di Gabriele Ottaviani
Non giocano più con tappini e buchette, i ragazzi di via Gaeta. Non si svegliano al rumore del lattoniere che percuote lamiere e speranze. Non odono la fiamma ossidrica del fabbro e non vanno più a comprare il pane dal Bonanni, i ragazzi di via Gaeta. Non vanno a messa la domenica da Don Claudio con la scusa del biliardino e del cinema parrocchiale. Non comprano più formaggio Bel paese al deposito Galbani di via Pisacane, i ragazzi di via Gaeta. E non bevono caffè al Bar Stadio dove Galliano ha smesso di narrare un passato da centravanti esiliato sui campi sterrati dell’Isola d’Elba. Non frequentano più l’asilo Spranger, con le suore vestite di nero, i ragazzi di via Gaeta. Non sentono più profumo di carbone dall’altoforno, non osservano finti tramonti e gabbiani come aeroplani da abbattere con fucili costruiti da canne divelte. Non comprano più sigarette di contrabbando in un albergo di via Pisacane, neppure pacchetti di Nazionali senza filtro nella tabaccheria che resiste, tra corso Italia e ricordi. Non sfogliano albi a fumetti alla Rinascita, sognando di comprarli tutti quando saranno ricchi, mentre un padrone dalla faccia lunare sorride e conosce la storia perché fa parte dei ricordi. Non fanno più colazione con le bocche di leone, i ragazzi di via Gaeta, non vanno a sbucciarsi i ginocchi in piazza Dante rincorrendo un Super Tele comprato al mercato. Non aspettano Ponzo e il profumo dei bomboloni all’uscita di scuola, i ragazzi di via Gaeta, non vedono Pino il cenciaio passare col barroccio e gridare con voce roca, non attendono l’arrotino o il materassaio. Sono tutti perduti, i ragazzi di via Gaeta, sparpagliati per le strade del mondo, anche se non è più il loro mondo, ma devono viverlo. Un giorno torneranno, i ragazzi di via Gaeta, abbracciandosi in un sogno, un giorno cavalcheranno i ricordi. Sarà tutto diverso, niente avrà il sapore del passato, neppure un cortile annerito e una rampa di scale percorsa nel pensiero, neanche il fantasma d’un nonno cantastorie, neppure un gelato evanescente comprato dal Pellegrini. Tutto profumerà di rimpianto.
Piombino con gusto – Ricette e ricordi, Gordiano Lupi, Patrice Avella, Il foglio. Siamo quello che mangiamo, perché da ciò che ingeriamo traiamo nutrimento e forza per vivere. Ma il cibo è anche cultura, perché rappresenta l’identità di luoghi e comunità, è un linguaggio, un simbolo, una presa di coscienza, una sintesi del reale, una sua rappresentazione, un momento di aggregazione, qualcosa che costituisce l’immaginario collettivo, una rete fatta di nodi, contatti, legami, connessioni, ricordi. E non serve scomodare l’immarcescibile e sublime Proust con i suoi biscottini dal potere taumaturgico e salvifico né tantomeno le leopardiane rimembranze, o addirittura Platone, per cui conoscere, in ossequio alla maieutica del suo straordinario maestro che, bontà sua, sapeva di non sapere e infatti sapeva più di tutti, è senza dubbio rammentare: Piombino con gusto è prima di tutto un sapidissimo viaggio dell’anima. Da non perdere assolutamente.