di Gabriele Ottaviani
Chiamo i miei fratelli, Jonas Hassen Khemiri, Einaudi. Traduzione di Katia De Marco. Quando scoppia un’auto nel centro di Stoccolma, subito la parola terrorismo comincia a rimbombare balzellando di bocca in bocca alimentando il panico e la paranoia: Amor vaga per le strade di una città surreale dovendo comprare per la cugina un ricambio per il trapano, e a mano a mano che il tempo passa, per motivi insondabili, sente che tutti gli occhi sono puntati su di lui, che ha uno sguardo spaventato e ansioso, e un’inquietudine smaniosa e febbrile gli formicola nelle vene: dirompente e magistrale.