Libri

“Storia aperta”

di Gabriele Ottaviani

Venezia, gennaio 1957

Non hai visto tua madre morire. Non le hai preso la mano. Non hai vegliato al suo fianco sulla sedia di paglia. Non hai visto l’arsura delle sue labbra. Non hai visto tua madre lottare. Tua madre si è incatenata alla vita. Non eri lì per comprenderlo. Tua madre si è legata alle vele con decine di gerli. Tua madre cresceva nel letto e sugli alberi alti. Ha provato a superare la morte. Non hai visto il calvario del corpo. Il corpo materno, ne hai ricevuto uno solo: non l’hai visto morire. Non hai visto tua madre sconfitta. Non l’hai accompagnata nella diplomazia della resa. Consegnare le armi. Sospendere la battaglia del volto. Fermare il viaggio degli occhi. Non hai scortato tua madre. Non le hai sussurrato parole piccole, nell’imbarazzo che altri se non lei le ascoltassero. Se non lei? Ma davvero le avrebbe sentite? Le tue parole minime per dirle che le hai voluto bene? Se anche tu fossi stato al suo fianco per pronunciarle, ti saresti accontentato di un cenno del fiato? Se tu fossi stato laggiù, mentre tua madre moriva? Ma non c’eri, e la questione non c’è. Neppure al funerale tu c’eri. Perché l’isola ti è vietata per sempre. Non hai seguito la bara. Non hai visto la terra e la frase sul marmo. Nemmeno hai visto tua madre invecchiare. Non hai compreso i suoi sorrisi bianchi…

Storia aperta, Davide Orecchio, Bompiani. Il tempo, la divinità che tutto fagocita e che non smette mai, inesorabile, di scorrere, si dice che sia un grande e capace dottore, che lenisca ogni dolore, ma in realtà attraverso il tempo il dolore non scema, semplicemente muta, si trasforma, diventa altro: è questo il lento percorso dell’elaborazione, e non sono solo i lutti che devono essere elaborati, ma anche le storie, quelle universali come quelle particolari, proprie di ciascuno, tasselli del mosaico dell’identità, dell’individualità, dell’unicità, e al tempo stesso del collettivo sentire, immaginare e vivere. Il tempo è difatti la dimensione lungo la quale tutto si sedimenta e si stratifica, il percorso della pacificazione, del dialogo tra chi resta e chi c’era, come Alfredo Orecchio, evidentemente figura fondamentale nella formazione di suo figlio Davide ma non sola fonte di ispirazione per il suo protagonista, dietro e dentro il quale si celano molti eteronimi: infatti Pietro, il perno di questo romanzo intenso, emozionante, particolare, raffinato, ricco di livelli di rottura e di chiavi di interpretazione, che valica d’un balzo, trascendendo la mera categorizzazione tassonomica, le frontiere di questo o di quel genere narrativo, raccontando l’immagine di un uomo che attraversa il Novecento maturando sempre più una consapevolezza politica e non solo che parte dagli ideali e si compie nell’amarezza e nella disillusione dovuta alla caduta di certezze ritenute granitiche ma viepiù precarie in un secolo densamente breve, contraddittorio, bifronte, rivoluzionario e rivoluzionato, è ogni individuo, donna o uomo poco importa, che ha conosciuto la seduzione della speranza e il tarlo dell’inadeguatezza. Magistrale e imperdibile.

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