71. berlinale

“The world after us”

di Gabriele Ottaviani

The world after us – Le monde après nous. Alla Berlinale. Louda Ben Salah-Cazanas, dalla Francia, racconta, con Aurélien Gabrielli, Louise Chevillotte, Saadia Bentaïeb, Jacques Nolot e tanti altri bravi attori, in un film riuscito, intenso, compiuto, ben scritto, ben recitato e ben confezionato, la simbolica storia di uno squattrinato aspirante scrittore che a Parigi, città sulla cui bellezza non è necessario soffermarsi, come non si deve mai fare laddove sia già il nitore dell’evidenza a parlare inequivocabilmente, mentre si interroga sulle proprie radici e cerca il proprio posto nel mondo incontra l’amore. E… Da vedere.

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71. berlinale

“Blutsauger”

di Gabriele Ottaviani

Blutsauger – Bloodsuckers – A Marxist Vampire Comedy. Alla Berlinale. Stravagante, bizzarro, divertente, simbolico, geniale, destabilizzante, ironico e irriverente: sono questi gli aggettivi che meglio descrivono il film che, ambientato nel millenovecentoventotto, racconta dell’infatuazione fra un giovane operaio sovietico i cui sogni di gloria come attore vengono stroncati sul nascere dalla caduta in disgrazia di Trotsky e una vampira che trascorre le vacanze al mare con la sola compagnia del suo goffo servo, a sua volta innamorato di lei. Da vedere.

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“From the wild sea”

di Gabriele Ottaviani

From the wild sea. Di Robin Petré. Forse la pandemia ha fatto capire qualcosa in più, ma non c’è da scommetterci. L’uomo si comporta ancora come un dominatore nei confronti della natura, la vessa come un signore e padrone a suo esclusivo vantaggio, non rendendosi conto che ogni problema che riguarda l’ambiente si ripercuote amplificato sul proprio destino, in merito al quale si comporta senza la benché minima lungimiranza. Questo conflitto è al centro di un documentario poetico e assai raffinato che prende le mosse dall’osservazione dell’indefesso impegno di una rete di volontari che lotta contro il tempo e le intemperie per salvare da pericoli come il petrolio la fauna selvatica marina. Da non perdere. Alla Berlinale.

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“Any day now”

di Gabriele Ottaviani

Any day now. Alla Berlinale. Di Hamy Ramezan con Aran-Sina Keshvari, Shahab Hosseini, Shabnam Ghorbani, Kimiya Eskandari, Vilho Rönkkönen, Laura Birn, Eero Melasniemi, Kristiina Halkola e tanti altri. In un villaggio finlandese per rifugiati, ai margini di una foresta, una dignitosa famiglia attende di sapere se la propria domanda di asilo sarà accolta: questa precarietà si riverbera anche nei comportamenti dei componenti, in particolare in quelli di un ragazzo che non solo sta cercando il proprio posto nel mondo, ma anche di capire quell’indomabile turbamento che si chiama amore. Da non perdere.  

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“Brother’s keeper”

di Gabriele Ottaviani

Brother’s keeper. Alla Berlinale. Di Ferit Karahan. Con Samet Yildiz, Ekin Koç, Mahir İpek, Melih Selçuk, Cansu Firinci, Nurullah Alaca e tanti altri. Straziante, delicatissimo, profondo, stupendo, girato bene, scritto meglio, interpretato magistralmente, soprattutto dai protagonisti più giovani, è un affresco perfetto del gelo fisico ed emotivo che attanaglia un remoto collegio anatolico in cui ragazzi curdi vengono educati alla repressione della tenerezza. Magnetico.

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“Copilot”

di Gabriele Ottaviani

Copilot. Alla Berlinale. Di Anne Zohra Berrached. Con Canan Kir, Roger Azar, Özay Fecht, Jana Julia Roth, Nicolas Chaoui, Darina Al Joundi, Ceci Chuh e altri. Tra Asli e Saeed, a metà degli anni Novanta, è subito amore, che ben presto si evolve in un matrimonio fondato sulla fiducia e sul sostegno reciproci: tutto sembra perfetto, e null’altro che l’inizio di un avvenire roseo, sereno e sicuro. Almeno fino a quando Saeed non prende una decisione che non sgretola soltanto i sogni di Asli, ma un’intera visione addirittura del mondo… Potentissimo, doloroso, destabilizzante: da vedere.

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“Anamnesia”

di Gabriele Ottaviani

Anamnesia. Alla Berlinale. Di Stefan Kolbe e Chris Wright. Con Nadia Ihjeij, Josephine Hock e altri. Prendendo le mosse da una domanda che è al tempo stesso teorica ma anche estremamente concreta e fortemente politica, ossia dall’interrogativo che ci si pone in merito a cosa sia possibile davvero vedere nel momento in cui qualcosa ci viene celato alla vista, i due registi costruiscono un’interessante narrazione sul tema dell’assenza e dell’immaginazione, argomenti declinati secondo una molteplicità di suggestioni. Siamo infatti impossibilitati a vedere il volto di Stefan S., il protagonista, un uomo che ha ucciso, dopo averle fatto stalking, una collega, e che per questo sta scontando una pena detentiva vita natural durante in un carcere brandeburghese: ma vorremmo però mai scorgere sul serio il suo volto?

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“Stop-Zemlia”

di Gabriele Ottaviani

Stop-Zemlia. Alla Berlinale. Di Kateryna Gornostai, al suo, riuscitissimo, debutto come regista. Con Maria Fedorchenko, eccellente, Arsenii Markov, Yana Isaienko, Oleksandr Ivanov e altri. L’adolescenza ha un solo pregio: passa. E anche tutto sommato abbastanza presto, benché quei giorni, mesi e anni sembrino non finire mai e rassomiglino a una sorta di prigione che impedisce di essere quello che si sogna di diventare. Con grande delicatezza Kateryna Gornostai immortala speranze, delusioni, timidezze, amori, passioni, errori e desideri, con rara credibilità e commovente empatia.

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“Juste un mouvement”

di Gabriele Ottaviani

Juste un mouvement. Alla Berlinale. Di Vincent Meessen. Con Alymana Bathily, Cheikh Hamala Blondin Diop, Dialo Blondin Diop, Ousman Blondin Diop, Bouba Diallo, Marie Thérèse Diedhiou, Felwine Sarr, Alioune Paloma Sall, Landing Savané, Marie-Angélique Sagna, Mame Awa Ly Fall, Doudou Fall, Mamadou Khouma Gueye, Fi Lu, Mbagnick Ndiaye, Madiaw Njaay,Thierno Seydou Sall, Malal Almamy Tall (Fou Malade) e Li Yuanchao. Ispirandosi liberamente di fatto a Godard, questo film intenso ed elegante, che induce alla riflessione, riambienta La Chinoise cinquant’anni dopo, a Dakar, con tutti gli aggiornamenti del caso, meditando su politica, memoria e giustizia, facendo assurgere, nonostante non ci sia più, Omar Blondin Diop, l’unico vero studente maoista nel film originale, al ruolo di personaggio chiave.

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