di Gabriele Ottaviani
Tra Pasolini e Schrödinger, passando per il cinema e l’arte figurativa, la cultura e l’incultura pop, i reality, i social, i filtri che edulcorano e mistificano la realtà che ostentiamo a beneficio del prossimo perché sempre più drammaticamente fragili e incapaci di gestire l’anima che abitiamo talvolta finanche nostro malgrado, terrorizzati dalla noia, la sconfitta, la felicità, la verità, le emozioni, la vecchiaia, la bruttezza, la solitudine, l’invisibilità – il superpotere preferito dei ragazzini gay bullizzati… – e tutto ciò che ha la forza di valicare il confine di uno schermo, affamati di quell’attenzione che è il solo strumento che abbiamo per poter dire di produrre, consumare e dunque esistere, Lorenzo Balducci, sempre più bravo, lui che bravo è da sempre (ma ve lo ricordate il suo immenso Nino in Le cose che restano?), che tiene la scena per un’ora e tre quarti come il più effervescente, abile ed esperto dei mattatori, che non fa sconti a nessuno, in primo luogo, come Vanessa Redgrave in Espiazione, a sé medesimo, castigat ridendo mores e in Fake, di Riccardo Pechini e Mariano Lamberti, che è pure regista, come Allegro, non troppo nella splendida cornice dell’Off/Off Theatre di via Giulia, a Roma, in replica sino all’ultimo dell’anno, mostra e mette alla berlina la tragica maschera della nostra ipocrita paura di vivere. Impeccabile e imperdibile.