di Gabriele Ottaviani
Pericle mette una mano sul petto dell’altro e gli dà una spinta tale che il uomo sbatte la testa contro la paratia alle sue spalle: per un attimo è accecato dalla rabbia…
La focena, Mark Haddon, Einaudi, traduzione di Monica Pareschi. Angelica sospetta, sempre più, mano a mano che il tempo, divinità che tutto fagocita, inesorabile scorre, che ci sia qualcosa di malato nell’amore che il padre Philippe ha per lei. Troppo soffocante. Del resto, però, sua madre, Maja, attrice scandinava di sfavillante bellezza, l’ha data alla luce morendo, in un incidente aereo. Lui ha solo lei, che gliela ricorda ogni istante. Lei ha solo lui, e dunque non ha cuore di trasgredire al vincolo dell’ubbidienza. Non vuole che soffra, così come lui, per lei, ha paura di tutto. E pensare che, fortunatamente benestante, aveva sempre vissuto in modo spensierato prima della tragedia: ora invece quella maestosa residenza dal nome solenne, Antioch, nella campagna inglese, sembra essere avvolta da una densa cappa di ossessivo dolore, una presenza immateriale ma concreta, tangibile, di cui si accorge Darius, che vi si reca per vendere a Philippe alcune opere d’arte. Ma Angelica pensa che sia lì per salvarla: non è che l’inizio di un’avventura rocambolesca, apologo allegorico della forza delle emozioni, delle donne e del coraggio, che riscrive la fiaba, il mito e il dramma shakespeariano, valicando la mera partizione tassonomica dei generi e conquistando sempre più pagina dopo pagina.