di Gabriele Ottaviani
Era una mezza dozzina di cartelle, più all’insegna del rammarico che della resa dei conti. Una storia di molestie sessuali, prepotenze, oscenità e palpeggiamenti che a loro volta sfociavano in offese verbali. Il fatto che Fish insistesse nel sottolineare che non c’era stata violenza non faceva che accrescere la credibilità della sua versione. Che una donna del Nord senza peli sulla lingua esponesse l’accaduto con tanta sincera sensibilità commosse qualcuno fino alle lacrime. Perfino a un vicedirettore di giornale vennero gli occhi lucidi. I deplorevoli episodi si riferivano a un periodo di una ventina di mesi risalente a quindici anni prima, quando Jane Fish era segretaria personale di Benedict St John, al tempo ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. Da allora Fish aveva sofferto in silenzio, troppo spaventata delle conseguenze sulla propria carriera, troppo umiliata per uscire allo scoperto e inspiegabilmente protettiva nei confronti del suo validissimo collega. Si era decisa a parlare ora perché la figlia minore del ministro degli Esteri aveva compiuto i diciotto anni, e perché si era convinta di avere una responsabilità verso donne piú giovani che occupassero posti vulnerabili come era capitato a lei in passato. Il titolo di prima pagina diceva: Vergogna per il ministro degli Esteri…
Lo scarafaggio, Ian McEwan, Einaudi, traduzione di Susanna Basso. Ironico, sardonico, sarcastico, nonsense, e dunque pieno di senso, terribilmente attuale, il racconto, imprescindibile e kafkiano, politico nell’accezione più alta, ampia, varia e potente del termine, di Ian McEwan, autore viepiù versatile che non ha affatto bisogno di presentazioni, rovescia ogni convenzione e ci racconta di un governo di blatte alle prese con quel giocattolo esploso in mano e che nessuno nell’algida Albione vuole più, a quel pasticciaccio brutto di Downing Street che prende il nome di Brexit: geniale, incantevole, deflagrante, destabilizzante.