di Erminio Fischetti
Un beau matin – Un bel mattino, in sala dal 12 di gennaio per la sempre meritoria Teodora Film fondata ventitré anni fa insieme a Cesare Petrillo dal compianto Vieri Razzini -, l’ultimo bel film – brava la protagonista, Léa Seydoux, così come straordinari sono Melvil Poupaud, Pascal Greggory e Nicole Garcia – di Mia Hansen-Løve, racconta, affrontando con intensità, splendido garbo, misura, equilibrio e profondità, molteplici temi, fra i quali anche quello dell’eutanasia, la storia di una giovane donna alle prese con una delicata e incerta storia d’amore con l’amico d’un tempo, ora uomo sposato, la quale ha anche una figlia piccola, con tutta l’esistenza davanti, cui badare, nonché un papà da accudire cui resta poco perché ha la sindrome di Benson, una malattia neurodegenerativa, la stessa che ha colpito il padre della cineasta, scomparso nel 2020. È la quotidianità da far quadrare stando sempre sul filo come un funambolo che porta avanti la pellicola, il racconto forte e dolce del rapporto fra la mente e il cuore: straordinario il passaggio in cui la giovane protagonista ricorda che i libri sono tutto per il padre e ne definisce il rapporto fra il pensiero e il corpo, il corpo è quello che è rimasto, l’involucro, la mente sono i libri, che lui ha scelto e che fanno parte di lui. Un elemento importante, perché la cosa principale del suo appartamento da svuotare, un appartamento stracolmo di volumi. Ancora una volta la regista trova un senso di equilibrio fra vita e morte, una riflessione sulla modernità, sul senso della fine, su come l’affrontiamo, su come la viviamo, su come la cerchiamo di dimenticare, di chiudere dentro un cassetto nascosto, un tassello della memoria remoto, dentro un ospizio. Non vogliamo vederla: eppure proprio attraverso questo elemento la pellicola è un grande inno alla vita e al desiderio di ricordare che questa comunque nonostante tutto, parafrasando lo splendido titolo di Abbas Kiarostami, continua. Da non perdere.