di Gabriele Ottaviani
Non sono a Campana neppure da quattro ore e il tempo non passa mai. La partenza per Mar del Plata è tra due giorni, che a Jani sembrano una vita intera. Non c’è televisore né telefono, e la radio è talmente polverosa che non le viene da accenderla. Il peggio è che non ha ancora visto un cane. Dovrebbe andarli a cercare in qualche terreno abbandonato, chiamare qualcuno che la aiuti. Chiamare chi? Per fare che? Finché le viene in mente di arrampicarsi sull’albero delle arance amare, terribilmente amare, chissà perché le chiamano arance queste schifezze verdi, pensa Jani già sull’albero. Adesso che nessuno la vede lascia andare i pensieri e pensa a sua madre, molto più lontana delle chiome degli alberi. Pensa al naso di sua madre e alla pampa, ai tornanti della strada, alle curve del ritorno: conta cani argentino-cileni, centottanta, centosettantanove, cento, quarantotto, i documenti, i controlli alla dogana, l’aria tagliente, trenta, e laggiù in fondo di nuovo il naso di sua madre. Però non si può parlare di lei, non si può.
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Una madre è una foto sul muro di una casa; un primo piano di famiglia felice. Una madre è un orologio, dice un padre. Non sapete quanto può essere perniciosamente bello un padre.
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«Niente è normale, visto da vicino, Berta. Nessuno è normale. Bisogna imparare a essere discreti e basta».
C’era una volta un passero, Alejandra Costamagna, Edicola. Traduzione a cura di Maria Nicola. Mai nessuno si abitua, Lancette d’orologio, C’era una volta un passero. Sono tre i racconti che Alejandra Costamagna, prolifica e con pieno merito pluripremiata scrittrice, giornalista e docente cilena, nata da genitori argentini fuggiti dalla dittatura, racchiude in questo piccolo e preziosissimo scrigno nel quale le voci che si intrecciano compongono una melodia che ricorda Lee, Angelou, Soriano e Tartt, variegata, struggente, totale, che racconta attraverso immagini e parole la vita in tutte le sue sfaccettature. Il rimpianto, il dolore, la forza, la speranza, la tenacia, l’amore, la passione, il distacco, la perdita, la morte assumono l’identità dei colori vivissimi della tavolozza di un ritrattista che riesce a rendere conoscibile anche l’ignoto, lirica persino la tragedia. Semplicemente formidabile.