di Gabriele Ottaviani
A testa alta. Un film rassicurante. Nel senso che dimostra come sia vero che le eccezioni confermano la regola. Cannes è garanzia di qualità? Assolutamente sì. Si tratta del miglior festival del mondo? Miei cari, va senza dirsi. Bene. Ma ogni tanto sbagliano anche loro. Sono umani. Evviva. Il re è morto, viva il re. Perché un film così aberrante – per di più pellicola d’apertura della rassegna, nell’ultima edizione – francamente era da tempo che non lo si vedeva. Per carità, un aberrante film francese rispetto a tre quarti della produzione nostrana è comunque un capolavoro, però… Ed è anche la dimostrazione che non basta avere nel cast un attore semplicemente magnifico come Benoît Magimel, che comunque fa pienamente il suo dovere, e una mostra sacra come Catherine Deneuve – anche lei, purtroppo, sacrificatrice di parte della propria espressività facciale sull’altare pagano dell’artificiosità ialuronica, dea falsa e bugiarda: lei, che nulla aveva e ha da dimostrare, lei, digitale purpurea intrisa di fascino ma ormai come natura crea sol nell’epidermide un po’ macchiata delle mani… Che peccato, Notre-Dame du cinéma… – per fare un buon film. Certo, nella versione italiana il colpo di grazia glielo dà il doppiaggio, che si spera sia stato realizzato in sei minuti netti tra una pausa caffè e l’altra, perché altrimenti ci hanno sprecato anche troppo tempo, però… Anche se forse effettivamente non potevano comunque fare di meglio, poiché i difetti sono a monte. È scombiccherato. La mano registica di Emmanuelle Bercot pare insicura. Mi deve venire bene, ci tengo, voglio dire tante cose, ci metto dentro tutto, alla rinfusa: tesoro, ti abbracciamo forte forte, ma non è il brodo, che va bene tutto per farlo e ogni cosa lo fa. È un film. Sei andata in accumulo peggio dell’ultima Bier. Vuoi raccontarmi una storia? Ecco: una, non sette. Non è una di quelle a bivi di Topolino. Tra l’altro, tu il bivio nemmeno lo scegli, qui… Questi non fanno altro che dare di matto urlando parolacce turpissime, picchiandosi istericamente e compiendo fesserie senza logica… Scritto male, montato peggio e recitato in modo tremendo (di solito almeno gli adolescenti protagonisti di questo tipo di opere sono di una bravura cristallina: ecco, di solito…), retorico, ridondante, ripetitivo, noioso, troppo lungo, con dialoghi per lo più inascoltabili che annacquano, diluiscono e disperdono quel po’ di struggente lirica che pure c’era, nel racconto di un ragazzo sempre in cerca di guai, ogni volta più grandi, un giovane uomo, Malony, che sembra lo scorpione delle favole, che non può non pungere la rana che lo trasporta al di là del guado, A testa alta delude. Persino la figura, l’unica davvero adulta e materna, di Florence, il magistrato interpretato da Catherine Deneuve, che al terribile Malony concede più opportunità di quante gliene potrebbe garantire non solo la legge più liberale della galassia, ma semplicemente la logica e la verosimiglianza, rimane appena stilizzata, non approfondita. Il che determina il danno maggiore: non ti viene da empatizzare con nessuno di loro. A testa alta non ti commuove. Non ti emoziona. Non ti coinvolge. Desoléè…