Intervista, Libri

Paola Cereda e le notti dell’abbondanza

Perrone - Cereda trenotti - OKMCdefdi Gabriele Ottaviani

Convenzionali ha la grande gioia di intervistare Paola Cereda, che torna in libreria con Le tre notti dell’abbondanza.

Quali sono le notti dell’abbondanza?

Sono le notti che cambiano per sempre il destino del paese di Fosco, dei suoi abitanti e dei protagonisti del romanzo. Di solito nel rito contadino i giorni dell’abbondanza corrispondono a quelli invernali dell’uccisione del maiale: nel libro, invece, cadono in maniera insolita in estate, e sconvolgono le abitudini e le tradizioni.

Che paese è Fosco?

Fosco è un paese che non c’è ma che potrebbe esistere. Siamo in Calabria a metà degli anni ’80: ogni mattina, gli abitanti di Fosco sono accecati dalla luce del sole che si riflette sul mare, un mare dove non possono andare perché così ha deciso zi’ Totonnu, il boss locale.

Chi sono Irene e Rocco?

Sono due quindicenni che, negli anni della loro adolescenza, si confrontano con le regole e le gerarchie degli adulti. Irene ha un quaderno arancione tra le mani dove disegna il mondo così come se lo immagina, Rocco invece è il figlio di un infame, di uno “sparato”. Quella tra di loro è una storia che deve fare i conti con la crudeltà del sistema malavitoso di Fosco.

In che modo l’ambiente in cui viviamo ci influenza?

Irene ha due sorelle: le tre sorelle Rusto sono nate dagli stessi genitori, sono cresciute nello stesso ambiente eppure fanno scelte differenti e le loro vite prenderanno, durante il romanzo, strade diverse. Siamo esseri complessi, in parte determinati dall’ambiente che ci circonda e ci plasma: qual è, allora, il nostro ruolo nello scrivere la pagina più importante della nostra esistenza? È la domanda che guida i protagonisti de Le tre notti nelle loro scelte e, più in generale, gran parte dei personaggi dei miei romanzi.

Quand’è che si diventa adulti?

Quando si comprendono le ragioni degli altri e, allo stesso tempo, si riesce a rifiutarle. Quando si può dire: “Capisco perché lo hai fatto, non fa per me, scelgo altro”.

A cosa non dobbiamo mai rinunciare per cercare di essere felici?

Rocco dice a Irene: “Ti sei accorta che ci hanno rubato il mare? Ma nessuno può rubarci il desiderio del mare”. Fino a quando conserviamo il desiderio (di fare, essere, andare, incontrare, conoscere), abbiamo la possibilità di sentirci pienamente vivi. Alla ricerca della felicità.

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“Le tre notti dell’abbondanza”

Perrone - Cereda trenotti - OKMCdefdi Gabriele Ottaviani

L’uomo trascinò la figlia fino all’automobile e la costrinse nel sedile posteriore, in mezzo alle sorelle. Assicurò u prìncipi tra le braccia della moglie, sfregò la medaglietta della Madonna delicata e si infilò in bocca una caramella alla menta, come faceva ogni volta che partiva per un viaggio. Lorenza sfiorò la mano di Irene, senza distogliere lo sguardo dalla piazza. Lei rispose sospirando.

Le tre notti dell’abbondanza, Paola Cereda, Giulio Perrone editore. Torna in libreria con un’altra casa editrice, quella Giulio Perrone che nell’edizione dell’anno scorso del Premio Strega si è classificata al sesto posto proprio grazie a lei e a un suo come sempre ottimo, sensibile, raffinato, intenso e profondo romanzo, Quella metà di noi, e con una nuova e formidabile copertina l’opera di Paola Cereda, psicologa brianzola per nascita ma torinese d’adozione, impegnata nel sociale con progetti artistici e culturali, per due volte finalista al premio Calvino e insignita di numerosi riconoscimenti, che catapulta il lettore nelle atmosfere di Fosco. Che è immerso nella luce, ma è anche, nomen omen, un luogo cupo. Le tre notti dell’abbondanza è un romanzo potente e delicato, in cui la scrittura ha tanti colori. Come le sfumature del mare, cangiante a ogni tocco di luce, quando si infrange sugli scogli. E il paese di Fosco è così, arroccato a precipizio, una rupe, un confine, un limite, come se la bellezza lo stringesse d’assedio, quasi fosse uno spavento tutto quel fulgore. Ogni cosa appare immobile, in ossequio alle leggi di un tempo diverso: eppure come un fiume carsico gli eventi procedono nel buio. Perché non è solo la bellezza, talmente abbagliante da far quasi paura, a mordere alle caviglie il paese: lo fa anche la ‘ndrangheta, col suo carico di morte. Irene ha quindici anni, un quaderno e Rocco, il suo “amico” sui tetti: e dal loro osservatorio privilegiato, capita che ascoltino qualcosa che non dovrebbero sentire… Ammaliante.

