di Gabriele Ottaviani
Eppure quell’assennata esposizione di argomenti, che tenevano conto con tanto disinteresse delle esigenze nazionali, si poteva brevemente riassumere nella formula usata da Nakonski quando, dopo la seduta, disse a Killenschiff: – Hartog ci ha giocati e si è preso Baby Doll –. Così era infatti, e proprio perché le officine Hartog erano le sole in grado di accollarsi il progetto e di attuarlo entro il termine fissato; persino la Mallenwurf & Erkelenz non ci sarebbe riuscita. La proposta di Hartog non poneva il problema di quale ditta avrebbe tirato la paglia più corta, ma quello se sarebbe toccato a Hartog o allo Stato dare alla luce Baby Doll, prodigio tedesco dal nome americano. La seduta fini mezz’ora dopo. Hoff non avanzò nessuna obiezione di principio alla proposta di Hartog, e nemmeno il gruppo degli imprenditori. Hoff dichiarò che non era autorizzato a decidere in merito, doveva consultarsi con altri, l’importanza della cosa esigeva probabilmente una risoluzione del Dicastero dell’Economia; comunque, per evitare ogni perdita di tempo, avrebbe volentieri indicato l’azienda, a cui si sarebbe potuto affidare l’intero progetto. – Adesso, perché i signori possano trattare la questione con tutta franchezza e libertà, io mi ritirerò, – concluse. – Li prego di farmi chiamare, quando saranno giunti a un risultato. – La franchezza va bene… – disse Bruster, e Schmitt: – Resti qui, signor Hoff. La cosa è giudicata, se Hartog mantiene la sua offerta e si premette che dev’essere un’impresa della nostra cerchia… – Evidentemente, – disse Hoff. – Allora non dovremmo fare come se… nessuno di noi potrà o vorrà legarsi questa pietra al collo… tranne Hartog, che lo propone. Non ho ragione, signori? Perché Hartog volesse impadronirsi di Baby Doll, era chiaro a tutti…
Rosemarie – La figlia più amata del miracolo tedesco, Erich Kuby, Meltemi. Premessa di Susanna Böhme-Kuby. Postfazione di Jürgen Pelzer. Traduzione di Luca Lamberti. Traduzione della postfazione di Alessandra Luise. Giornalista e scrittore tedesco, nonché editore e sceneggiatore, autorevole e celeberrimo, scomparso sedici anni fa novantacinquenne, Erich Kuby conduce il lettore con mano sicura nell’anno del Signore millenovecentocinquantasette, l’anno del Nobel a Camus, l’anno della morte di Tomasi di Lampedusa, l’anno in cui vedono la luce L’isola di Arturo, Il dottor Živago, Ora che eravamo libere, memorie dalla Resistenza di Henriette Roosenburg, e tanti altri volumi: precisamente è il primo di novembre quando la famosissima cocotte di lusso Rosemarie Nitribitt, nota per l’inseparabile Mercedes 190SL, ritratta qui anche in copertina, per la clientela di uomini facoltosi e per il suo irresistibile fascino, viene trovata morta in circostanze misteriose – strozzata nel suo appartamento di Francoforte – e su cui mai sarà fatta luce, più o meno come quattro anni prima era accaduto alla povera Wilma Montesi, probabilmente reduce da un’orgia finita malissimo presso Roma che costò la carriera nelle alte sfere democristiane a Piccioni per il ventilato – ma falso – coinvolgimento del figlio. Prendendo le mosse da questo fatto di cronaca, Kuby dipinge un affresco di critica sociale e del potere magnetico e formidabile, ricchissimo di sfumature, livelli di lettura e chiavi d’interpretazione: da non perdere.