di Gabriele Ottaviani
Nella repubblica da dove vengo, Marcel Beauvais, poliziotto del suo stato, si è visto citato in Consiglio disciplinare, dichiarato sospetto e destituito in modo irrevocabile, per essersi inconsiderevolmente allarmato dei metodi in uso sul suo luogo di lavoro. È che non si assimilano, nella repubblica da dove vengo, calci dati inopportunamente a un mascalzone sotto l’impulso di una giusta collera, a quella che a orrorifiche latitudini chiamiamo: la tortura. Non bisogna confondersi! Nella repubblica da dove vengo, gli alcolici sono famosi, come i formaggi e il ben noto spirito di collaborazione. Nella repubblica da cui provengo la carne dei batraci, cotta allo spiedo e correttamente annaffiata, è delle più deliziose. Nella repubblica da cui provengo, i bambini sono provvisti di un padre, di una madre, di zii, di zie, di antenati a iosa, di un buon maestro di scuola, di un animatore culturale, di un consigliere per l’educazione sentimentale, di un ortofonista sensibile, di un pediatra o più e, per quanto possibile, di uno psicologo fatidico, che tutti tengono a tiro, e tutti vogliono aiutare a essere libero. Perché nella repubblica da cui provengo, è la libertà e nient’altro che conta!
L’ultimo pazzo è morto E così anche l’ultimo bambino Il paese va a gonfie vele Rachele
Tiepido è il clima nella repubblica da cui provengo. E tiepidi lì sono i cuori. Non ci sono tigri, laggiù. Nessun’aquila. E neppure un Himalaya. Ma piccole pianure attraversate da piccoli ruscelli dove brucano piccole mucche, tutte visioni improprie a stimolare il senso del sublime, fortemente atrofizzato, devo dire, in queste contrade. Niente di conciso, laggiù, niente di considerevole. Nessuna grande Visione a misura di Possibile. Dall’eccesso, ci si difende, come da una volgarità. Se si ama,è poco. Se ci si batte, è fiacco. E vivere resta da fare. I giochi ci sono senza rischio. Freddolose le collere. Gli affronti, digeriti, ci si abitua, come a tutto. E l’invettiva, anziché durare per periodi splendidi e pieni di veleno, si riassume in tre parole miserabili che non dirò. Tutto, laggiù, rimane nella media.
La vita, la decadenza, le contraddizioni morali, sociali, esistenziali, l’assenza di scrupoli nell’ambito di molti comportamenti umani, la società del nostro tempo, piena di limiti e falsi miti assurdi e frustranti, che sembra intorpidita, assopita, addormentata, annoiata, soffocata dalla sua stessa abulia, impietrita da un’astenia che non ha nessuna motivazione, per così dire, organica, anche se è comunque dall’interno che inizia a germogliare la sua corruzione. Ma questo mare di lava gorgoglia, e spruzza parole, brucianti, che compongono una riflessione e insieme un’esortazione e un atto di accusa: Contro di Lydie Salvayre, grande e pluripremiata scrittrice francese, per Bébert è tutto questo e molto altro ancora, un agile libello, un pamphlet, un’orazione ciceroniana che procede incalzante, spiazza, coinvolge e stimola. Suona quasi necessario, tanta è la rabbia di cui è intriso. Da leggere.