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Paola Cereda e la metà di noi

61E98WA1jJL._AC_US218_di Gabriele Ottaviani

Paola Cereda è l’autrice del bellissimo Quella metà di noi: Convenzionali la intervista con gioia.

Si può vivere senza segreti? A cosa servono, perché è difficile farne a meno?

I segreti non sono tutti uguali. Ci sono segreti che preservano spazi di intimità e che, quindi, sono importanti per proteggere ciò che più amiamo. Ci sono altri segreti che invece non riveliamo per paura di ferire chi ci sta accanto o per timore del giudizio altrui. È difficile fare a meno dei segreti perché, sotto certi aspetti, ci tutelano dalla ripetitività del quotidiano. Un segreto è un spazio di azioni possibili e di sentimenti che sfuggono dall’ordinario.

Dal punto di vista narrativo, il tema del segreto che caratteristiche ha? Come mai è spesso un efficace motore per il racconto?

Il tema del segreto è molto efficace perché semina indizi senza rivelare il filo principale che li renderebbe logici e lineari nell’immediato. Il segreto scatena nel lettore la voglia di sapere e, quindi, il bisogno di mettere ordine tra i pezzi del puzzle. Genera una fame narrativa che spinge a continuare la lettura.

Chi è Matilde?

Per i suoi vicini e parenti, Matilde è una maestra in pensione che, chissà per quale motivo, ha deciso di ricominciare a lavorare come badante in un appartamento del centro di Torino. Ma Matilde è molto di più: è una donna che va oltre le etichette di figlia, moglie e madre per fare delle scelte che costano care e che lei è disposta a pagare fino all’ultimo centesimo.

Torino è città esoterica, misteriosa, magica, alchemica: quali sono i suoi segreti?

Ho abitato in tante città ma solo per due ho provato nostalgia: Buenos Aires, dove sono stata per quasi tre anni, e Torino, dove ho fatto l’università e sono tornata dopo un lungo periodo all’estero. Queste due città, per me, hanno in comune la poesia dei caffè storici, la vivacità delle periferie, il miscuglio degli accenti, il colore dei mercatini di strada. Di Torino amo il Po, le passeggiate lungo gli argini del fiume e la sua grande capacità di essere generosa con chi la corteggia. Torino si disvela poco a poco, proprio come un segreto.

Matilde è stata maestra e ora badante: conduce dunque una vita in cui il prendersi cura degli altri riveste un’importanza fondamentale. Perché?

Passiamo gran parte del nostro tempo a prenderci cura di qualcuno o di qualcosa, nella nostra vita affettiva e/o in quella lavorativa. Spesso la cura è fatta di dedizione, cioè della qualità del tempo e dell’impegno che mettiamo in una relazione. Avere cura significa riconoscere l’altro in quanto prezioso e meritevole di essere accudito, preservato, nutrito.

Qual è l’importanza della cura nella società attuale, che pare sempre più rabbiosa, invidiosa, cattiva, egoista?

Anni fa, nei rapporti familiari era implicita la trasmissione del cognome, del sangue, del patrimonio e del dovere della cura. Oggi la cura non è più un dovere bensì è un bene che si può contrattare. Eppure prendersi cura di un altro significa accettare di entrare dentro una relazione che inevitabilmente modifica entrambe le parti. Con questo romanzo, mi interessava indagare proprio la complessità degli scambi e degli sguardi.

Qual è la vera identità di Matilde?

Matilde è una persona che vuole – e quindi si costruisce – una vita della misura che le sta meglio addosso. Non una vita perfetta, non necessariamente felice, ma di certo capace di avvicinarsi ai desideri.

Perché scrive?

Perché non posso farne a meno. Scrivo da quando sono adolescente, dapprima per mettere ordine tra i pensieri e i sentimenti, poi per riuscire a comunicarli. Ora per creare mondi in cui i lettori possano trovare storie o spunti utili al proprio quotidiano.

Il libro e il film del cuore, e perché.

Un libro fra tutti “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. È leggendo quel libro che scelsi, senza alcun dubbio, di diventare psicologa, per il modo in cui l’autore si calava dentro la profondità umana per riemergerne con la consapevolezza di una complessità impossibile da definire in tutti i suoi risvolti. Tra i film, “Train de vie” ha determinato addirittura il tema della mia tesi di laurea: l’umorismo inteso come la capacità di ridere prima di tutto di se stessi per affrontare al meglio la vita, tra lacrime e sorrisi.

