senza far percepire troppo lo scheletro della narrazione. Quando una storia confonde e incanta anche chi di storie si occupa, allora siamo di fronte a una grande opera.

F. T.: Beh, se sto seguendo una serie da anni e me la spoileri, mediamente voglio il tuo scalpo, perché mi rovina la suspense, il gusto di scoprire come va a finire. Poi, da narratori, sia Leo che io riguardiamo un film anche venti volte, per studiarne i segreti, o anche solo perché quel film ci parla, anche se sappiamo già come finisce. C’è anche uno spoiler implicito, se ci pensi, perché ogni volta che un protagonista si trova di fronte al timer di una bomba che dice 5, 4, 3… in cuor nostro sappiamo che a 0.01 centesimi dalla morte riuscirà a disinnescarla. Eppure questo non ci impedisce di emozionarci.

Il libro e il film del cuore, e perché?

L. P.: Per i romanzi direi Shining, di Stephen King, anche se il capolavoro assoluto (che non è “del cuore”, ma è oggettivamente fuori concorso) è Solaris, di Lem. Tra i film ne eleggo uno per cui provo un affetto immenso per varie ragioni. È la mia personale valle di lacrime, oltre a rappresentare forse una delle migliori prove d’attore che io abbia mai visto (da parte di Sean Penn): I am Sam.

F. T.: Sul libro sono in difficoltà, ho almeno tre romanzi che amo alla pari. Forse se dovessi portarne uno solo su un’isola deserta sceglierei tutte le poesie di Wislawa Szymborska. Sul film invece non ho dubbi: Qualcuno volò sul nido del cuculo. Un capolavoro senza tempo, lo guardo e riguardo da quando avevo 14 anni e ogni volta lo trovo meraviglioso.

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“No spoiler!”

NO SPOILER coverdi Gabriele Ottaviani

No spoiler! – La mappa segreta di tutte le storie, Leonardo Patrignani, Francesco Trento, DeA Planeta, illustrazioni, magnifiche, di Agnese Innocente, che con sapienza arricchisce, chiarisce e integra l’aspetto più specificamente testuale del volume. Siamo animali sociali. Non possiamo stare soli. Siamo fatti per comunicare. Siamo fatti di storie, ognuno la sua, fiume dai mille affluenti. Siamo fatti per raccontare, e raccontarci, vicende. Per non avere più paura. Per dimostrare che amiamo. Per sentirci amati. Per avere un nuovo amico. Per generare stupore, curiosità, ammirazione, meraviglia, orgoglio, piacere, stima. Per abbellire una realtà che ci regala solo tristezza, squallore, malinconia, nostalgia, sofferenza e abiezione. Per non dimenticare, non far svanire, non far morire. Per trattenere ancora un po’ chi se n’è andato, perché il distacco non sia per sempre, perché non sappiamo nemmeno ben dire, in fondo, quanto duri davvero, il per sempre. E ogni narrazione, quale che sia, ha, al di là delle differenti e accessorie modalità espressive, poiché parte da un’istanza universale, quella alla condivisione, che ci spinge a ricercare negli occhi dell’altro conforto per le nostre angosce inconfessate e inconfessabili, degli elementi in comune con tutte le altre, sia che si tratti di un video su Instagram, che dura quindici secondi, dopo ventiquattr’ore scompare ed è solo per te, nel tuo archivio, che resta in memoria, impermeabile all’oblio, sia che sia un canto dell’Iliade o una puntata di una serie tv: perché, declinato secondo innumerevoli sfumature, la base è sempre quella, il racconto, la narrazione. C’è sempre, Propp insegna, una trama, un intreccio, un eroe, un antagonista, un aiutante, un mentore, una sfida: e non solo nella pagina, anche nella vita vera, che è del resto ciò di cui parlano la letteratura, il cinema, il teatro, le forme d’arte in genere, che possono inventare mondi altri ma non fare a meno di relazionarsi col loro presente, e con la speranza di una sopravvivenza futura. Leonardo Patrignani, autore di romanzi per ragazzi, doppiatore e musicista, e Francesco trento, cui tra l’altro si debbono Venti sigarette a Nassirya e Crazy for football, insieme guidano con mano sicura il lettore alla scoperta della storia che c’è dietro tutte le storie: da non farsi sfuggire per nessuna ragione.

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“Il figlio dell’italiano”

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Vide le api volare in coppia verso i campi di fieno coperti di fiori: le sembrò un buon segnale…

Il figlio dell’italiano, Rafel Nadal, DeA Planeta, traduzione di Stefania Maria Ciminelli. Caldes de Malavella è un piccolo borgo catalano, un paesino in cui vive, nella più misera delle case che lo compongono, un ragazzino tanto taciturno, introverso, serio, giudizioso e lavoratore quanto facinorosa, lazzarona, scansafatiche, rissosa e chiassosa è la sua affollata famiglia, Mateu, che si mormora sia nientedimeno che il figlio dell’italiano, un soldato che amava fischiettare canzoni napoletane, bello e gentile di modi e d’aspetto, come del resto si conviene a chi si palesa dal nulla e nel nulla, come un angelo, scompare, che tutti ricordano pur senza saperne nulla, e che è scampato al naufragio della corazzata Roma, che, dopo Cassibile, i nazisti ebbero cuore di bombardare. Morta la mamma, Mateu decide, ormai cresciuto, di iniziare la sua personale telemachìa, fra Spagna e Italia, e… Un grande affresco storico e di sentimenti, di rara efficacia: impeccabile e imperdibile.

