Libri

“E in mezzo: io”

di Gabriele Ottaviani

Rami è finito seriamente nei guai…

E in mezzo: io, Julia Rabinowich, Besa, traduzione di Beate Baumann. Pittrice, drammaturga, interprete nell’ambito dell’accoglienza dei profughi e scrittrice pietroburghese emigrata da bambina con la famiglia a Vienna, dove ha studiato Scienze della traduzione e Arte applicata, Julia Rabinowich sa cosa significhi migrare, sentirsi esclusa, altra, aliena, diversa, conosce le difficoltà dell’integrazione, e racconta con empatia e senza retorica la storia di una fuga dalla guerra, una vicenda di crescita, di amicizia, di nuovi inizi: Madina ha solo quindici anni, e tutto le appare nuovo ed estraneo. Ma… Intenso e maestoso.

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“La bellezza che uccide”

di Gabriele Ottaviani

I sogni si squarciano come la camicia ordita con i fili di una ragnatela…

La bellezza che uccide, Migjeni, Besa, traduzione di Adriana Prizreni, presentazione di Raffaele De Giorgi. Millosh Gjergj Nikolla, più noto con lo pseudonimo Migjeni, autore di prose e poesie, albanese, tra i primi autori della sua terra ad abbandonare la lunga tradizione del nazionalismo romantico, non senza conseguenze, dato che le autorità del tempo non si fecero pregare nel ritirare dalle librerie la sua principale raccolta di poesie, considerata non in linea con i rigidi dettami dell’ortodossia del protervo potere, per certi versi ricorda un po’ figure come, cambiando quel che dev’essere cambiato, Mario Fani e Scipio Slataper: vite brevissime, ma estremamente significative, come i suoi versi, pennellate impressioniste che icastiche delineano la condizione umana. Nato a Scutari nel 1911, studiò nella locale scuola serba e poi nel Seminario ortodosso di St. John a Monastir (Bitolj), in Macedonia, ventiduenne fu assunto come insegnante di albanese e iniziò a scrivere opere in prosa e in versi e cinque anni dopo morì a Torre Pellice, in provincia di Torino, nelle valli valdesi, dove stava curando una tubercolosi. Troppo poco noto, è da scoprire e far scoprire.

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“Ottanta infinito”

di Gabriele Ottaviani

I nostri due adulteri avevano un nido d’amore in una zona centrale di Roma…

Ottanta infinito, Leonard Guaci, Besa. Roland ha un sogno: incontrare Silvio Berlusconi. Questo è il motivo che lo spinge da Valona a Roma, dove lo attende la sua famiglia: sono gli anni della Milano da bere, dell’edonismo reaganiano in salsa paninara, dell’attentato al Papa, del rapimento di Emanuela Orlandi, del crac del Banco Ambrosiano, del dilagare dell’Aids, un decennio di stridenti contraddizioni, vistose come le spalline delle giacche o le tinte fluo degli abiti più alla moda, rutilante e drammatico, nei cui più significativi eventi Roland, che è personaggio fatto di iperboli ed eccessi, che però lo conducono verso disavventure grottesche e surreali nel loro essere persino più vere del vero, e tragicomiche, incappa, come lo Zeno sveviano, quasi per caso. Tutto ha inizio con uno scambio di valigie, e… Geniale.

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“Poesie scelte”

di Gabriele Ottaviani

Di venerdì morirò anch’io…

Gëzim Hajdari, Poesie scelte – Poezi të zgjedhura – 1990-2020, Besa, edizione bilingue. Postfazione di Andrea Gazzoni. Crolla il regime albanese, e Hajdari, che è perfettamente bilingue, da un lato guarda alla storia, dall’altro al futuro, così come due sono le sponde, vicine ma diverse, di quel braccio di mare che è ondulato tessuto di migrazioni: nel corso di sei lustri il poeta, nato in una famiglia di ex proprietari terrieri i cui beni sono stati confiscati durante la dittatura comunista di Enver Hoxha, esponente politico e giornalista d’opposizione, mai silente dinnanzi ai crimini della vecchia nomenclatura comunista di Hoxha e dei regimi post-comunisti, con vibranti accenti lirici attraversa e scuote la coscienza. Formidabile.

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“E qualcosa rimane”

di Gabriele Ottaviani

Mi sarebbe piaciuto di più chiamarmi come te…

E qualcosa rimane, Nicoletta Bortolotti, Besa. Nasce in Svizzera, vive in Italia, si laurea, scrive per adulti e ragazzi e dà alle stampe un romanzo pluripremiato e bellissimo, la storia di una famiglia, di due sorelle, dell’evoluzione di un paese, l’Italia, mentre infuriano gli anni di piombo e Viola e Margherita, prima che il padre un giorno faccia perdere le sue tracce per andarsene, parrebbe, in Brasile, vivono una quotidianità gaia in cui giocano alle parrucchiere magiche, che con gli impacchi di tè di arcobaleno infondono nelle persone, per il tramite del loro cuoio capelluto, niente di meno che la felicità. Poi anche una delle due d’un tratto sparisce, per poi tornare dopo anni, e chiedere all’altra di prendersi un po’ di tempo per sé, perché ha qualcosa, finalmente, da dirle: e si sa, qualcosa rimane sempre, fra le pagine chiare e le pagine scure… Nicoletta Bortolotti è una fuoriclasse, e il romanzo è un incanto travolgente.

