di Gabriele Ottaviani
Ora vivo come tutte loro: faccio la spesa al supermercato, vado dal parrucchiere e a volte, quando non sono troppo stanca, vado anche al cinema a guardare un film d’amore. Quelli di guerra, non riesco proprio a vederli. Con quella non ho fatto ancora pace. Non è come con l’acqua. La guerra non te la puoi scordare. E nemmeno i brutti ricordi. Quelli puoi solo ricacciarli indietro a colpi di ricordi nuovi.
Il paradiso alla fine del mondo, Nicola Brunialti, Sperling & Kupfer. Teresa ha quarantadue anni ma a breve sarà nonna. Sono ventisei anni che vive in Sierra Leone, a Freetown, dov’è arrivata profuga adolescente nel duemilaventiquattro da una Germania poverissima devastata come il resto dell’Europa dalla guerra, dalla recessione, dalla distruzione climatica, dopo un viaggio della speranza fino alle coste siciliane, punto di partenza e d’imbarco verso la ricca Africa, la terra delle opportunità e della promessa di un avvenire migliore, senza miseria, senza violenza, un luogo da poter chiamare finalmente casa. Nicola Brunialti descrive un mondo all’incontrario, dando vita con passione a una riflessione necessaria più che mai in questi nostri tempi concitati, convulsi, precari e contorti, materiali, materialisti e arroganti, in cui va ribadito, anche se pare assurdo doverlo fare, perché dovrebbe essere banale e superfluo, che non c’è alcun merito nel nascere nel luogo dove il destino ci fa vedere la prima luce. Avvincente, potente, lirico.