Teatro

“Tom à la ferme”

di Gabriele Ottaviani

Nella splendida cornice del Teatro Belli di Trastevere a Roma è in scena fino a domani, domenica ventuno di maggio, la formidabile, fascinosa, dolorosa, vorticosa, sensuale, tesa e potentissima pièce di Michel Marc Bouchard (adattamento e regia di Giuseppe Bucci, che confeziona con cura generale e limpida ed evocativa semplicità uno spettacolo davvero da non perdere per alcun motivo) che ha ispirato uno dei migliori film del più intenso e profondo cineasta dei tempi moderni, Xavier Dolan, Tom à la ferme, storia di un ragazzo che si ritrova per le esequie dell’amore della sua vita in un mondo quanti più distante si possa immaginare da quello cui è abituato,  ossia nella romita fattoria canadese della famiglia d’origine del fidanzato appena morto, là dove vivono in balia delle loro solitudini un fratello che sa tutto e una madre che invece non sa niente. Eccellente e in stato di grazia la compagine attoriale, con Marina Remi, Maria Lomurno, Salvatore Langella e Lorenzo Balducci.

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Teatro

“Le cinque rose di Jennifer”

di Gabriele Ottaviani

Le cinque rose di Jennifer. Nella splendida cornice monteverdina del Teatro Vascello di Roma, diretto da anni con mano sicurissima da Manuela Kustermann, si è conclusa domenica sedici di aprile per il momento dopo una settimana di repliche trionfali la tournée romana dell’eccellente allestimento di uno spettacolo che esiste da tanti anni, che si deve ad Annibale Ruccello – ricordato sabato pomeriggio anche in occasione della nuova edizione dei suoi testi per il palcoscenico, sempre nel medesimo luogo, a cura di Vincenzo Caputo per Edizioni di Storia e Letteratura e con la partecipazione di Pasquale Sabbatino, condirettore della collana Biblioteca di Letteratura Teatrale Italiana (ESL), Carlo De Nonno, compositore, cugino ed erede di Annibale Ruccello, Gabriele Russo, regista dello spettacolo, e dei protagonisti, ottimi, Daniele Russo e Sergio Del Prete (scene Lucia Imperato, costumi Chiara Aversano, disegno luci Salvatore Palladino, progetto sonoro Alessio Foglia, produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini), che hanno letto alcuni brani – che ha viaggiato, viaggia e continuerà a viaggiare, e che con vivido vigore dipana dinnanzi allo sguardo dello spettatore la straordinaria pinacoteca delle mille tonalità dell’alienazione, con un gran numero di riferimenti – non solo Cocteau –, citazioni e preziosità, che fioriscono tra le fondamenta dell’immaginario collettivo così ben sollecitato, della paura di vivere felici e del senso di inadeguatezza, prendendo le mosse dalla voce, dal volto e dal corpo di un travestito che ama non riamato, che attende l’inattendibile, da un basso partenopeo i cui contorni si sfumano però nell’universalità della cognizione del dolore, come del resto si fa lingua dei sentimenti il dialetto. Da vedere assolutamente, un’ora e mezza di autentica, deflagrante, destabilizzante bellezza.

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Teatro

“Peng”

di Gabriele Ottaviani

Peng. In scena per tutta la scorsa settimana nella splendida cornice del Teatro Vascello, solo una delle tappe di una tournée che ha portato e sta portando lo spettacolo, irriverente, caustico, destabilizzante e allegorico, sui palcoscenici più prestigiosi d’Italia, Peng, impreziosito dalle incursioni in video di Manuela Kustermann, senza la quale letteralmente il teatro di via Carini non esisterebbe, è la storia di un baby dittatore, un vero e proprio mostro, un bambino che, naturalmente, i suoi genitori considerano un genio, di più, un messia, e quindi gli consentono di compiere tutto il male possibile, nel disfacimento più totale di ogni valore, etico, morale, politico, sociale, culturale. Da vedere. Di Marius Von Mayenburg. Traduzione di Clelia Notarbartolo. Con Fausto Cabra, Aldo Ottobrino, Sara Borsarelli, Francesco Sferrazza Papa, Anna C. Colombo, Francesco Giordano.

