Cinema

“Armageddon Time – Il tempo dell’apocalisse”: James Gray si racconta

di Sabrina Colangeli

Dopo il passaggio alla Croisette, in concorso nella Selezione Ufficiale, Armageddon Time – Il tempo dell’apocalisse sbarca alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, in collaborazione con Alice nella città. L’uscita nelle sale italiane è invece prevista per il 2 marzo 2023, distribuito da Universal Pictures Italia.

Queens, New York, 1980. Al primo giorno di scuola pubblica, Paul Graff (Michael Banks Repeta) disegna la caricatura di Mr. Turkeltaub (Andrew Polk), finendo subito nel mirino del professore. Ma nella punizione non sarà solo: John Davis (Jaylin Webb), che ha evidenti problemi con l’autorità, diventa amico di Paul, condividendo la sorte con lui.
Sebbene Paul non possa esattamente contare sulla stima dei genitori, Esther e Irving (Anne Hathaway e Jeremy Strong), che prediligono il fratello maggiore Ted (Ryan Sell), Paul ha un animo buono e una sensibilità molto sviluppata. Il suo sogno è quello di fare l’artista, essendo anche molto portato per il disegno. Mentre il suo unico alleato sembra essere il nonno materno, Aaron (Anthony Hopkins), di cui cerca e rispetta le opinioni e segue i consigli.

Purtroppo le cose per il ragazzino si complicheranno, costringendolo a fare i conti con un trasferimento nella scuola privata dove studia anche Ted. E farsi nuovi amici non sarà così semplice…
James Gray torna a scrivere e dirigere un’opera, a distanza di tre anni dal poco convincente Ad Astra. Ma questa volta ci mette un bel pizzico in più di sè, raccontando una storia fortemente ispirata alla sua infanzia. L’elemento autobiografico valorizza il progetto, reso altresì godibile dallo stile della regia e dalle ineccepibili prove attoriali.
Armageddon Time rientra nel cosiddetto coming of age, durante il quale vengono elaborate una serie di tematiche appartenenti a un determinato momento, storico oltre che personale. Gli anni Ottanta, negli Stati Uniti, la questione razziale è ancora molto viva, e la famiglia Graff non fa di certo eccezione. A sorprendere, e lasciare l’amaro in bocca, è la consapevolezza che alcuni atteggiamenti razzisti prolifichino persino all’interno di una famiglia di origini ebraiche. Anni e anni di emarginazione, segregazione, umiliazione, sacrifici e torture, sembrano svanire dinanzi al differente colore della pelle dell’altro.
Paul cresce in un ambiente ostile da numerosi punti di vista, mantenendo – per quanto gli sia possibile – uno sguardo genuino, una generosità di fondo e la curiosità che caratterizza la sua giovane età. Complice di tutto ciò è senza dubbio il nonno Aaron, l’unico che ne comprende la profondità e ne tutela, in qualche modo, l’innocenza.
Troppo impegnati a far quadrare i conti e a portare avanti la famiglia, i genitori perdono completamente la bussola di ciò che davvero conta. La violenza, il disinteresse, la sfiducia, non sono valori giusti da trasmettere e con cui maturare. Ovviamente, portano la firma di un passato, e si rivelano segni di un tempo, non troppo semplice, ma questo non può diventare una giustificazione per la rovina di un figlio.
Il sogno americano, secondo il quale il guadagno arriva col duro lavoro, col sacrificio, viene contaminato, nell’esatto istante in cui a prendere il microfono è un personaggio come Maryanne Trump (Jessica Chastain).

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