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“Tutta la vita davanti”

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Ho l’impressione che stiamo facendo la scelta sbagliata…

Tutta la vita davanti, Yasmin Rahman, DeA Planeta. Traduzione di Denise Silvestri. MementoMori è un sito che promette di condurre i ragazzi che pensano che la loro vita non valga la pena di essere vissuta a porre fine spontaneamente ai propri giorni, con l’aiuto di un compagno che sia di sostegno nell’ultimo tratto di strada, pianificando l’accadimento nel minimo dettaglio. Abominevole, atroce, inquietante. Tragicamente credibile, viste anche quante sono le anime fragili attorno a noi, quelle che non vediamo, che facciamo finta di non vedere, di cui non ci accorgiamo, di cui trascuriamo le richieste di aiuto, le mani, che mettiamo in fondo alla lista delle nostre priorità, sapendo perfettamente comunque che un giorno potrebbe essere davvero dannatamente troppo tardi. Maureen ha sedici anni, età verde e feroce, soffre di attacchi di panico e si imbatte in MementoMori, incontra due anime disperate come lei, inizia un sodalizio, un’amicizia vera, l’esistenza ora pare finalmente degna di essere vissuta: ma potranno sfuggire alla spada di Damocle che pende sulle loro teste? Mozzafiato.

 

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“Raccontami di un giorno perfetto”

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Durante l’ora di ginnastica, io e Charlie Donahue siamo sul campo da baseball, dietro la terza base. Abbiamo scoperto che questo è il posto migliore del mondo per chiacchierare in santa pace. Senza nemmeno guardare, Charlie afferra una palla che arriva sibilando verso di noi e la rilancia alla casa base. Tutti gli allenatori alla Bartlett High School hanno cercato di reclutarlo dal primo momento in cui Charlie ha messo piede a scuola, ma lui si è sempre rifiutato di piegarsi allo stereotipo del nero campione di sport. Tra le attività extrascolastiche ha scelto il gruppo di scacchi, quello di briscola e quello che si occupa dell’annuario scolastico.

Raccontami di un giorno perfetto, Jennifer Niven, DeA Planeta. Traduzione di Simona Mambrini. Ora anche un film Netflix, con Elle Fanning, Justice Smith, Luke Wilson e tanti altri. È gennaio, è mattina, fa un freddo tremendo. Theodore è depresso da anni, si inerpica sulla torre campanaria della scuola che frequenta per vedere che effetto fa guardare giù da sei piani d’altezza. Non immagina nemmeno lontanamente che però quella mattina qualcuno, nella fattispecie la persona che con ogni probabilità meno riteneva possibile e pensabile incontrare lì, abbia avuto la sua medesima idea. Una ragazza, una fra le più popolari, se non la più popolare in assoluto. Una che sembra avere tutto. E che forse ha davvero tutto. Di certo ha anche un dolore che le schianta il cuore nel petto. E… Coraggioso, potente, vibrante, travolgente, commovente. Da leggere.

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“La lettrice della stanza 128”

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Rue des Morillons, 18 agosto 2016

Caro William,

ha appena scoperto un lato segreto della vita di sua madre e immagino quanto possa essere scioccato. Ma all’epoca aveva i suoi affari di cui occuparsi e neanche il figlio più attento avrebbe potuto immaginare un simile idillio. Del resto, in caso contrario, cosa avrebbe fatto? Sarebbe corso in aiuto di sua madre che aveva perso il grande amore? Avrebbe sostenuto suo padre se avesse scoperto che la moglie stava per fuggire con un ladro pentito? O avrebbe preferito dividersi fra i due e aggiungere al loro dolore il suo?

La lettrice della stanza 128, Cathy Bonidan, DeA Planeta. Traduzione di Tania Spagnoli. Anne-Lise non viaggia mai senza un libro. Al tempo stesso però è una distratta cronica. Per fortuna la sorte le dà una mano, e nonostante abbia scioccamente dimenticato di mettere in valigia un romanzo nel comodino della deliziosa stanza d’albergo dove sta trascorrendo qualche pacifico momento, sulla costa bretone, trova nientedimeno che un dattiloscritto. Il suo quotidiano rituale serale di lasciarsi cullare dalle parole prima di cedere al sonno è dunque salvo: stavolta, poi, si ritroverà a vivere un’avventura sorprendente… Piacevolissimo.

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“La campana in fondo al lago”

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Kai Schweigaard perse molti chilogrammi quella primavera, non solo perché erano terminate le leccornie natalizie della governante Bressum. Il dimagrimento sciolse per primo l’adipe sottocutaneo, poi fece contrarre la pelle attorno ai tendini. S’iniziarono a vedere le scapole sotto la sottana e sembrava invecchiato. Con poca luce, il viso pareva cianotico, le mani avevano un tono più coriaceo, al limite del corneo, e facendosi la barba si escoriava di continuo la gola. Le cene con Schönauer erano diventate silenziose e soporifere, nonostante apprezzassero entrambi le squisite trote che il tedesco, non si sa bene come, pescava con la canna…

La campana in fondo al lago, Lars Mytting, DeA Planeta. Traduzione di Luca Vaccari. Butangen è un piccolo villaggio norvegese nel quale, nell’anno del Signore milleottocentosettantanove, si staglia, facendo splendida mostra di sé e connotando incontrovertibilmente il panorama della cittadina e della vallata tutta, un’antica chiesa, per lo più fatta di legno, dove un tempo era possibile vedere l’ultimo arazzo tessuto a mano da due abilissime gemelle siamesi e dove, ogni qual volta che un pericolo incombe, misteriosamente si mettono a suonare da sole le campane realizzate da un mastro locale, padre delle formidabili tessitrici di cui sopra. Campane di cui però il nuovo prete vuole sbarazzarsi: non ha però fatto i conti con un’agguerrita discendente delle due… Solido, vibrante, potente, simbolico, allegorico. Da non perdere.

 

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