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“A ciascuno la sua voce”

unnamed (1)di Gabriele Ottaviani

Una componente importante della prosodia è l’accento, che riflette la nostra educazione e ci identifica con una comunità ben precisa. Spesso i politici vengono criticati perché adattano il proprio accento a quello del pubblico che li sta ascoltando. Nel 2015, durante le primarie repubblicane per le elezioni presidenziali americane, si è rinfacciato al governatore del Wisconsin, Scott Walker, di aver mascherato il suo tipico accento “Upper Midwest”. Per fare breccia nell’elettorato nazionale Walker aveva lasciato «il suo “Wiscahnsin” a casa, nel Wisconsin». L’attenuazione degli accenti è una pratica diffusa; per un politico statunitense, l’obiettivo può essere il raggiungimento del cosiddetto “general american”, il tono neutro utilizzato in molti notiziari. Se un politico cambia il proprio modo di parlare, comunque, non è detto che lo faccia in maniera intenzionale; in fin dei conti, siamo tutti camaleonti vocali. All’università condividevo un alloggio con Brian, originario di Barnsley. Ricordo ancora come, ogni volta che veniva a trovarlo qualche amico da casa, il suo accento dello Yorkshire si rafforzasse a tal punto che con il mio orecchio meridionale non riuscivo a capire quasi nulla di quello che diceva. Quando è un politico a cambiare accento, però, spesso la gente lo interpreta come un segno di inaffidabilità. Tradizionalmente, i politici britannici si sono sforzati di temperare il proprio accento con elementi della cosiddetta “received pronunciation” (RP). La RP è considerata l’accento inglese per antonomasia, nonostante sia utilizzata solo dal 2 per cento della popolazione e sia difficile sentirla in Scozia o nell’Irlanda del Nord. La RP è caratterizzata, tra le altre cose, da una parlata lenta in cui ogni consonante è articolata a fondo (con l’eccezione delle «r» prima delle consonanti), le «o» sono pronunciate con affettazione, con le labbra arrotondate e la «a» è molto ampia, allungata («path» suona come «parth»). Da un punto di vista linguistico, la RP è molto giovane5 . Quando Samuel Johnson pubblicò il suo celebre dizionario, verso la metà del XVIII secolo, si astenne dal fornire indicazioni sulla pronuncia perché a quei tempi non ne esisteva una comune a tutti i ceti istruiti. I primi segni di omogeneità apparvero nell’Ottocento con la diffusione della RP tra i londinesi alla moda desiderosi di sottolineare la propria appartenenza a una classe sociale “superiore”. Diversa dai marcati accenti provinciali e dalla parlata “cockney” della classe operaia londinese, la RP è un accento britannico anomalo, perché dice pochissimo sul luogo di origine di chi parla, limitandosi a indicarne le radici sociali e culturali.

A ciascuno la sua voce – Come parliamo e ascoltiamo dai Neanderthal all’intelligenza artificiale, Trevor Cox, Dedalo. Trevor Cox, finalista a Famelab, professore di Ingegneria acustica all’Università di Salford, in Gran Bretagna, dove conduce ricerche nel campo dell’acustica architettonica, dell’elaborazione dei segnali audio e della percezione dei suoni, autore e conduttore di numerosi documentari e programmi radiofonici per la BBC, grazie anche ai quali è considerato un vero e proprio astro nascente nell’ambito della divulgazione scientifica, ritiene che prima di ogni altra cosa, nonostante anche altre specie non difettino di modalità di scambio e di comunicazione, sia la voce, strumento di riconoscimento individuale nonché di seduzione, modulabile a seconda delle strategie e delle circostanze per trarre vantaggio e raggiungere i propri scopi, evolutosi nel corso del tempo, e ancor di più la capacità di parlare e ascoltare a distinguerci dagli altri animali. Quello che descrive, e in cui ci fa immergere, è dunque un viaggio di scoperta e riscoperta nell’universo del linguaggio, per il tramite del quale possiamo analizzare il passato, interpretare il presente, immaginare il futuro. Da non perdere.

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“Un’estate da ragazzi”

51hmZ0uOVyL.jpgdi Gabriele Ottaviani

«È meglio se brucia tutto», disse Todd. «Altrimenti rischia di spegnersi.» Lanciò il fazzoletto nella stanza con un gesto rapido del polso. Osservandolo cadere a terra, Todd si chiese se la sua idea avrebbe funzionato. Magari il fazzoletto non avrebbe raggiunto la benzina sulla moquette, oppure avrebbe fatto un buco e nient’altro. Ma d’un tratto l’aria stessa parve accendersi, prima ancora che il fazzoletto toccasse terra. Il calore invase il corridoio e le fiamme illuminarono la notte. «Porca puttana!» esclamarono Bobby e David contemporaneamente. «Forza!» urlò Adam. «Andiamo!» Replicarono gli stessi gesti nella stanza attigua, e in quella dopo, e in meno di un minuto si ritrovarono in soggiorno. Il fuoco avanzava con un ruggito. Il calore cuoceva l’aria, un’aria nauseabonda che puzzava di benzina, di intonaco e di moquette bruciata. Jonathan e Bobby si rifugiarono nel portico. David stava per uscire. Todd stava preparando l’ultimo fazzoletto, e Adam era in piedi vicino al bancone fra la cucina e il soggiorno, con la torcia puntata. Fu allora che Todd vide gli occhi. C’era qualcun altro nella casa insieme a loro. «Chi è?» Il fascio di luce oscillò. Todd si voltò e vide Adam fissare il ragazzino sconosciuto, con occhi enormi e spaventati. Anche gli altri ragazzi si erano fermati, lo sguardo fisso su di lui. Le fiamme crepitavano, divoravano rapidamente la casa. Todd avvertiva il calore arrivare verso di loro. Non c’era molto tempo. Il ragazzino fece un passo avanti. Disse qualcosa che Todd non riuscì a sentire. «Cosa ci fai qui?» disse Adam. Solo allora Todd capì che si trattava del ragazzino dell’altro giorno, quello che voleva entrare nel loro club.

Un’estate da ragazzi, Richard Cox, Baldini & Castoldi, traduzione di Sonia Folin. Wichita Falls è una città del Texas, attualmente la ventinovesima città dello stato per numero di abitanti, a quindici miglia dal confine con l’Oklahoma. Nel millenovecentosettantanove un tornado la devasta, e un bimbo finisce in coma. Si sveglia quattro anni dopo e per lui il tornado non è ancora finito. Nel senso che tutto il mondo è cambiato, e lui deve farci di nuovo l’abitudine. La verità e la fantasia gli si presentano dinnanzi annodate insieme, e lui non sa come dipanare la matassa. Incontra degli amici, dei ragazzi, diventano inseparabili, finché non arriva da bere l’amaro calice della crescita, che spesso porta con sé insieme alla naturale perdita dell’innocenza anche la consapevolezza terribile del tradimento. Passano altri anni, e il passato presenta il conto… Hitchcock incontra Stand by me: semplicemente un capolavoro assoluto da ogni punto di vista. Straordinario, commovente, monumentale, magnifico.

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