di Gabriele Ottaviani
Spiegò che si interessava alla sua persona, al suo destino: e quanto più il suo interesse cresceva (e doveva confessare di non avere mai avuto motivi così validi di attrarre un giovane vicino a sé), tanto più si sentiva toccato. Tanto più lo allarmava quella testardaggine che era un segno di coscienza sporca e che Etzel opponeva a ogni tentativo di farsi un’idea della sua vita. «Un animo così disposto dà molto a pensare», scrisse, «assomiglia a un processo di irrigidimento. L’obiezione che la giovane età escluda il pericolo di un irrigidimento permanente non è un’obiezione. A venti o ventuno anni il peso specifico delle esperienze non è affatto minore che a cinquanta e si radica a una profondità maggiore. Insieme alla giornata ancora in corso possiamo soppesare solo quella di ieri, appena trascorsa. Stando alla mia esperienza, il clima spirituale che fa da sfondo agli eventi della vita viene rivisto e ricalibrato – a qualunque età – ogni cinque o sette anni». Per tutti i motivi che aveva esposto si sentiva obbligato a rivolgersi alla persona più competente per avere dei chiarimenti. Poche indicazioni gli sarebbero state sufficienti e gli avrebbero facilitato un compito al quale, per come stavano le cose, non poteva più sottrarsi. Naturalmente avrebbe potuto affidarsi alle sue sole forze: scrivere alla signora però rappresentava la strada più breve. Gli avrebbe fatto risparmiare parecchio tempo, parecchi sforzi. Gli serviva la chiave, la parola d’accesso. (Le allusioni fin troppo discrete di Eleanor Marschall gli avevano indicato soltanto una direzione vaga, facendo balenare un ricordo ancora privo di contorni). Cinque giorni più tardi arrivò la risposta della signora von Andergast: diciassette fittissime pagine, vergate con una scrittura minuta, che lo impegnarono più di un voluminoso lavoro scientifico. Mentre leggeva, Kerkhoven vide emergere il ricordo come se avesse avuto bisogno di quell’ultima spinta per tornare alla coscienza…
Jakob Wassermann, Etzel Andergast, Fazi, traduzione di Stefano Jorio. Splendido sin dalla copertina, il romanzo racconta di un giovane fragile, affascinante, sbandato, confuso, con un’anima che è una cornucopia, piena di primizie preziose, pronto a tutto e senza niente da perdere, alla deriva come una nave senza nocchiero, affamato d’amore e bramoso di una figura paterna, che crede di trovare in un medico che ne è al tempo stesso attratto e respinto, mentre la repubblica di Weimar, come un abito frusto, un sipario strappato, un tessuto liso mostra la corda, ed è prossima al collasso, lacerata da opposte sobbollenti tensioni, è la maiuscola prova narrativa di un autore di origine ebraica vissuto a cavallo fra il milleottocentosettantatré e il millenovecentotrentaquattro che è troppo poco noto e che è invece sublime in tutto e per tutto.
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