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Teatro

“Fake”

di Gabriele Ottaviani

Tra Pasolini e Schrödinger, passando per il cinema e l’arte figurativa, la cultura e l’incultura pop, i reality, i social, i filtri che edulcorano e mistificano la realtà che ostentiamo a beneficio del prossimo perché sempre più drammaticamente fragili e incapaci di gestire l’anima che abitiamo talvolta finanche nostro malgrado, terrorizzati dalla noia, la sconfitta, la felicità, la verità, le emozioni, la vecchiaia, la bruttezza, la solitudine, l’invisibilità – il superpotere preferito dei ragazzini gay bullizzati… – e tutto ciò che ha la forza di valicare il confine di uno schermo, affamati di quell’attenzione che è il solo strumento che abbiamo per poter dire di produrre, consumare e dunque esistere, Lorenzo Balducci, sempre più bravo, lui che bravo è da sempre (ma ve lo ricordate il suo immenso Nino in Le cose che restano?), che tiene la scena per un’ora e tre quarti come il più effervescente, abile ed esperto dei mattatori, che non fa sconti a nessuno, in primo luogo, come Vanessa Redgrave in Espiazione, a sé medesimo, castigat ridendo mores e in Fake, di Riccardo Pechini e Mariano Lamberti, che è pure regista, come Allegro, non troppo nella splendida cornice dell’Off/Off Theatre di via Giulia, a Roma, in replica sino all’ultimo dell’anno, mostra e mette alla berlina la tragica maschera della nostra ipocrita paura di vivere. Impeccabile e imperdibile.

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danza, Teatro

“Dalle Alpi alle Ande ecco a voi un teatro danzante”

Pubblicazione a cura della redazione del comunicato stampa

L’associazione Culturale Mover è lieta di presentare Dalle Alpi alle Ande ecco a voi un teatro danzante, spettacolo antologico in cui diversi linguaggi coreutici si fondono alla prosa. Sulla scena si avvicendano Rossella Galluccio, Federica De Francesco, Michela Barone e Giulia  Fabrocile in diverse piéce teatrali: dai tacchi alle punte, attraverso resoconti di viaggio nelle culture  più disparate, eccovi dunque un teatro “danzante”. Regia e testi: Giulia Fabrocile.  Coreografia e danza: Giulia Fabrocile, Rossella Galluccio, Federica De Francesco. Regia e recitazione: Michela Barone. Durata: 50 minuti.

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Teatro

“La finale”

di Gabriele Ottaviani

Essere romanisti ha a che fare con la fiducia, la fede, l’amore, la speranza, la sofferenza, non è, come si potrebbe dire, uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare, perché non si tratta di un obbligo, ma dell’inesorabile ineluttabilità di un legame identitario in base al quale ogni aspetto del quotidiano viene condizionato: e se le occasioni di festa sono poche, le ingiustizie subite insanabili – il gol di Turone, valido ma non convalidato, continua a essere segnato da decenni – e la solennità sofoclea della tragedia perfetta ha ancora il sapore di fiele di quel kairòs rimasto inespresso, incorrotto e infinito come un amore non consumato, perché non si può dire che sarà per la prossima volta quando quella volta è una finale di Coppa dei Campioni in casa, quando c’è da gioire, che sia, palesemente e prepotentemente: La finale è quella della Conference League, che dà vita all’albo d’oro col nome della Roma, che vendica lo sfregio della Barcaccia perpetrato da Feyenoord in un giorno di guerriglia, ed è uno splendido, esilarante, emozionante e appassionante recital di Giuseppe Manfridi, scrittore e drammaturgo che, nella splendida cornice del Teatro Marconi, anticipando al quattordici luglio uno spettacolo che sarebbe dovuto andare in scena il diciannove, ma quel giorno la Magica ha un’amichevole, con generosità si dona al pubblico raccontando e raccontandosi, con tenerezza, celebrando un rito collettivo ma anche intimo e privatissimo. Da non perdere.

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danza, Teatro

“Dalle Alpi alle Ande ecco a voi un teatro danzante”

Pubblicazione a cura della redazione del comunicato stampa

L’associazione Culturale Mover è lieta di presentare Dalle Alpi alle Ande ecco a voi un teatro danzante, spettacolo antologico in cui diversi linguaggi coreutici si fondono alla prosa. Sulla scena si avvicendano Rossella Galluccio, Federica De Francesco, Michela Barone e Giulia  Fabrocile in diverse piéce teatrali: dai tacchi alle punte, attraverso resoconti di viaggio nelle culture  più disparate, eccovi dunque un teatro “danzante”. Regia e testi: Giulia Fabrocile.  Coreografia e danza: Giulia Fabrocile, Rossella Galluccio, Federica De Francesco. Regia e recitazione: Michela Barone. Durata: 50 minuti.

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Teatro

“The boys in the band”