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“Scena di pesca in Algeria”

di Gabriele Ottaviani

Fu una battuta di pesca delirante…

Scena di pesca in Algeria, Mohamed Magani, Besa, traduzione di Sara Ricci. La vita non è solo un esercizio di pazienza, o anche quel che accade mentre si è in tutt’altre faccende affaccendati, è anche, se non soprattutto, la tessitura policroma dell’incontro delle nostre fragilità: insolita, bizzarra, incostante, incongruente, piena di difetti, ma pure incredibilmente capace di tanto in tanto non solo di sorprendere ma anche di regalare gioie inattese, tenuta insieme dalla lenza del pescatore che cerca di catturare, in modo quasi ossessivo, il pesce che gli sfugge, l’umanità è la poesia della condivisione, e con stile lirico, sognante e solenne Magani la descrive con precisione estrema.

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“Miele sul coltello”

di Gabriele Ottaviani

Da qui in poi ci aspettano giorni felici…

Miele sul coltello, Romeo Çollaku, Besa, traduzione di Eda Derhemi e Francesco Ferrar. Scrittore e traduttore, l’autore di questo libro semplicemente irresistibile, che avviluppa l’attenzione fin dalle prime pagine, trasportando il lettore, condotto con mano sicura a fare la conoscenza di personaggi caricaturali e comunque credibilissimi, in un mondo arcaico, bizzarro, stralunato, destabilizzante, scabro e lirico, particolarissimo ma al tempo stesso universale, perché connotato dalle sempiterne dinamiche della commedia umana che ognuno di noi recita, teso fra essere, dover essere e voler essere, che ci si trovi in una metropoli spersonalizzante o, come in questo caso, tra i vicoli di un villaggio sperduto nelle montagne dell’Albania, racconta, tra pettegolezzi, idiosincrasie, tenerezze e ossessioni, l’esistenza nel suo caleidoscopio di contraddizioni. Maestoso.

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“Cose portate dal mare”

di Gabriele Ottaviani

In quegli anni ero ancora bambino…

Cose portate dal mare, Adrian Vehbiu, Besa, traduzione di Valentina Notaro. Ci sono le cose che volano, le cose che restano e le cose portate dal mare. Ciò che non conosciamo inevitabilmente ci affascina. Ciò che è diverso inevitabilmente ci attrae. Ci incuriosisce. Può farci paura, persino. Di certo ci seduce e conquista. Pare sempre migliore. Perlomeno, desiderabile. Chi è cresciuto in Albania nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale ha vissuto il totalitarismo e, al di là di un piccolo braccio di mare, anelava i contorni di una terra che, per il tramite di voci e immagini, captate fortunosamente con qualche antenna, sembrava meravigliosa. Vehbiu racconta, con semplicità e limpida potenza, tutto questo, e molto altro. Intenso e interessante.

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“Finché la notte non ci separi”

di Gabriele Ottaviani

Molti altri occhi avevano potuto godere di quello spettacolo…

Finché la notte non ci separi, Sergio D’Amaro, Besa. Un giorno, alle porte di Roma, città decaduta e decadente, ancora bella ma maltrattata, violata, vessata e sotto assedio, Soave Amanuense incontra l’autore del manoscritto che sta copiando. Non dovrebbe essere possibile, eppure accade: e l’intera opera di D’Amaro è in effetti giocata su una continua commistione di tempi e di spazi, dal medioevo alla seconda guerra mondiale, e non solo, conciliando l’inconciliabile con l’andamento di un paradosso escheriano che va a comporre un affascinante apologo della natura umana nella sua complessità, ragionando sul potere della parola, dell’arte, della tecnologia, sull’universalità sempiterna delle istanze che accomunano tutti noi. Brillante.

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“Signorina Julie”

di Gabriele Ottaviani

E io che me ne sto qui con lei a discutere di sogni…

Signorina Julie – Una tragedia naturalistica, J. August Strindberg, Besa, traduzione di Enzo Verrengia. Destinatario di uno dei celebri biglietti della follia di Nietzsche, narratore, poeta, drammaturgo, contraltare svedese del norvegese Ibsen, artista poliedrico con interessi nell’ambito finanche della teosofia, della chimica, dell’alchimia, della pittura e della fotografia, Strindberg, morto sessantatreenne oltre un secolo fa, nel millenovecentododici, ha immortalato la crisi della società e le nuove istanze che cominciavano a prendere piede tra i mefitici prodromi della decadenza ipocrita e deflagrante che avrebbe condotto alla grande guerra, sottolineando la cesura insanabile fra l’umana interiorità e le convenzioni dell’ambiente circostante: questo è il suo capolavoro, un classico pertanto sempre più che moderno.

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