di Gabriele Ottaviani
Benvenuti nel peggiore dei mondi.
Ricardo Menéndez Salmón, Bambini nel tempo, Marcos y Marcos, traduzione di Claudia Tarolo. Lui ama lei. Lei ama lui. stanno insieme da quindici anni. Hanno un bambino. Il piccolo si ammala. Muore. E tutto si disfa. Troppo il dolore, eccessiva l’ingiustizia, incomprensibile persino la vergogna. E scrivere, vivere, continuare ad andare avanti nonostante il mondo sembri erodersi fra le mani di chi resta, cercare altrove qualcosa d’altro da sé che dia pace diviene anelito di rinascita. Diviso in tre parti, una delle quali segmentata in porzioni che riproducono l’alfabeto ebraico, e che danno un’infanzia a chi un’infanzia non l’ha mai avuta raccontata, cioè Gesù, il puer salvifico per antonomasia, e l’ultima, in cui la magia del concepimento si rinnova, Bambini nel tempo è un romanzo di potenza inesausta, che attraversando non solo, appunto, il tempo, quello della narrazione e quello dei sentimenti, ma anche lo spazio, dà prova della forza della speranza quando pare impossibile che ancora possa persistere.