di Gabriele Ottaviani

Quattordici mesi prima dei funerali di Judy Garland, di fatto il primo Pride della storia, dei moti di Stonewall, della nascita del movimento di liberazione omosessuale, faceva la sua comparsa sulle tavole del palcoscenico di Broadway un testo di Mart Crowley, militante nell’accezione più elevata e ampia del termine, il primo che raccontava l’essere gay, impossibilitati alla sincerità dei sentimenti nel mondo ostile fuori dalla porta delle proprie case (ma anche all’interno di esse la sticomitia del pregiudizio si fa gioco al massacro), al grande pubblico, e che, incredibilmente, drammaticamente, nonostante tutto è purtroppo ancora attuale, che avrebbe dovuto restare in cartellone pochi giorni e che è viceversa diventato un cult, una pietra miliare, un punto di riferimento, ha superato le mille repliche, ha ispirato un film del millenovecentosettanta, in Italia distribuito dalla Titanus all’epoca con un evento organizzato alla prima per sole donne, una rilettura ben più recente di Ryan Murphy e ora questa riuscita traduzione con adattamento di Costantino della Gherardesca, diretta con mano sicura da Giorgio Bozzo e ben interpretata da Francesco Aricò, Alberto Malanchino, Paolo Garghentino, Angelo Di Figlia, Ettore Nicoletti, Samuele Cavallo, Federico Antonello, Gabrio Gentilini e Jacopo Adolini: The boys in the band – Festa per il compleanno del caro amico Harold (non sia mai che i titolisti italiani non siano didascalici), in scena fino al primo di maggio nella splendida cornice della Sala Umberto di Roma, nuova tappa di un tour che sta attraversando il paese e non solo, è, sotto ogni punto di vista, assolutamente da non perdere.

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Teatro

“Dive”

di Gabriele Ottaviani

Bello, originale, al di sopra delle pur alte aspettative, intenso, avvincente, appassionante, profondo, militante nell’accezione più ampia ed elevata del termine, ben scritto, ben diretto, ben interpretato, ben confezionato, elegante e coinvolgente, lo spettacolo diretto dalla mano esperta e sicura di Mariano Lamberti, tratto da una pièce di Roberta Calandra, in scena nella splendida cornice romana del Teatro Marconi fino al venti di aprile, Dive, di cui ieri si è celebrata con strepitoso e meritato successo la prima, con Caterina Gramaglia nel ruolo di Mercedes De Acosta, Mariano Gallo, ossia la Priscilla di Drag Race Italia e non solo, nelle vesti di Cecil Beaton, Marit Nissen a interpretare Marlene Dietrich e Tiziana Sensi a ridare vita a Greta Garbo, tra Hollywood Babilonia e Pose, trasla la Golden Age di Hollywood, la città fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni e fondata sull’ipocrisia del Codice Hays, che cercava libertà nelle feste a bordo piscina indette da George Cukor, attraverso la seconda guerra mondiale, il maccartismo e Stonewall fino negli Eighties delle Ball Room underground della Grande Mela, dove, per esorcizzare lo stigma dell’HIV, la comunità LGBT+ si riuniva sfidandosi a colpi di vogueing e lip sync, rifugiandosi nella rievocazione di un passato mitico mentre il presente e il futuro atterrivano per la paura. Da non perdere.

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Teatro

“Allegro, non troppo”

di Gabriele Ottaviani

Gay. Ossia gaio, allegro. Cosa ci sia da giubilare però nell’essere discriminati, guardati con sospetto e sufficienza, fatti oggetto di scherno, ritenuti per definizione prede promiscue di insaziabili e indifferenziati impulsi, ben accetti solo se disposti alla composta remissività, come se già non bastasse il fatto di sentirsi sempre e da sempre fuori posto, inadeguati, sbagliati, solo perché i propri sentimenti vanno in una direzione che il resto del mondo reputa fondamentalmente, più o meno apertamente, più o meno consciamente, per lo più indifferentemente un vizio deprecabile, incomprensibile e riprovevole, andrebbe chiesto a chi si è inventato questa definizione. Perché anche il diritto alla spensieratezza, ahimè, purtroppo, per molti ha il sapore amaro della conquista, non è facile né immediato, e non si può né deve dare per scontato. Allegro, non troppo, scritta – benissimo – da Riccardo Pechini con Mariano Lamberti, in scena fino al ventuno di novembre nella splendida cornice romana dell’Off/Off Theatre di via Giulia, dove ieri sera, suggellata dal meritatissimo, scrosciante e interminabile applauso del pubblico al termine della rappresentazione, si è celebrata, dinnanzi al parterre delle grandi occasioni, la prima capitolina di uno spettacolo che da tempo gira, con successo, l’Italia, è una stand up comedy brillante, dura, icastica, emozionante, che, inducendo alla profonda riflessione, mette alla berlina con ironia e autoironia, non lesinando in azzeccatissimi riferimenti alla cultura pop, gli stereotipi, i pregiudizi, l’omofobia, mostro che tutti conosciamo – chi lo nega mente – e dai tanti volti, il più pernicioso dei quali ha l’aspetto di quella, introiettata, che appartiene proprio a numerosi omosessuali, che nella realtà dei fatti sono quanto di più lontano possibile dall’inclusività. Protagonista assoluto, unico attore in scena, mattatore dal talento cristallino che non ha bisogno di presentazioni né conferme, Lorenzo Balducci, in stato di grazia, esplora ogni sfumatura della gamma della recitazione, donandosi al pubblico con eccezionale generosità. Da vedere.

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