di Gabriele Ottaviani
Carla Cucchiarelli è l’autrice di Quello che i muri dicono: Convenzionali ha il felice privilegio di intervistarla.
Da dove nasce l’idea del libro?
L’idea è nata da una conversazione con l’editore, Luigi Iacobelli. In realtà io avevo in mente di scrivere qualcosa di diverso sulla street art ma lui mi ha proposto, invece, una guida dei murales romani, argomento che ancora non era stato trattato. La proposta mi è piaciuta e mi sono messa all’opera, cioè in cammino per Roma per vedere quello che i muri di questa città raccontano.
Che cosa rappresenta nell’immaginario collettivo la periferia?
Questa è davvero una domanda complessa. Presumo che il termine periferia, nell’immaginario collettivo, richiami immediatamente un’idea di degrado e di abbandono, un luogo altro, lontano dal centro. Temo che a questa parola associamo sempre un significato negativo. Viene immediatamente in mente Pasolini che ne ha raccontato i personaggi e gli umori, ma in qualche modo anche la poesia. Esistono tante periferie di tante città e di tanti mondi, alcune possono essere anche luoghi residenziali, rifugi dal caos. Impossibile generalizzare. La periferia romana che io ho scoperto scrivendo questo libro, per esempio, ha una sua grande bellezza.
Qual è nella nostra società il valore dell’arte? E della bellezza?
Anche questa è una domanda davvero complessa. Potrei risponderti che non lo so. So che cerchiamo l’arte per avere risposte sulla vita, che ci mettiamo in fila per vedere un capolavoro e affolliamo musei e monumenti del passato per sentirci ancora, semplicemente, vivi. Ma quale possa essere per la nostra società il valore dell’arte è difficile da dire. Quanti sono oggi i bisogni indotti, per quale motivo milioni di persone vanno a vedere la Gioconda o affollano il Colosseo? Che cosa sognano davanti a una tela di Monet? Penso che abbiamo bisogno di arte come abbiamo bisogno della fantasia e della letteratura, di un buon film o di una musica che ci faccia volare perché la Bellezza, come scriveva Dostoevskij, può davvero salvare il mondo.
Quali sono i più preoccupanti segnali di arretratezza culturale del nostro tempo?
Se diamo per scontato che il nostro tempo soffre di arretratezza culturale, direi che, a mio modestissimo avviso, i segnali più preoccupanti sono la mancanza di empatia e la mancanza di pensiero o quanto meno di riflessione e progettualità. Cerco di spiegarmi: la mancanza di empatia può dar vita a una società sempre meno solidale e attenta ai problemi altrui, così come la mancanza di un pensiero, di una coscienza critica non permette un’adeguata crescita culturale. Rimaniamo ancorati alla paura del diverso, alle nostre sacche di privilegio, senza cercare nuove aperture che potrebbero invece arricchirci
Che valore ha Roma nella tua vita?
Roma… Io amo Roma, è la città nella quale sono nata e dove ho sempre, più o meno, vissuto. Lavoro anche nella redazione della testata regionale della Rai e quindi mi confronto quotidianamente con i problemi e la bellezza di questa città. Mi viene da dirti che sono un po’ come Nanni Moretti in Caro Diario quando, lontano da casa, continua a leggere nostalgicamente il giornale della capitale e a sognare di essere a Roma.
Qual è, oggi, un atto concretamente politico?
Perché lo chiedi a me? Per come la vedo io, oggi, un atto concretamente politico può essere scendere in strada e manifestare, ma solo se lo senti davvero o persino scrivere un articolo, un libro per denunciare un problema, per cercare di scuotere gli animi e far conoscere certi problemi. Una volta si diceva “Il personale è politico”, credo che abbia un senso anche oggi. Ogni nostro gesto può essere un atto concretamente politico.
Perché fai la giornalista?
Questo è facile!!! Non so fare altro… Scherzo, ma dico anche la verità. Appartengo a quel gruppo, fortunato, di persone che hanno scelto sin da piccole cosa volevano fare nella vita. E da allora tutti i miei sforzi sono stati per arrivare a fare la giornalista. Amo tutto di questo lavoro, ancora oggi, anche se è cambiato (e molto) nel tempo. Mi piace cercare di raccontare le storie, le persone, i fatti di cronaca, conoscere nuovi mondi, avere spesso il privilegio di toccarli con mano.
Dell’opera d’arte lo sappiamo, almeno così verrebbe da dire seguendoti su Facebook: la Gioconda. Ma quali sono il libro e il film del cuore e perché?
È vero, amo così tanto la Gioconda che ho persino scritto una sua autobiografia non autorizzata! Per quanto riguarda libro e film la scelta è davvero difficile, anche considerando il fatto che ho pochissima memoria. Penso che forse il mio testo del cuore sia Ulisse di Joyce e il perché è molto semplice: il monologo di Molly. Indimenticabile. Quanto al film sceglierò The Others di Alejandro Amenábar, regista che non mi ha mai deluso. In questa pellicola il dramma di una madre che uccide i suoi figli è raccontato in modo toccante e delicato, surreale e semplicissimo. Non credo abbia avuto moltissimi consensi dalla critica, ma decisamente è il mio lavoro preferito.