di Gabriele Ottaviani
Non potevo rischiare. Si fa presto a identificare un tenente.
Tempo di uccidere, Ennio Flaiano, Adelphi. In un’Africa surreale e priva di ogni esotismo un tenente dell’esercito italiano vaga alla ricerca di un medico, guidato dal mal di denti. Si allontana dal campo, rimane solo, si perde. Hanno inizio così, per caso, le sue disavventure. Prima si convince di aver contratto la lebbra, poi fugge, certo di essere ricercato per tentato omicidio, infine si trasforma in ladro e maldestro attentatore, fino ad approdare alla capanna di Johannes, un luogo misterioso e arcano dove può iniziare a guarire. Nato da una conversazione con Leo Longanesi e vincitore del premio Strega nel 1947, Tempo di uccidere, unico romanzo scritto da Flaiano, è un’intensa allegoria della guerra, messa a nudo con ironica, spietata crudeltà. Così viene descritto sul sito ufficiale del più importante premio letterario italiano, di cui conquistò la prima edizione, imponendosi, e in finale il distacco fu pressoché abissale, su nomi di grandissimo rilievo come Alvaro, Bernari, Berto, Bigiaretti, Dazzi, Drago, Levi, Lilli, Manzini, Moretti, Pea, Savinio, Sorrentino, Terra, Vicentini e Vittorini, un libro necessario di uno degli intellettuali in assoluto più prestigiosi ed eclettici della storia italiana, giornalista, sceneggiatore, critico, umorista e drammaturgo, elzevirista eccezionale ultimo di sette fratelli, pescarese, figlio di Cetteo, commerciante, e Francesca Di Michele, residente per lungo tempo in un quartiere, Montesacro, di una città, Roma, che in fondo non amava, ma che seppe ritrarre come nessun altro mai: questa nuova edizione di un classico, che in quanto tale è più attuale che mai, è da non perdere.