Libri, Senza categoria

“Vita eterna”

vita-eterna-dara-torn-edizioni-di-atlantidedi Gabriele Ottaviani

All’improvviso era di nuovo un adolescente, tranne per il fatto che era nonno. La distinzione tra adolescente e adulto le sembrava futile. In effetti ricordava molti secoli in cui quella particolare distinzione neppure era esistita. Era futile, pensò, insieme alla distinzione tra nascita e morte. Tutto e tutti attraversavano il mondo in un soffio, foglie trasportate dal vento. Tutto aveva importanza, o era tutto una scandalosa perdita di tempo?

Vita eterna, Dara Horn, Atlantide, traduzione di Matteo Vignali. Scrittrice, professoressa, con questo, splendido sin dalla raffinatissima copertina, selezionato fra i cento migliori libri di due anni fa dal New York Times, romanzo, il suo quinto, Dara Horn, autrice di chiara e meritatissima fama a livello internazionale, racconta di un dono. O forse di una maledizione. Dà corpo al desiderio, all’anelito, all’incubo – del resto si dice che quando Dio vuole punirti ti realizza i sogni – di molti. Vivere per sempre. Rachel era una ragazza quando il Tempio di Gerusalemme fu distrutto, e da allora continua a vivere, vede morire chi ha amato, gli uomini, e i figli che ha dato alla luce. Filosofico, magistrale, elegantissimo, monumentale: più che un romanzo, una rivelazione.

Standard
Libri, Senza categoria

“La fabbrica”

Catturadi Gabriele Ottaviani

«Non è vero che Anya ha avuto un aborto spontaneo. L’hanno costretta a uccidere il bambino» dice Tasia. «Ma sta bene?» Lisa tiene la voce insolitamente bassa. D’istinto si guardano intorno. La Coordinatrice più vicina è ad almeno cinque metri. Sta parlando con una nuova Ospite, che si stringe al petto un sacchetto per il vomito piegando la testa avanti e indietro come se le si fosse allentato un chiavistello nel collo. «È cattolica» risponde Tasia impassibile. «L’hanno addormentata. Con il gas. Forse avevano paura che desse in escandescenze». Lisa si lascia cadere sulla sedia vicino a Tasia. Reagan rimane in piedi, anche se il vassoio è sempre più pesante e la sedia di fianco a Lisa è libera. È preoccupata. L’ultima ecografia è andata bene, ma se il bambino avesse qualche problema interno, di quelli che non si vedono? All’improvviso Tasia sorride, un sorriso plateale che le occupa mezzo volto. «La Coordinatrice ci sta guardando. Forse sospetta di me». «Dov’è Anya ora?» chiede Lisa, sorridendo anche lei. L’apprensione nella voce fa a pugni con il sorriso esagerato.

La fabbrica, Joanne Ramos, Ponte alle Grazie, traduzione di Michele Piumini. Il corpo delle donne non è una merce. È assurdo, ma nell’anno del Signore duemilaventi, a quanto pare, purtroppo, va ribadito. Non è scontato, non si dà per assodato che una persona non sia una cosa. È aberrante, ma è purtroppo una tragica realtà, che connota dolorosamente la nostra società, in cui esiste ancora qualcuno che pensa che si possa scegliere dove nascere, e che dunque il semplice motivo di aver emesso il primo vagito all’interno di un confine anziché di un altro renda diversi, renda migliori, dia più diritti. Di lotta e disuguaglianze parla questo esordio letterario splendido sin dalla copertina, che è una vera e propria opera d’arte: Joanne Ramos, l’autrice, è nata nelle Filippine e si è trasferita nel Wisconsin a sei anni. Dopo essersi laureata a Princeton ha lavorato per diversi anni nel settore finanziario, ha cominciato a scrivere per l’Economist ed è membro del consiglio di amministrazione di The Moth, un’associazione non profit newyorkese dedicata all’arte della narrazione: qui racconta, con accenti che non possono non ricordare la prosa di Margaret Atwood, ma al tempo stesso assolutamente originali, la vicenda epica, tragica, allegorica e universale di Jane, una giovane madre single immigrata negli USA dalle Filippine che vive con tante altre donne, come lei ricche solo di speranza, fra le quali la cugina Evelyn, in un dormitorio newyorkese nel Queens. Dopo alterne vicende riesce a entrare a Golden Oaks, una specie di paradiso in terra per madri surrogate nelle campagne del fiume Hudson: in realtà una vera e propria prigione… Da non perdere per nessuna ragione.

