di Gabriele Ottaviani
Leonardo Patrignani e Francesco Trento sono gli autori di No spoiler!: Convenzionali li intervista con estrema gioia per voi.
Da dove nasce questo libro?
L. P.: Francesco tiene corsi di sceneggiatura da una vita, io stesso sono stato un suo allievo e mi sono innamorato dell’analisi strutturale delle storie. Ho iniziato a raccontare a mia volta i segreti della narrativa nelle scuole, ho notato la grande passione dei ragazzi nei confronti di questi meccanismi e l’idea è scattata di conseguenza. Mi è bastato chiamare Francesco e proporgli un progetto con queste caratteristiche per incontrare il suo entusiasmo. Non avrei mai potuto firmarlo da solo. Di lì alla proposta a DeA è stato un attimo, e anche in quel caso la reazione è stata pronta e convinta.
F. T.: Sì, è vero, appena Leo mi ha chiamato ho detto subito sì. Da ragazzo sono stato un lettore forte, ma non ho quasi mai letto nulla che fosse “obbligatorio”. Ero affascinato dai fumetti, o da Woody Allen, o dalla fantascienza, ma non da Dante Alighieri, che ho invece recuperato molti anni dopo. Di questo progetto, a parte la bellezza di lavorarci con un amico vero, mi piaceva l’idea di dare agli insegnanti uno strumento per rendere la lettura più interessante. Partire dagli Avengers per arrivare all’Iliade, insomma, e non viceversa. Anche perché, come raccontiamo in queste pagine, Hulk in fondo è un Achille con molto verde.
Che cosa rende unica una storia? E cosa invece la accomuna a tutte le altre?
L. P.: Abbiamo cercato di svelare ai lettori quelle impalcature invisibili che sorreggono ogni storia. Mi riferisco a elementi strutturali ricorrenti, come la divisione in atti, l’attraversamento di prove, il passaggio attraverso tappe che sono comuni a quasi ogni narrazione, gli step del percorso che un protagonista compie dall’inizio alla fine di una narrazione. Questi sono i punti di contatto che, dal mito all’epica, dalle fiabe ai film o ai romanzi contemporanei, rendono tutte le storie… la stessa storia. Ma ogni narrazione è unica per quell’essenza speciale che la compone e contraddistingue. La voce inconfondibile di un narratore (pensate a Stephen King), le atmosfere di un certo luogo o le peculiarità di un personaggio, di una dinamica sociale o storica, il world building di un fantasy, la capacità predittiva di un romanzo di fantascienza. E, nei film, come non pensare alla recitazione di un attore, alla visione di un regista, alla potenza di un tema trattato.
F. T.: le storie non sono quasi mai davvero nuove. Pensate a due degli ultimi film premiati agli Oscar. The Shape of Water è in fondo una rivisitazione de La Bella e la Bestia, o anche di Splash! Una sirena a Manhattan. Green Book, se guardiamo il meccanismo narrativo, è una bromance abbastanza classica, come Quasi Amici o Parto col folle o Un biglietto in due. Cosa rende questi due film “unici”, allora, tanto da meritare l’Oscar? Il fatto di aver colto lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, e aver declinato quelle trame classiche in due riflessioni tematiche antirazziste, davvero importanti negli Stati Uniti di Trump.
Perché tutti abbiamo bisogno di raccontare e raccontarci delle storie?
F. T.: Credo che ci siano molti motivi, a me piace pensare che le storie servano anche a rimodellare il mondo, riparare torti e ingiustizie, o magari metterli in risalto e chiamarti a reagire. Soprattutto quando parliamo di ragazzi, le storie sono un veicolo per riflettere su di sé, come dei viaggi, e come i viaggi spesso ti aiutano a crescere. Se un libro è ben scritto, quando lo metti giù sei un po’ diverso da quando lo hai cominciato.
C’è una storia che non è stata ancora raccontata?
F. T.: Beh, sì, senz’altro. C’è la storia di come usciremo dal coronavirus, di che mondo sarà quello che sta arrivando. La storia di come saremo capaci di combattere la battaglia per il clima, una storia importantissima che stanno scrivendo ragazze e ragazzi giovanissimi come Greta Thunberg. Ma quando poi dovremo trovare il modo di raccontarle al meglio, quelle storie, allora vedrete che ricorreremo a modelli narrativi che già esistono, e che in parte abbiamo cercato di spiegare in questo libro.
Qual è l’esempio perfetto di racconto?
L. P.: Butto i miei due penny sull’Odissea come modello universale, e in generale i miti come memoria collettiva dell’umanità, una biblioteca di lezioni, archetipi, chiavi di lettura e interpretazione senza tempo.
F. T.: Il racconto perfetto è quello che suscita una domanda dopo l’altra, e risponde alla prima solo dopo averti trascinato nella seconda: cosa succede adesso? E ora come se la cavano? Perché la protagonista si comporta in questo modo? Cosa le è successo? Da cosa è stata ferita? Riuscirà a metter via la sua maschera e tornare a fidarsi degli altri, mostrarsi per la persona che davvero è, nel profondo del cuore? E, soprattutto: perché Leonardo, che vive a Milano, dispone di due penny? Perché non scommette in euro? Cosa ci nasconde?
Perché c’è tutto questo odio per gli spoiler: è davvero così importante l’effetto sorpresa?
L. P.: Io preferisco evitarli. Quando compro il nuovo romanzo di un autore che amo, non riesco neanche a leggere l’aletta. Non voglio sapere niente, voglio farmi sorprendere dalla storia. Lo stesso accade con i film che però, ormai, a causa di tutti questi studi strutturali mi si spoilerano da soli durante la visione. La bravura di uno sceneggiatore dev’essere anche quella di conoscere e applicare le regole senza far percepire troppo lo scheletro della narrazione. Quando una storia confonde e incanta anche chi di storie si occupa, allora siamo di fronte a una grande opera.
F. T.: Beh, se sto seguendo una serie da anni e me la spoileri, mediamente voglio il tuo scalpo, perché mi rovina la suspense, il gusto di scoprire come va a finire. Poi, da narratori, sia Leo che io riguardiamo un film anche venti volte, per studiarne i segreti, o anche solo perché quel film ci parla, anche se sappiamo già come finisce. C’è anche uno spoiler implicito, se ci pensi, perché ogni volta che un protagonista si trova di fronte al timer di una bomba che dice 5, 4, 3… in cuor nostro sappiamo che a 0.01 centesimi dalla morte riuscirà a disinnescarla. Eppure questo non ci impedisce di emozionarci.
Il libro e il film del cuore, e perché?
L. P.: Per i romanzi direi Shining, di Stephen King, anche se il capolavoro assoluto (che non è “del cuore”, ma è oggettivamente fuori concorso) è Solaris, di Lem. Tra i film ne eleggo uno per cui provo un affetto immenso per varie ragioni. È la mia personale valle di lacrime, oltre a rappresentare forse una delle migliori prove d’attore che io abbia mai visto (da parte di Sean Penn): I am Sam.
F. T.: Sul libro sono in difficoltà, ho almeno tre romanzi che amo alla pari. Forse se dovessi portarne uno solo su un’isola deserta sceglierei tutte le poesie di Wislawa Szymborska. Sul film invece non ho dubbi: Qualcuno volò sul nido del cuculo. Un capolavoro senza tempo, lo guardo e riguardo da quando avevo 14 anni e ogni volta lo trovo meraviglioso.