di Gabriele Ottaviani
Che dite mai? Nulla ricomincia. Ci si illude, ecco. In qualche modo bisogna ben vivere, quando non s’ha il coraggio di morire. Cosí, anche noi abbiamo raccolto i cocci rotti, e ci siamo ingegnati di riappiccicarli insieme con… la reciproca pietà. Ma non eravamo abbastanza virtuosi, né abbastanza immemori. Calmi ed uniti esteriormente, a pari dell’altre centomila coppie che sfregano spalla contro spalla fino ad averne le carni piagate, abbiamo condotto al doppio guinzaglio l’esistenza, finché sopravvenne la morte a liberare uno dei due… La morte corporale, dico. L’altra morte era già in noi da un pezzo, quantunque nessuno se ne avvedesse. Il mondo è pieno di ombre che fanno finta di vivere.
Le solitarie, Ada Negri, FVE. Poetessa, autrice di prose, insegnante, la prima e unica donna ammessa all’Accademia d’Italia, vissuta fra Ottocento e Novecento, intellettuale dalla scrittura colta, ricca di rimandi, reminiscenze, riferimenti e influenze, che vanno da D’Annunzio a Ibsen, da Anna Kuliscioff al verismo, dalla scapigliatura a Whitman, la mente cui si debbono Finestre alte, Stella mattutina, Le strade, Sorelle, Fatalità e molte altre opere, patrimonio troppo importante per essere così poco sconosciuto, Ada Negri, con questa sua racconta di novelle – l’esordio dell’autrice lodigiana nella narrativa – classe millenovecentodiciassette, che questa giovanissima casa editrice ha deciso con brillantezza di recuperare, all’interno di un progetto di riscoperta della memoria e della storia della nostra cultura, dalle radici solide e profonde, indaga con grazia squisita, perfettamente incarnata anche dalla copertina, la condizione umana e femminile con sorprendente modernità.