Standard
Libri, Senza categoria

“Il contrario di padre”

cop mondadoridi Gabriele Ottaviani

«È vero che secondo me quelli che portano gli occhiali di notte dovrebbero mettersi delle lenti a contatto per la notte: così vedono bene i sogni?» «Da dove le tiri fuori certe idee…» Semiaddormentata quasi sul bordo del letto, Clem ha gli occhi ancora socchiusi, si gira lentamente per seguire la frenesia di Giulio. Sta scombinando a casaccio i vestiti nella valigia aperta sulla sedia: oggi non vuole il solito costume verde, la madre gliene ha messi via altri quattro che non ha ancora usato. Forse ridono troppo senza pensare a Geremia, invece la sua assenza li riempie di una tensione sottilissima, che a volte svanisce in aria come una bolla di sapone altre si stringe in un pugno che preme contro la bocca dello stomaco. Giulio sta conoscendo il fantasma del padre che lo perseguiterà negli anni a venire, un fantasma distratto che prende e se ne va in giro, si fa dimenticare in un silenzio senza presagi e da un momento all’altro sfuma in un passato che non è mai esistito, finché un giorno che non ci pensi più, con una prepotenza repentina, batte un colpo e ti frega: come il crampo al polpaccio che sorprende Giulio con una fitta lancinante. Clem l’ha fatto sdraiare sul letto e tirare su la gamba dolorante. Adesso gli spinge le dita del piede verso il basso: «Così il muscolo si scioglie»…

Il contrario di padre, Sebastiano Mondadori, Manni. A generare un figlio non ci vuol nulla, basta uno scambio di fluidi. Non serve neanche l’amore. Essere padre, invece, è tutt’un’altra cosa. È amore puro. Quando Giulio viene a sapere che colui a cui deve metà del suo patrimonio genetico, cromosoma Y compreso, non c’è più, è immediatamente catapultato indietro nel tempo, è di nuovo il bravo bambino che scopre un genitore che non ha mai avuto, di fatto, a cui, per un’estate di continue agnizioni, travolgente, bellissima, fiammeggiante di libertà, l’ansiosa madre deve lasciarlo. A lui, e alla giovanissima fidanzata. È il millenovecentosettantasette, un anno di piombo e di corse in spiaggia a perdifiato. È tutto talmente meraviglioso che diventa ancor più imperdonabile il fatto che poi quell’uomo si dissolva per sempre, fin quando non fa capolino con la violenza d’un uragano per comunicare che la sua assenza è ormai irredimibile… Mondadori scrive in maniera magnifica, conosce l’anima, le persone, i luoghi, i sentimenti, le emozioni: questo non è un romanzo, è un’esplosione di bellezza. Assolutamente necessario.

Standard
70. Berlinale, Senza categoria

“Alltid Amber”

ALWAYSAMBER_6di Gabriele Ottaviani

Alltid Amber. Alla Berlinale, nella sezione Panorama. Di Hannah Reinikainen e Lia Hietala. Ben confezionato sotto ogni aspetto, il riuscito documentario svedese indaga la fluidità dell’amore: Amber non si riconosce, infatti, in categorie rigide, prestabilite, fisse, vuole essere libera di essere quel che è. Il che naturalmente non significa comportarsi irresponsabilmente o con superficialità, anzi: la fotografia che risulta è quella di un’anima bella e profondissima. Da non perdere.

Standard
Senza categoria

“The rider”

55743_hddi Gabriele Ottaviani

The rider – Il sogno di un cowboy. In sala. Brady è un ragazzo e adora il rodeo ma un incidente terribile a cavallo frantuma le sue speranze. Torna dunque a casa nella riserva indiana di Pine Ridge, in pieno South Dakota, e deve cercare di rimettersi in sesto, di aiutare la sorella affetta dalla sindrome di Asperger, di fare da padre a suo padre, malato di ludopatia. E… Commovente, emozionante, straziante, intenso, ben scritto, ben diretto, ben interpretato. Da non perdere.

Standard
Libri, Senza categoria

“Il potere di Roma”

7127VBPsLqL._AC_UL436_.jpgdi Gabriele Ottaviani

La divinità dell’imperatore aveva diversi scopi, oltre a quello di glorificarne la vanità…

Il potere di Roma – Dieci secoli di impero, William V. Harris, Carocci, traduzione di Maurizio Ginocchi. Quello d’occidente crollò ben prima di quello d’oriente sotto i colpi dei barbari, dell’inadeguatezza della classe dirigente e non solo, ma certamente l’impero romano è rimasto, finanche nell’immaginario collettivo che si è sviluppato, cementato e sedimentato nel corso dei secoli e dei millenni, ancora oggi un punto di riferimento, sotto molteplici aspetti, persino inattesi: Harris lo racconta sotto ogni punto di vista in un’opera dalla spiccata solidità compositiva impreziosita da raffinate tavole. Da leggere, rileggere e far leggere.

