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“Il sistema del tatto”

Costamagna - Coverdi Gabriele Ottaviani

Hanno rubato la bicicletta a Gariglio. Il giorno dopo il funerale di Agustín, sulla porta di casa. Non era mai capitata una cosa simile, per anni ha avuto la stessa bicicletta e l’ha sempre lasciata nello stesso posto, alla stessa ora. Questa città non è più quella di prima, dice, non c’è più nessuno di cui ti puoi fidare. In realtà, non c’è quasi più nessuno, aggiunge a bassa voce. Camminano per calle Belgrano a passo lento, come due anziani che hanno perso l’orientamento e l’urgenza. Le vie della città le sembrano tutte uguali, a parte i viali. Avenida Sarmiento, Mitre o Rocca sono fiumi con un flusso moderato. Le altre vie – Paso, Colón, Arenales, Jaurès, tutte quelle che circondano la casa dei nonni, compresa la 9 de Julio – sono affluenti, fiumiciattoli lungo i quali gli abitanti si spostano per andare dalla gelateria alla farmacia, dal fruttivendolo al Cecil, dall’ospedale a casa. Come per riprendere un discorso interrotto, Gariglio le chiede dei suoi ritrovamenti. Vuole sapere se nel fascio di carte e fotografie lei abbia trovato una lettera di Agustín. Lettere no, dice Ania. Solo gli appunti dei suoi corsi di dattilografia, i suoi quaderni. Dovrebbe esserci una lettera?, chiede…

Il sistema del tatto, Alejandra Costamagna, Edicola Ediciones, traduzione di Maria Nicola. La sua prosa non ha bisogno di presentazioni, è potente, magnetica, elegante, raffinata, suadente, sensuale, profonda, lirica, solenne e monumentale, ricca di riferimenti, livelli, chiavi d’interpretazione, sfumature: connotata da una tessitura preziosa e policroma, la scrittura di Alejandra Costamagna, voce autorevole e maiuscola della letteratura latinoamericana, indaga nella sua contraddittoria e inesorabile indolenza la condizione umana, fragile come un’illusione. Il tema della memoria, delle radici e della nostalgia è ancora una volta centrale in questo nuovo imprescindibile volume, che tratta l’identità, l’appartenenza, vicende generali e universali di migrazione e spaesamento, di perdita, elaborazione, agnizione, reminiscenza, anche dei sensi. Ania, la chi lenita, di origini argentine ma anche piemontesi, è tutti noi, che cerchiamo il nostro posto nel mondo, ci accoccoliamo nelle nostre rassicuranti consuetudini e cerchiamo solo felicità, amore ricambiato, un po’ di appagamento per il nostro primario desiderio, avere una sensazione così forte da poterla chiamare certezza di essere importanti per qualcuno semplicemente per come siamo. Eccellente.

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“C’era una volta un passero”

ceraunavoltaunpassero_costamagni_recensione_flaneri-com_di Gabriele Ottaviani

Non sono a Campana neppure da quattro ore e il tempo non passa mai. La partenza per Mar del Plata è tra due giorni, che a Jani sembrano una vita intera. Non c’è televisore né telefono, e la radio è talmente polverosa che non le viene da accenderla. Il peggio è che non ha ancora visto un cane. Dovrebbe andarli a cercare in qualche terreno abbandonato, chiamare qualcuno che la aiuti. Chiamare chi? Per fare che? Finché le viene in mente di arrampicarsi sull’albero delle arance amare, terribilmente amare, chissà perché le chiamano arance queste schifezze verdi, pensa Jani già sull’albero. Adesso che nessuno la vede lascia andare i pensieri e pensa a sua madre, molto più lontana delle chiome degli alberi. Pensa al naso di sua madre e alla pampa, ai tornanti della strada, alle curve del ritorno: conta cani argentino-cileni, centottanta, centosettantanove, cento, quarantotto, i documenti, i controlli alla dogana, l’aria tagliente, trenta, e laggiù in fondo di nuovo il naso di sua madre. Però non si può parlare di lei, non si può.

[…]

Una madre è una foto sul muro di una casa; un pri­mo piano di famiglia felice. Una madre è un orologio, dice un padre. Non sapete quanto può essere perniciosamente bello un padre.

[…]

«Niente è normale, visto da vicino, Berta. Nessuno è normale. Bisogna imparare a essere discreti e basta».

C’era una volta un passero, Alejandra Costamagna, Edicola. Traduzione a cura di Maria Nicola. Mai nessuno si abitua, Lancette d’orologio, C’era una volta un passero. Sono tre i racconti che Alejandra Costamagna, prolifica e con pieno merito pluripremiata scrittrice, giornalista e docente cilena, nata da genitori argentini fuggiti dalla dittatura, racchiude in questo piccolo e preziosissimo scrigno nel quale le voci che si intrecciano compongono una melodia che ricorda Lee, Angelou, Soriano e Tartt, variegata, struggente, totale, che racconta attraverso immagini e parole la vita in tutte le sue sfaccettature. Il rimpianto, il dolore, la forza, la speranza, la tenacia, l’amore, la passione, il distacco, la perdita, la morte assumono l’identità dei colori vivissimi della tavolozza di un ritrattista che riesce a rendere conoscibile anche l’ignoto, lirica persino la tragedia. Semplicemente formidabile.

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