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“Quella metà di noi”

61E98WA1jJL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Il televisore a tubo catodico dominava il soggiorno da un mobile di noce, davanti al tavolo ovale protetto dalla cerata con i pompelmi. Lungo le pareti dell’anticamera, una serie di acquerelli di Montmartre accompagnava nelle camere da letto. Nella stanza da letto c’era ancora il suo primo computer, enorme, sotto il poster degli A-ha comprato a un concerto, accanto all’unica medaglia dei Giochi della Gioventù vinta – per caso? – in una batteria di salto in lungo. Il piumone con le mele ricopriva il materasso a una piazza mentre dalle pareti pendevano le fotografie dietro le cornici a giorno: un compleanno, una gita con Marta, il Natale in montagna, trenta sorrisi di classe sotto trenta ciuffi anni Ottanta. Sulla scrivania, accanto al portapenne di ceramica, la madre aveva sistemato il quaderno verde recuperato dalla spazzatura subito dopo l’incidente che non era stato un incidente. Le sue pagine a quadretti contenevano la prova delle biciclettate fino alla Diga del Pascolo o poco più a nord, davanti all’Isolone di Bertolla, quando Emanuela ed Edoardo si sedevano in riva al Po per osservare gli stormi a fine settembre. Segnavano gli avvistamenti annotando la famiglia – Ardeidae – e la specie, Ardea purpurea, accanto al nome volgare: airone rosso. Matilde era convinta che la figlia fosse diventata veterinaria per confermare al padre il desiderio di condividerne le passioni. Non l’aveva mai vista occuparsi degli esseri umani, neppure delle figlie, con la stessa dedizione con la quale si dedicava agli animali.

Edito da Giulio Perrone e presentato allo Strega di quest’anno da Elisabetta Mondello con la seguente motivazione (Quella metà di noi è un romanzo intenso e coinvolgente, ambientato nella Torino dei nostri giorni, in cui si muovono una folla di personaggi a cui Paola Cereda affida il compito di narrare le contraddizioni e le difficoltà della condizione contemporanea. La storia centrale è quella di Matilde, una maestra in pensione, che per ripagare un debito ricomincia a lavorare prendendosi cura di un anziano. Tutti e tutto la condizionano: le passate esperienze, i familiari, la situazione lavorativa. Lo spostarsi dalla periferia al centro di Torino, la nuova solitudine e le inedite complicità. Il romanzo, sostenuto da una lingua precisa ed essenziale, pagina dopo pagina diviene la narrazione della condizione liminare che, in alcune fasi della vita, tutti dobbiamo affrontare e interroga il lettore sulla possibilità di non restare sulla soglia ma di diventare capace di immaginare, scegliere e progettare il futuro), Quella metà di noi di Paola Cereda, la cui maiuscola qualità di scrittura non ha affatto bisogno di presentazioni, ma si conferma in quest’occasione una volta di più, racconta con raffinatezza rara e profondità commovente, quella che padroneggia con delicata maestria chi sa relazionarsi all’anima delle persone e dei personaggi, e al tempo stesso sa metterne in scena la vita – non è certo un caso che l’autrice sia una psicologa e che ami il teatro: del resto ogni prodotto umano ha in sé la firma dell’artefice, il riverbero della sua esistenza –, la vicenda di Matilde Mezzalama, unica eppure universale. Perché questa donna, come tutti noi, ha segreti che esistono per il piacere di non essere raccontati e altri che si trascinano appresso la vergogna, che possono essere una cena con un ex (a cui si va con la scusa di una riunione di condominio), una pelliccia troppo costosa e inadeguata o altro ancora, e quindi, in cerca di verità, serenità e identità si reinventa, vivendo una vita sospesa fra due altrove, in una città che a sua volta non è semplice sfondo, ma caleidoscopio di pulsante umanità. Da non perdere.

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“Confessioni audaci di un ballerino di liscio”

41RTAFeD45L._SY346_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Da quel momento il sesso per me ebbe il gusto di una Parliament fumata in silenzio.

Confessioni audaci di un ballerino di liscio, Paola Cereda, Baldini & Castoldi. C’è una balera, in quel del Polesine, che compie mezzo secolo di vita. E se le sue mura e le sue piastrelle potessero parlare. Di cotte e di crude ne ha viste, altro che storie… Siamo a Bottecchio sul Po, e l’intera comunità partecipa alla festa indetta dal proprietario, Frank Saponara, uno che di balli scatenati, beato lui, ne ha fatti parecchi anche fra le lenzuola, che ha amato un numero infinito di donne e a cui ne sono rimaste tre nel cuore, molto diverse fra loro (il suo primo amore, una strepitosa star del porno e una musicista dalla gran voce), che si ritrovano sulla stessa pista da ballo nello stesso momento mentre a poca distanza il più caro amico di Frank, Vladimiro, misteriosamente muore. E a Frank non resta che andare al ritmo della ricerca della verità… Fragrante come pane fresco, brillante come una gemma, divertente e profondo, è semplicemente incantevole.

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