Standard
Libri, Senza categoria

“Victory Park”

41bNLIgrIaL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Quando vedi ciò che non c’è si chiama delirio, e quello passa. Ma quando non vedi ciò che c’è, sei cieco. E chi lo sa se riuscirai mai a guarire.

Victory Park, Aleksej Nikitin, Voland, traduzione di Laura Pagliara. Pelikan e Baghila sono due studenti universitari, due amici che nella Kiev del millenovecentoottantaquattro, quando i segnali della decadenza dell’URSS ci sono già tutti eppure tutto pare proseguire come al solito, sin da quando se ne ha memoria, sullo sfondo delle periferie spersonalizzanti e anonime conducono quasi neghittosamente la loro esistenza tra i vari frequentatori del parco, cartina al tornasole dal nome che a orecchie occidentali e capitalistiche fa riecheggiare quello di una delle più ambite caselle del Monopoli, quintessenza, sintesi e simbolo del coacervo di molteplicità prossimo alla disgregazione, e preconizzatore di molte delle tematiche attuali al centro del dibattito nell’Est Europa, di una vera e propria Weltanschauung, quella del cosiddetto socialismo reale: Nikitin scrive in stato di grazia quella che pare una riuscita sceneggiatura, fatta di vividi ritratti intimamente e solidamente connessi e senza alcuna battuta fuori tempo.

Standard
Libri, Senza categoria

“Stregato dalla luna”

51VgujOZPlL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Niente eccitava Em più dell’entusiasmo a letto.

Stregato dalla luna, Piper Vaughn, M. J. O’Shea, Triskell, traduzione di Daniela Righi. Surya è un grande batterista. Propongono alla sua band il concerto con un’altra con cui hanno già collaborato. Quella con il cui manager Surya ha passato l’anno prima una notte di sesso sensazionale. Ma poi è scappato. E sperava di non rivederlo. Invece però si ritrova davanti proprio Em, che nell’ultimo periodo ha dovuto affrontare un mare di travagli, e che ora, dopo che l’inevitabile riaccade, è lui a sfuggire. Surya, però, ha capito che non può rassegnarsi… Intenso.

Standard
Libri, Senza categoria

“I Mandible”

41hyRnKgzxL._AC_US218_.jpgdi Gabriele Ottaviani

Dato che il mondo era già crollato, la tolleranza si era trasformata in disprezzo.

I Mandible – Una famiglia – 2029-2047, Lionel Shriver, 66thand2nd, traduzione di Emilia Benghi. Gli Stati Uniti intesi come superpotenza planetaria sono solo un remoto ricordo nell’anno del Signore duemilaventinove, quando il dollaro è diventato carta straccia, soppiantato dal bancor, e il primo inquilino latinoamericano alla Casa Bianca sta trascinando la nazione di Washington e Kennedy all’isolamento più totale, sotto ogni punto di vista. La crisi si fa sentire per tutti, finanche per i Mandible, che certo poveri non sono: una notte i mercati crollano, e con loro il loro intero mondo. Solo chi cadde, però, si sa, può dare altrui l’edificante spettacolo del rialzarsi: altrettanto vero, d’altro canto, è che sovente al peggio non c’è mai fine… Il mondo non è nostro, è un prestito dei nostri figli e nipoti, ma stiamo consegnando loro un vero e proprio sfacelo: finanche troppo realistica e attuale quest’angosciante distopia scritta in stato di grazia, che travolge e mozza il fiato.

Standard
68. Berlinale, Senza categoria

“Transit”

201815866_6_IMG_FIX_700x700di Gabriele Ottaviani

Transit. Siamo tutti lo stesso cielo, tutti in cerca di un senso, di identità, appartenenza e punti di riferimento, tutti migranti e tutti di passaggio, pagine di un racconto che ogni volta cambia forma, che la vita continuamente si diverte a scrivere e riscrivere, che nemmeno la morte riesce a definire completamente, ogni tempo ha i suoi fascismi, i suoi pregiudizi, i suoi violenti opportunismi, i suoi dolori, le sue ansie, le sue paure, le sue riflessioni, le sue speranze. Ispirato dall’omonimo romanzo che Anna Seghers, nata a Magonza nel millenovecento e morta a Berlino Est ottantatré anni dopo, ha scritto durante il suo esilio, trasla in un’ambientazione contemporanea la tragedia della Francia occupata, ma, per quanto suggestivo, non mal diretto né mal interpretato, appare purtroppo troppo cerebrale e nel complesso confusionario. Peccato.

Standard